"Habemus papam!"... E allora?

L’importante è sapere cosa farà…
L’ansia molto percepibile di conoscere “il nome” del nuovo Vescovo di Rimini, destinato a succedere dopo diciotto anni a Mons. Mariano De Nicolò (del quale ormai non c’è più niente di nuovo da dire), è stata di certo inferiore a quella attuale che segue l’annuncio ufficiale: "Mons. Francesco Lambiasi sarà il nostro nuovo pastore".

Non sono profeta, né figlio di profeta, perciò mi guarderò bene dal fare previsioni.
Umanamente parlando, Mons. Lambiasi può fare di tutto ed il contrario di tutto. Certo, alcuni dati della sua biografia sembrano aprire qualche porta, anche di non poca importanza.
Ha un bagaglio culturale di tutto rispetto. Questo, unito ad un’esperienza pedagogica non di un solo giorno. Infatti è stato docente universitario. La sua esperienza pastorale è stata di certo bene caratterizzata (Rettore del Seminario e Responsabile Nazionale dell’Azione Cattolica) però di grande e delicata responsabilità.

La citazione dell’Azione Cattolica dice molto, anche se a ben vedere ancora non assicura niente. E’ come se anni addietro di una persona si fosse detto: “E’ della Democrazia Cristiana!” Qui, in un certo senso, erano aggregati tutti, da santi doc a… figli di buona donna altrettanto garantiti.
Dire che ha militato ed è stato responsabile dell’Azione Cattolica non dice ancora che sia poco favorevole a Gruppi e Movimenti. L’esperienza di aver guidato una Diocesi, poi, non sarà elemento di poco conto nei giorni che vivrà a Rimini.
I dati su accennati fanno ben sperare, ma ancora non costituiscono un’assicurazione.

A questo punto resta aperto il discorso dei “desiderata”, cioè di quanto vorremmo che facesse. Tale discorso è chiaramente personale. E’ infatti lecito che ognuno, persona o gruppo, desideri cose diverse. Sviluppandolo, evidentemente mi scopro (ma non ho nulla da coprire…).

La Chiesa è sempre la stessa. La Chiesa cambia.
Formalmente parlando, l’affermazione del titolo è contraddittoria, dunque insostenibile.
Se però facciamo qualche doverosa distinzione, troviamo facilmente che può stare ugualmente in piedi. Ed anche molto bene. Certo, la Parola di Dio – o Scrittura che dir si voglia – è sempre la stessa. I Libri dichiarati canonici non hanno la possibilità di crescere e neppure di diminuire. Anche i Sacramenti – in maniera tutta particolare l’Eucarestia – resteranno sempre i classici sette.
Così pure la struttura gerarchica, dal Papa all’ultimo cappellano, a parte modalità specifiche di organizzazione, sembra dover essere stabile.

Ma allora cosa cambia?
Per me gli elementi portanti del cambiamento sono fondamentalmente due.
Il primo è di carattere prevalentemente sociologico.
Il secondo di carattere più specificamente spirituale.
Esaminate, anche superficialmente, la struttura della parrocchia.
In una società prevalentemente agricola e priva di veloci e facilmente disponibili mezzi di comunicazione come auto, moto, biciclette, la vita si presentava molto più statica. La parrocchia era di necessità un punto di riferimento imprescindibile. Oggi tale compattezza sociologica s’è sgretolata. Uno abita a Morciano e frequenta la Messa domenicale al Santuario della Madonna di Bonora di Montefiore: la giudicate una consuetudine tanto strana? Sembra di no.
In parrocchia si va per le feste patronali, per le prime comunioni, le cresime, i funerali e i matrimoni. Buona cosa di certo. Ma è venuta meno la continuità pedagogica e, soprattutto, di rapporti di fede. Il classico “libero mercato” è passato facilmente anche nella Chiesa.

A questo dato inconfutabile se n’è aggiunto un altro (questo più in particolare riguarda il clero): sono sensibilmente calati i sacerdoti.
Un prete che da solo deve far fronte ad una parrocchia di cinquemila abitanti inevitabilmente è costretto a fare il burocrate. Quando ha svolto questo doveroso ruolo è già stanco e sudato e non ha molto tempo disponibile per i rapporti e per l’educazione alla fede dei cristiani.
Questo provoca inevitabilmente un distacco o una lontananza fra parrocchiani e prete.
Non chiedetemi a chi bisogna attribuire la colpa. Anche se trovassimo la soluzione, il fatto resterebbe immutato e per il momento immutabile.
In tali condizioni, chi ha più il coraggio di farsi prete? Ci troviamo di fronte al classico sistema del circolo vizioso.

In sintesi, possiamo concludere che la classica divisione della Comunità Particolare, o Diocesi, in parrocchie geograficamente ben delimitate non è da buttare via come struttura obsoleta, ma di certo ha perso l’efficacia e l’adeguatezza che un tempo aveva.
Tale consapevolezza sarà un elemento determinante nelle scelte pastorali che nel tempo saremo costretti a fare.
Il secondo elemento presente e determinante che modifica il panorama pastorale di oggi è quello della presenza diffusa nella Chiesa di Gruppi, Movimenti e Comunità di Base.
Tale fenomeno, per molti versi sempre presente, è stato notevolmente favorito ed accentuato dalla ecclesiologia del Concilio Vaticano II.
L’unità imprescindibile di una Chiesa attorno al Vescovo è stata non contrapposta, ma coodinata con la presenza dei Doni e Carismi dello Spirito. L’unità come Dono di Dio non si contrappone con il pluralismo, altrettanto necessario, dei Carismi. Tale discorso, teoricamente parlando, non è solo pulito, ma anche difficilmente contestabile. Solo che nella pratica porta a delle conseguenze che possono presentare problemi.
Il primo è quello della sensazione di avere a che fare con Chiese diverse.
Le espressioni “Io sono Ciellino, io Focolarino, io Neocatecumenale o del Rinnovamento dello Spirito” evidenziano identità legittime, ma difficilmente componibili fra loro.
Problema vecchio, già esplicitamente affrontato da san Paolo.
“C’è chi dice: io sono di Apollo, io di Cefa, io di Paolo. Forse Apollo è morto in croce per voi?” In altri termini, la centralità di Gesù Cristo non può mai essere sottovalutata.
Più che di “fatti”, qui si tratta di correttezza del metodo.
E’ possibile una “amorevole” contestazione, come è necessaria un’altrettanto “amorevole” accettazione della contestazione. “Se vi dilaniate a vicenda, guardatevi dal non farvi fuori completamente gli uni gli altri”.

Compito del Vescovo non è quello di cancellare, in un modo o nell’altro, le diversità, ma preoccuparsi e curare questa “amorevolezza” caratterizzante nei rapporti.
Se Mons. Francesco è stato Assistente Nazionale dell’Azione Cattolica, male farebbe se livellasse tutti sull’Azione Cattolica (anche se non ho niente di male da dire nei confronti di questa).

Come ormai tutti sanno, il nostro nuovo vescovo si chiama Francesco. Soprattutto in Italia, un nome migliore di questo non si poteva trovare. E’ vero che i santi che si chiamano Francesco sono tanti. Ma a noi viene in mente “il Poverello d’Assisi”. Uomo convertito e ricco di carismi.
Umanamente parlando, non mi sarebbe dispiaciuto se si fosse chiamato Quinto Fabio Massimo. In realtà un po’ lunghino da scrivere, come nome. Però questo personaggio romano era chiamato “il Temporeggiatore”. E’ proprio questo appellativo che attira il mio interesse. Meglio dire: esprime le mie aspirazioni. Una realtà di Chiesa complessa e sfaccettata come quella riminese richiede la virtù di vincere la fretta, la voglia di fare tutto subito.

Amerei che il nuovo vescovo Francesco ricevesse da Dio il dono della pazienza, della attenta considerazione dei fatti, della libertà dai pregiudizi e dai vari “si dice che…”.
Le leggende metropolitane sono molto insidiose e conducono facilmente a trabocchetti.
Il suo motto dovrebbe essere “Calma e Gesso, ragazzi! Il mondo, pur se in pericolo, non finirà di certo domani!”

Così facendo lo accuseranno di essere “inconcludente”, ma nel nostro caso sarebbe un elogio.

Sono convinto che il nuovo Vescovo non abbia bisogno di troppi consigli.
Se, facendo eccezione alla mia convinzione, fossi pregato di offrirgliene uno, non sarei molto imbarazzato nel riconoscerlo. Suppongo, confortato da nuove prove, che in questo tempo – diciamo di attesa – riceverà molte, ampie e soprattutto “vere”, relazioni sulla storia pregressa della Chiesa riminese.
Certo, tali convinte informazioni non prenderanno il via dal patrono S.Gaudenzo, spiritualmente e storicamente importante ma troppo lontano per dirimere o sciogliere i nodi di oggi.
Facilmente si accorgerà che la verità giurata dell’uno non corrisponde con la verità altrettanto giurata dell’altro.

Mi guardo bene dal consigliargli a buttare tutto nel cestino.
Nel progetto di Dio tutto serve, anche un grave peccato come quello dell’uccisione del Suo Figlio.
“Per le sue piaghe noi tutti siamo stati sanati” ed ancora, “non ho altro vanto se non della croce di Cristo per la quale il mondo è stato per me crocifisso, come io per il mondo.”
Per quanto intelligente sia, non sarà facile neppure per lui comporre abbastanza correttamente il puzzle che gli si presenta dinnanzi.

Così non ci resta che giocare in “zona Cesarini”, cioè invocare una particolare luce dello Spirito Santo. Si spera che, almeno Lui, non parteggi per nessuno…

Non pochi sono rimasti interdetti – meglio dire, però, sorpresi – dai criteri con i quali il nuovo Vescovo è stato presentato. Storicamente comprensibili, ma di certo inadeguati in prospettiva di fede. Mi riferisco al fatto che si è molto sottolineato ed interpretato, in vista del futuro, il fatto di appartenere, “con la massima responsabilità” all’Azione Cattolica.

Un amico, con un pizzico di evidente ironia, mi ha detto: “Caro don Piergiorgio, a voi preti questi dettagli interessano. Noi, poveri laici, saremmo più interessati a conoscere quali delle Beatitudini evangeliche è propenso ad incarnare…”

Pretendereste forse di dargli torto?
Piergiorgio Terenzi
8 luglio 2007


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