Settembre 1944: l’Arco, il Ponte e il sehr geherter Herr Willi…

In questi giorni più di una volta col pensiero sono andata allo stesso periodo d’inizio autunno di 64 anni fa. Tempi conosciuti in parte attraverso i racconti di chi c’era, soprattutto di mia madre e di altri parenti e conoscenti anziani (io sarei nata 14 anni dopo, ma quei giorni hanno influenzato – per forza! – anche la mia vita…).
In copertina: nei pressi dell'Arco d'Augusto un carro armato alleato impantanato nel fango causato dalle abbondanti piogge

Nel settembre/ottobre del 1944 la Romagna, specialmente la zona compresa fra i fiumi Marecchia Rubicone, Savio – la stessa dove sono cresciuta e dove vivo – era sconvolta da piogge torrenziali che aggiunsero tragedia a tragedia, rallentando l’avanzamento del fronte della Linea Gotica. Da una parte i tedeschi che resistevano, dall’altra gli alleati che avanzavano.

Della vicenda tragica riferita alla mia famiglia ho già scritto nel libro “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”, ma volendo documentarmi anche storicamente su tale periodo, in queste settimane ho ripreso in mano alcuni libri del professor Amedeo Montemaggi, che alla Linea Gotica ha dedicato una vita di studi e ricerche.

Fra le altre interessanti notizie, mi ha fatto riflettere il racconto del salvataggio, direi “fortuito”, dei due monumenti-simbolo della città di Rimini. Mentre il Tempio Malatestiano venne squarciato e quasi completamente distrutto dai bombardamenti alleati del 29 gennaio 1944, l’Arco d’Augusto e il Ponte di Tiberio si salvarono proprio “per il rotto della cuffia”.

Ecco cosa scrive Montemaggi.

Il 21 settembre 1944 è il giorno in cui gli alleati entrano a Rimini.

“La nostra ritirata si è effettuata nella notte fra il 20 e il 21 secondo i piani, favorita dal maltempo che ha diminuito l’efficacia dei riflettori nemici ed ha impedito l’impiego delle forze aeree. Le nostre divisioni sono pronte a difendere la nuova Linea Adelheid… Il numero dei tank distrutti nella giornata di ieri è salito a 113…”

Così i primi rapporti tedeschi del 21 settembre 1944, giovedì, giorno della liberazione di Rimini.

Nella notte e nella mattina del 21 Rimini viene attaccata da tre direzioni: sulla costa dai greci della 3^ Brigata di montagna, a sud-ovest dai Canadesi del 48° Regt. Highlanders e più all’interno dai Patricia che, superato il Marecchia a San Martino in Riparotta, convergono verso le Celle sulla via Emilia…

La difesa dei paracadutisti tedeschi, supportati dai Tigre del Reparto 508, è strenua e rallenta la spinta greco-neozelandese sulla costa verso Viserba e Bellaria, sulla strada per Ravenna.

A Rimini i paracadutisti avevano ricevuto l’ordine di abbandonare la città senza combattere, previa distruzione dei numerosi ponti sull’Ausa, sul Marecchia e sul deviatore del Marecchia (7 ponti stradali fra cui il bimillenario ponte di Tiberio e 4 ponti ferroviari). I pionieri (i genieri) dovevano far saltare anche i palazzi d’angolo delle vie e piazze principali, affinché le loro macerie impedissero il passaggio ai veicoli ed ai carri armati nemici. I pionieri si mettono al lavoro. I ponti erano stati minati da mesi e i fornelli da mina erano “consegnati” da un reparto all’altro nel corso degli avvicendamenti delle truppe di guarnigione. Gli ultimi quattro ponti vengono consegnati al I. Battaglione Pionieri paracadutisti. Due saranno fatti saltare subito, due – compreso il Ponte di Tiberio – all’ultimo momento, quando tutti i tedeschi si saranno ritirati.

La distruzione dell’Arco d’Augusto e del Ponte di Tiberio era affidata agli esplosivi del maresciallo Willi Trageser, della 2. Compagnia.

Rimini e la romanità devono molto a Willi Trageser.

Innanzitutto egli si rifiuta di far saltare l’Arco d’Augusto.

“Il compito affidatogli dai superiori doveva essere eseguito materialmente da un giovane graduato originario dei Sudeti, di cui Trageser non ricordava il nome – racconterà un suo collega – Trageser personalmente diede l’ordine di non fare saltare l’arco, assumendosene la piena responsabilità… Gli pareva assurdo distruggere un monumento storico del genere per non ottenere alcun risultato, dato che l’arco era isolato in mezzo ad una piazza e quindi il traffico avrebbe potuto continuare benissimo.

E il nostro Ponte di Tiberio?

La notte sul 21 settembre Trageser prese in carica gli otto fornelli da mina, già scavati da alcuni mesi sotto il piano stradale in corrispondenza dei quattro piloni centrali e contenenti ciascuno una ventina di chili di hammonal, un esplosivo igroscopico di fabbricazione francese forse usato nelle foreste per abbattere gli alberi. I fornelli, collegati a catena, usavano come detonatori secondari di fortuna dei pezzi di grondaia di circa mezzo centimetro. Quando l’ultimo paracadutista uscì dal Corso d’Augusto ed attraversò il ponte Trageser provocò l’esplosione (le pietre del ponte ne portano ancora il segno…).

“Ma c’era un certo accavallamento di fili – scriverà nel 1969 il suo amico e collega Georg Schmitz – per cui ci fu solo un’esplosione parziale che non fece alcun danno.” Effettivamente l’uso delle grondaie fu la salvezza del ponte perché il detonatore funzionò male e solo due fornelli esplosero, provocando lievi danni (l’esplosivo dei sei fornelli non deflagrati rimase nascosto per 13 anni e fu scoperto durante la riparazione del piano stradale il 29 gennaio 1957).

Dopo aver comunicato l’insuccesso al Comando (così era l’ordine) Trageser ci riprovò una seconda, una terza volta… ma ci fu solo fumo e niente arrosto. Il ponte rimase com’era.

“Il nemico era in vista – continua Schmitz, teso da una parte a giustificare l’abilità professionale di un pioniere paracadutista – e non era certo facile porre in funzione cariche ineccepibili.”

Comunque il fumo dovette essere molto se Trageser riferì al Comando “certo in buona fede” che il ponte era saltato.

C’è da dubitare fortemente che l’abile geniere tedesco non si fosse accorto che le cariche erano insufficienti e che il ponte era ancora intatto. D’altra parte la sua distruzione non avrebbe portato a un gran risultato pratico perché subito a monte del ponte il greto ghiaioso del fiume non avrebbe ostacolato il passaggio dei veicoli nemici.

Comunque dobbiamo essere grati a Trageser per il suo “errore” che salvò il monumento.

Esiste anche un’altra versione, secondo la quale sarebbe stato l’Alto Comando tedesco ad ordinare che il ponte fosse risparmiato, ma l’emanazione di tale ordine – riferisce Montemaggi – non risulta ai genieri paracadutisti tedeschi, così come non risulta che analogo ordine del ten. col. Rudolf Rennecke, comandante del Reggimento Paracadutisti, noto come salvatore del ponte e dell’arco.

Secondo la documentazione dei pionieri il salvatore del ponte fu il Feldwebel Willi Trageser, che avrebbe dovuto demolirlo insieme con l’arco.

5 pensieri su “Settembre 1944: l’Arco, il Ponte e il sehr geherter Herr Willi…

  1. irishpeople

    ciao Cristella e grazie per questo consiglio storico-letterario (che seguirò quanto prima anche se da leggere non manca)… per quanto riguarda quel periodo io chiaramente non l’ho vissuto direttamente, ma attraverso le parole di mio padre (a quell’epoca aveva 7 anni) in alcuni suoi ricordi di quando, durante i bombardamenti, che miravano a colpire la ferrovia, lui e i suoi genitori si rifugiavano proprio sotto i ponticelli (che ancora oggi esistono) della ferrovia stessa…

  2. Massimo Burioni

    Grazie per la segnalazione. Sullo stesso periodo ti consiglio il romanzo di Silvia Di Natale, “All’ombra del cerro”, ambientato nella parte alta della linea Gotica, quella che attraversava il confine tra Romagna e Toscana.

  3. cristella

    ancora per Massimo: ho visitato velocemente il tuo sito e vedo che sei delle Balze. Ci sono stata tante volte in vacanza, da bambina (ci passavamo tutto il mese di settembre, in affitto nella casa della signora Zelide). Ci sono poi tornata alcune volte anche ragazza (con gli scout) e da adulta con le mie bambine. Ricordo vagamente che si faceva una camminata verso il Senatello, dove c’era una lapide (o un cippo…) a segnare il luogo in cui per la guerra vennero uccisi dei partigiani… Giusto?

  4. Massimo Burioni

    Giusto, c’é una cappella sul luogo dove furono ammazzati i fratelli Bimbi. Se andavi in vacanza alle Balze é anche possibile che ci siamo incontrati, io ho vissuto lí fino alla metà degli anni 80, adesso vivo in Belgio, ma ci vado ancora regolarmente in estate, Natale e Pasqua. Un salutone!

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