Gnocchetti in zuppa di seppia: Viserba e Cesenatico uniti a tavola

La buona cucina è fatta anche di sperimentazioni, giusto?

Era da un po’ di tempo che cercavo la ricetta dei “monfettini in brodo di seppia” che avevo molto apprezzato, qualche mese fa, in uno dei caratteristici ristoranti che guardano in faccia il porto di Cesenatico. In rete ho solo avuto conferma che si tratta di una zuppa tipica di questa zona della Romagna, ma sulla ricetta… niente… mistero.

Quindi mi sono rivolta a Sciura Marinella, la mia super cognata che insieme a mio fratello gestisce l’hotel Sporting, proprio a Cesenatico.

“Maddai, Cri – mi ha detto – è una delle preparazioni più semplici. Che vuoi che sia: si fanno i monfettini, si prepara la seppia, eccetera eccetera…”

Beh, sarà semplice per lei, abituata a trattare i suoi clienti con la stessa cura con cui vizia mio fratello e mio nipote.

Quindi mi sono fatta spiegare per bene i vari passaggi, che ho ricostruito (e documentato con foto) sabato scorso. Sui monfettini, però, ho fatto una variante viserbese, utilizzando i saperi dell’altra enciclopedia vivente che per mia fortuna ho ancora a disposizione, mia suocera Malvina. I monfettini cesenaticensi altro non sono che i monfrigoli. Ah, non sapete cosa sono i monfrigoli? I monfrigoli altro non sono che i battutini. Ancora poco chiaro? Insomma: avete presente la pastina all’uovo della Barilla detta “grattoni”? Ecco, quelli. Eventualmente, comprateli già fatti.

I monfrigoli a casa mia si facevano spesso. Innanzitutto perché molto veloci da preparare, ma anche perché a basso costo. In pratica si tratta di farina e uova, come per la sfoglia delle tagliatelle. L’impasto, però, non viene tirato sottile col matterello, ma tritato con un coltello.

Da Malvina, invece, ho imparato a fare i gnocchetti: una variante dei monfrigoli che aggiunge alla farina bianca un po’ di farina gialla e usa un uovo soltanto.

Ecco dunque le due ricette.

Gnocchetti di polenta della Signora Malvina
Avvertenza: poiché a casa della signora Malvina c’è sempre posto per chi arriva all’ultima ora, le dosi proposte sono sull’abbondante. Il mio consiglio è il seguente: preparate tranquillamente tanti gnocchetti e cucinate solo quelli che secondo voi possono bastare. I rimanenti li stendete in un vassoietto e li congelate per mezzora. Una volta induriti, li raccogliete in un sacchettino (sempre da tenere in freezer), pronti da buttare nel brodo, così congelati, alla prossima occasione.

Ingredienti

4 hg di farina gialla
2 hg di farina bianca
un uovo
un cucchiaino di sale
acqua tiepida (quanto basta)

Preparazione

gnocchetti

In una terrina unire le due farine, aggiungere l’uovo, il sale e l’acqua tiepida fino ad ottenere un impasto piuttosto sodo. Farne una palla, coprire con un panno pulito e lasciare riposare almeno un’ora.

Col matterello stendere una sfoglia dello spessore di 3-4 mm (per facilitare questa operazione, spolverare l’impasto con abbondante farina).

Tagliare la sfoglia così ottenuta, prima a striscioline, poi a cubetti.

Far cadere la farina in eccesso raccogliendo i gnocchetti a dita aperte.

Questa pasta povera è molto adatta per le zuppe di legumi (fagioli, ceci), ma anche per la zuppa di seppie. Ottima anche quando viene riproposta il giorno dopo, riscaldata. Un po’ come con i passatelli in brodo…

Zuppa di seppia

Ingredienti

8 hg circa di seppia cruda tagliata a cubetti molto piccoli
½ cipolla tritata
1 spicchio di aglio (schiacciato intero, da togliere alla fine della cottura)
½ bicchiere di vino bianco
½ bicchiere di olio extra vergine di oliva
1 barattolo (anche meno) di salsa di pomodoro
sale, pepe, peperoncino (se piace)

Preparazione

zuppa

In una pentola versare l’olio, fare imbiondire la cipolla e lo spicchio d’aglio, aggiungere la seppia tritata e farla cuocere, mescolando con un cucchiaio di legno, per 2-3 minuti.

Aggiungere il vino, farlo evaporare.

Aggiungere la salsa, sale, pepe, peperoncino e fare insaporire per 5-10 minuti.
A questo punto aggiungere acqua fino ad ottenere la quantità sufficiente per la vostra zuppa.

Fare sobbollire un altro po’ (non tantissimo: la seppia non vuole cotture prolungate). Assaggiare ed eventualmente aggiustare di sale, gettare i monfettini/monfrigoli/gnocchetti (due cucchiaiate colme per ogni commensale sono una dose da dieta; se avete a tavola gente che richiede il bis, come capita sempre qua da noi, state pure sull’abbondante. Tanto, lo garantisco, questa zuppa è buona anche il giorno dopo!).
Lasciare cuocere per 3 minuti circa.
La casa, a questo punto, sarà già stata invasa dal profumo. I familiari, così richiamati saranno lì, pronti già col cucchiaio in mano.

Se la ricetta vi verrà bene, mandate un saluto a Marinella, Malvina e Cristella.

fine

Av salut!

Un quartiere Coriandoline a Rimini. Perché no?

coriandoline

Un invito da non perdere: alle ore 16 di domani, sabato 6 dicembre, presso l’Osteria di Harissa in via Tonini 16/a (di fronte al Museo di Rimini) si parlerà di Coriandoline.

Incuriositi, vero? Coriandoline è un quartiere di Correggio pensato e voluto sulle esigenze degli abitanti a partire dai bambini, inaugurato il 16 settembre scorso. La sua storia ha fatto il giro dell’Europa e il 28 novembre ha anche occupato due pagine de Il Venerdì di Repubblica.

“Non sono case di e per ricchi – recita la locandina -Ma un quartiere abitato da famiglie comuni. Un sogno realizzato da una comunità coi piedi per terra.”

Durante l’incontro riminese si cercherà di capire il segreto delle Coriandoline e,
soprattutto, se si tratta di un modello esportabile anche da noi.

Il programma del pomeriggio prevede la proiezione del cortometraggio realizzato dai progettisti di Coriandoline (“Il manifesto delle esigenze abitative dei bambini”); l’intervento di Luciano Pantaleoni, architetto ANDRIA (cooperativa di abitanti e progettista delle Coriandoline) dal titolo “Coriandoline: il quartiere amico dei bambini e delle bambine”; l’intervento di Pietro Leoni (coordinatore del Piano strategico del Comune di Rimini) dal titolo “Da Coriandoline a Rimini: il piano strategico”.

Perché Cristella dovrebbe andare a questo incontro?

Certamente per curiosità. Poi per un’ispirazione: anche lei, da bambina, disegnava spesso delle case. Col tetto a spiovente, la porta nel mezzo e due finestre di qua e di là, il sentiero, le aiuole, qualche albero, le colline. E oggi, all’età di cinquant’anni. una casetta come quella dei suoi disegni pastellati è tuttora il sogno di Cristella.

Avete presente la canzone? “Volevo una casetta piccolina in Canadà, con qualche…” Quella, proprio quella.

Chissà, forse nell’età del pensionamento – Re Consorte permettendo! – la nostra Reggia sarà proprio così.

Intanto, a Coriandoline la Casa Castello c’è.

E il bimbo che l’ha sognata la descrive così:

I cattivi in questa casa non ci entrano.
Primo perché è un castello
e loro hanno paura
e poi perché c’è tutto un muro di ferro intorno alla porta
e loro se spingono si fanno male e si pungono.
E’ bello vivere in un castello,
anche se piccolo,
perché ha delle forme tutte strane
e poi uno può fare finta di essere
un principe con il re e la regina.
A volte ci sono anche delle principessine che rompono.

nota di Cristella: non può essere che un maschietto, ad aver immaginato un Castello con delle principessine “che rompono”. Simpatico comunque, il bimbo, vero?

Rimini si racconta e Cristella: parole incrociate senza schema

“Sa soi? La sérva ad Zòfoli?” (cosa sono, la serva di Zoffoli?).

Chissà quante volte, in Romagna, abbiamo sentito questa frase curiosa. L’amico professore-blogger-scrittore-storico Antonio Montanari Nozzoli ne parla qui, nel suo ultimo post di Rimini si racconta, all’interno della rete dei blogger della Provincia di Rimini (di cui fa parte anche Cristella, nelle vesti di Bèla Burdèla), per spiegarne la provenienza bolognese.
Sarei curiosa di sapere se anche in altre regioni d’Italia esiste qualcosa di simile.

A corredo di quanto scritto da Antonio, ricordo solo che sono molti i modi di dire che trovano origine da nomi di persone realmente esistite.

A Rimini, ad esempio, si dice ancora “paga Palòni” (paga Palloni) o “di sò, t’an sì miga e’ fiòl d’Palòni” (di un po’, non sei mica il figlio di Palloni!) con riferimento a una delle famiglie più ricche dei primi decenni del secolo scorso.

Oppure “tàca, Bilòz!” per il fisarmonicista cieco immortalato anche da Fellini in Amarcord.

Mentre “t’è son, Barbanti?” (hai sonno, Barbanti?) richiama una storia boccaccesca realmente accaduta nell’ambiente del porto…
Palloni, Zoffoli, Bilòz, Barbanti… e via nominando.

Beh, ce ne sarebbe da scrivere! Magari aggiungeremo post di man in mano che ci verranno in mente. Ok, prof.?

La neve di sant’Andrea

A Rimini l’abbiamo vista martedì mattina. Un paio d’ore, giusto per gradire. Verso le dieci era già sparita. Oggi, atmosfera decisamente uggiosa, sembra essere lì lì per arrivare. D’altronde, anche i proverbi lo dicono:

Par sant’André
o che néva o ch’ l’ha anvé.

Per sant’Andrea o che nevica o che ha nevicato.

Andrea Apostolo è il santo del 30 novembre. Dopodomani, quindi.

E questa volta il proverbio sembra dire proprio il vero.

Imparo anche – dal libro “Proverbi romagnoli” a cura di Umberto Foschi, Maggioli Editore Rimini 1980 – che le notti del 28, 29 e 30 novembre sono le più oscure dell’anno. Nel dialetto di Ravenna queste notti sono dette “i bur ‘d sant’André” e ispirano un altro proverbio:

Int i bur ‘d sant’André
o luna o lanterna s’t a t’vu sicuré e’ pé.

Nelle notti  buie di Sant’Andrea
o luna o lanterna se vuoi mettere al sicuro il piede.

Se poi invece della neve dovesse cadere la pioggia, tanto meglio. Perché:

Se e piov e’ dé ad sant’André
piènta l’ort e no i pensé.

Se piove il giorno di sant’Andrea, pianta l’orto e non pensarci.

Come volevasi dimostrare: la saggezza popolare si adatta ad ogni situazione…

 

Le cantarelle di Cristella

Dicesi cantarella una preparazione tipica romagnola fra le più semplici e povere. Acqua e farina, così come per la piada. Ma in proporzioni diverse. Anche la cantarella, come gli altri cibi del territorio, cambia ricetta di famiglia in famiglia. Un po’ come il dialetto, dove inflessioni e cadenze hanno mille sfumature e passano, negli anni, da padre in figlio (o da madre in figlia, quando si parla di cucina).

Féma dù cantarèli?”(facciamo due cantarelle?), era la proposta che a noi bambini faceva venire l’acquolina in bocca.

Ui vò la tègia ròssa e la legna bòna”, mi ha detto oggi, convinta, la Pierina d’e’ Zàqual, dall’alto dei suoi 97 anni. La teglia rossa per dire che il fuoco, sotto alla padella o alla teglia da piada, deve essere fortissimo, fino ad arroventarla. La legna buona, perché il modo migliore per cucinare le cantarelle sarebbe sopra un bel fuoco vero, nel camino o nella vecchia stufa a legna.

Dovendo arrangiarsi con l’attrezzatura presente nelle cucine moderne, Cristella ha usato una padella antiaderente posta sul fornello a gas aperto al massimo.

La ricetta è davvero semplice: si fa una pastella piuttosto densa con un bicchiere di acqua, ½ bicchiere di latte, 4 cucchiai colmi di farina, un cucchiaino di sale, un cucchiaino di bicarbonato. Quando la padella è molto calda, usando un mestolo si versa un poco di pastella fino a formare un disco del diametro di circa 10 centimetri. Si lascia cuocere da una parte per un paio di minuti (si formano delle bolle). Quando la cantarella si stacca facilmente dalla padella, la si gira dall’altro lato e si cuoce ancora per un minuto circa. Si continua così finché si finisce la pastella. Per mantenere tiepide le cantarelle, si dispongono in un piatto una sopra all’altra.

Il condimento tradizionale – il migliore in assoluto, secondo Cristella – prevede una spruzzata di zucchero semolato e un filo di buon olio extra vergine di oliva.

Hmmm! Mangiare per credere! Morbide, profumate, il sapore ricorda l’infanzia, apre il cuore, la pancia, la memoria…

Un’altra versione, pure questa legata ai sapori di casa, prevede la farcitura con composte dolci fatte dalle brave arzdore di una volta: e’ savor (o savour), la saba, i fichi caramellati, le marmellate casalinghe.

Le cantarelle, nella loro semplicità, sono strettamente imparentate con i pancakes anglosassoni, i blinis russi e le crèpes francesi. A casa mia si preparavano, di solito, in inverno, durante il Carnevale. E comunque di sera, dopo cena (tenendo presente che si cenava poco dopo il tramonto, verso le 18!).

Per chi volesse provare, potrebbero diventare anche una buona merenda. Genuvina genuvina!

Buon appetito!

Impasto

La cottura

La doratura

sono cotte!

e sono buone!