Ma tu, sogni in italiano o in dialetto?

C’è un buon motivo, se già dall’inizio nel mio sito ho inserito le sezioni Dialetto e Tradizioni.
Sono nata in campagna, a Sala di Cesenatico. Per i primi tre/quattro anni della mia vita ho sentito parlare unicamente il dialetto e di conseguenza ho balbettato le prime parole in questa lingua: sì, sono nata dialettofona.
Poi, col trasferimento al mare (erano i tempi del boom economico, primi anni Sessanta, quando con qualche cambiale ci si poteva lanciare nell’avventura ed iniziare a tirar su una pensioncina) ai miei genitori venne detto che non andava proprio bene che una bimbetta parlasse in dialetto: bisognava iniziare ad insegnarle l’italiano.

Immagino la loro fatica. In pratica, in casa si incominciarono ad usare due lingue: l’italiano con me – la piccola da affrancare dalla campagna – e il dialetto con gli altri figli.
Teresa, Tiziana e Domenico, di qualche anno più grandi di me, sono stati dunque salvati dal dato anagrafico. Un’abitudine, quella della doppia lingua, mantenuta poi per tutta la loro vita. Che fortuna: una mamma e un babbo poliglotti (e bravi)!
Le mie sorelle e mio fratello si sono sempre rivolti loro in dialetto, dando del “voi”, perché così si usava.
Mà, av voj bén”: sembra strano, vero, che un uomo di quasi sessant’anni si rivolga con questa frase (“mamma vi voglio bene”) alla vecchietta ormai sfinita stesa nel letto d’ospedale? Non era un “voi” distante. Era caldo, abbracciava.
E valeva di sicuro molto più di quel freddo “tu”, che sarebbe stato in una lingua straniera, non loro.
Quando mi imbatto in una canzone, un testo teatrale o, semplicemente, un dialogo privato nella lingua dei miei genitori, sento qualcosa che si muove dentro, che si apre. Una sensazione simile a quella che provo quando ascolto certe composizioni di Mozart, non so perché…
Il dialetto, lingua orale, muore.
Muore con i vecchi.
Muore nel momento in cui se ne vanno coloro che “sognano in dialetto” (a dirla con Gianfranco Miro Gori, il sindaco-poeta di San Mauro Pascoli).
E allora, cosa si può fare?
Qualcosa in provincia di Rimini si muove: nei giorni scorsi, ad esempio, è stato presentato il progetto “In viaggio con il dialetto!”. Si tratta di itinerari didattici per i ragazzi delle scuole della Valconca e della Valmarecchia, coordinati e condotti da Gabriele Bianchini e Vincenzo Sanchini.
Iniziativa encomiabile, anche se la sempre più alta presenza di ragazzi stranieri nelle nostre aule mi fa pensare che sia già troppo tardi, che progetti di questo tipo si dovevano fare dieci-quindici anni fa.
Anche il poeta milanese Franco Loi esprime i suoi dubbi sul dialetto nelle scuole: in proposito vi invito a leggere un suo interessante articolo (pubblicato su Il Sole 24 Ore), che ho trascritto qui.

E adès, av salut!


Ah, e se proprio volete sapere in quali panni mi sento più a mio agio quand a scor in dialèt, guardate qui

[tags] dialetto, tradizioni[/tags]

6 pensieri su “Ma tu, sogni in italiano o in dialetto?

  1. Shaindel

    Bellissima iniziativa…! :mrgreen: io i dialetti li trovo affascinanti perché secondo me sono una importantissima forma d’espressione e d’identità di un determinato popolo 🙂 peccato che stiano morendo 😥

  2. Princy60

    Anch’io, per fortuna, ho imparato il genovese dai nonni anche se, a me, si rivolgevano in italiano.Ho qualche perplessità sul dialetto “scolastico” ma è sempre meglio di niente. ;-)***

  3. orso

    Buonasera Signora, L chiedo scusa se Le mando questo messaggio, ma volevo chiederLe se potevo mandare un racconto malinconico e triste che riguarda il sottoscfritto. Si tratta solamente di una piccola storia che non riguarda la materia che tratta Lei di solito. Sono stato “attirato” dal nome del suo blog.
    La ringrazio se vorrà farmi sapere la Sua eventuale disponibilità.
    Cordialemnte.
    Un orso del Trentino.

  4. Luca

    intanto io mi vanto di parlare due lingue l’italiano ed il genovese, nella sua variante levantina, perchè si il genovese è classificato come una lingua e non come un dialetto
    http://it.wikipedia.org/wiki/Genovese

    La lingua ligure o genovese, è la lingua della mia infanzia di mia nonna dalla finestra che ci chiamava per il pranzo “figgieeeeeeeuuuuuuuu vegni l’è n toa”
    o dopo una marachella “posscitou esse alligou” una sorta di mortacci tua… è la lingua della mia gente quella che sento da una vita …sempre meno ma pur sempre una lingua, è pur vero che uno studio ultimamente ha sentenziato che ogni anno muoiono centinaia di lingue/ dialetti e non ci possiamo far niente, le iniziative sono belle ma servono a poco per la nostra esperienza qui ci sono associazioni culturali di teatro dialettale ect ect ma si parla sempre meno è naturale.. c’è un posto dove ho sentito la vecchia lingua ma è in california o in altri paesi lontani dove l’italiano non ha imbastardito il genovese

  5. Cristella

    La lingua pura genovese in California! Grande, Luca! E’ molto bella, questa tua testimonianza. Quando ho inviato il mio libro “Trama e ordito” (che contiene molte frasi in dialetto) a cugini di mia madre nati a Buonos Aires, mi hanno telefonato dicendo, in dialetto spagnoleggiante: “Era la lingua con cui si parlavano fra di loro i nostri genitori romagnoli, scomparsi da più di trent’anni. Ci hai fatto rivivere i tempi dell’infanzia, stranieri nella terra dove siamo nati, e la loro nostalgia di casa…”

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