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La balena della Barafonda. Quando il mare si colorò di rosso

Questa sera rispondo all’amico Gigi di Wikicity che mi ha chiesto se avessi notizie sullo spiaggiamento della balena avvenuto a San Giuliano Mare (o Barafonda) nel 1943, episodio descritto anche da Federico Fellini. Nel suo sito Gigi ha già inserito qualche riferimento, così come le notizie di altri spiaggiamenti di cetacei sulle spiagge riminesi.
Curiosa come sono, e stimolata dalla richiesta, ho ricordato di aver letto la storia raccontata da diversi autori locali e di avere del materiale nelle mie librerie.
In un libro di Benito Colonna (“La mia Rivabella”, edizioni Chiamami Città, 2000) intanto, ho trovato un paio di fotografie che provo a postare. C’è anche un bel racconto. So che anche Anna Rosa Balducci ha scritto della balena (da qui il nome del suo blog “Sto con le balene“).
Voglio però dare spazio alla versione raccontata da Guido Lucchini in “Barafonda. Storie di gente alla buona e versi in dialetto romagnolo” (Pietroneno Capitani Editore Rimini, 1996), che trascrivo qui di seguito.
Il capodoglio
Era l’aprile del 1943. La Barafonda si svegliò con una grande sorpresa.

Pino (Bignardi) nel recarsi come ogni mattina ancora buio ai suoi “cugòll” (reti da posta messe a circa 100 metri dalla riva), arrivato sul posto con il suo moscone a remi avvertì nelle vicinanze un sommesso sbuffare, come fosse una locomotiva sotto pressione e guardando dalla parte dove udiva questo “rumore” intravide una massa scura.

Una grossa gobba sporgeva dall’acqua; con una certa apprensione ed un po’ di timore addosso, si avvicinò con prudenza alla “cosa” constatando che si trattava di un grosso pesce. Allora, dando forza ai remi, si affrettò a riva.

Corse a casa e mentre s’impossessava di una “resta” (lunga corda per la pesca con la tratta) chiamò suo padre (“e’ Nin”) per metterlo al corrente della sua scoperta.

In poco tempo padre e figlio arrivarono sopra il grosso pesce e, mentre “e’Nin” teneva i remi del moscone, Pino si tuffò in acqua, legò la corda attorno alla coda del pesce per poi portarla a riva dove veniva legata ad una “stanga” (palo per la posa in mare dei cogolli). Con il fare del giorno arrivarono i primi curiosi.

La balena sulla spiaggia

In un baleno la notizia si sparse per tutta la Barafonda e, di conseguenza, per tutta Rimini. Già le Guardie di Finanza, avendo la caserma nelle vicinanze, erano sul posto. Arrivarono giornalisti, fotografi, autorità civili e militari, gente dalla città e dai paesi vicini come fiume in piena. Si decise di tirare a riva il pesce.

Si seppe poi trattarsi di un capodoglio arenatosi in questa zona chissà per quale ragione. Molta gente si “attaccò” alla corda (forse un centinaio di persone) ed al comando di qualcuno si cominciò a tirare.

Appena il grosso cetaceo si sentì tirare per la coda (fu calcolato del peso di 70-80 quintali, 12 metri di lunghezza), dette uno strattone rovesciando a terra tutti quanti. Si pensò allora ai buoi di Bastunè (Poni) che aveva la propria casa nelle vicinanze (l’attuale Centro Anziani Casa Colonica). Bastunè, poco dopo, era lì con due paia di buoi che vennero subito attaccati alla corda.

Anche questa volta, appena il capodoglio si sentì tirare per la coda, dette un’altra sventagliata trascinando a terra le povere bestie.

Il contadino si affrettò a riportarle subito nelle proprie stalle.

Intanto l’afflusso della gente aumentava.

Qualcuno improvvisò depositi di biciclette, accorsero venditori ambulanti di ogni genere. Ragnon (Roberto Conti), “s’la batèna” (con la battana, la vongolara), portava i curiosi (naturalmente a pagamento) a fare un giro attorno al capodoglio.

Insomma, un po’ tutti trovarono il modo di fare qualche soldo, all’infuori dei Bignardi, padre e figlio, che non presero una lira.

Poi arrivò il colpo di genio (forse della Capitaneria o forse della Finanza). Insomma, si pensò di uccidere la bestia, piuttosto che pensare di cercare di trascinarla al largo, magari con un barcone a motore.

Così si fece intervenire l’Esercito.

Con una mitragliatrice piazzata a prua di una barca si giustiziò il povero cetaceo che forse non chiedeva altro che la sua libertà verso il grande mare.

Durante l’esecuzione il capodoglio impennò la grande coda in alto, come triste sventolio di una funesta bandiera.

Il mare cominciò a tingersi di rosso.

Una macchia sempre più grande dal molo arrivava sino allo scaricatore del Marecchia. La gente rabbrividì nel vedere il grosso cetaceo divincolarsi, rotolarsi, con la coda in alto durante lo spasimo della morte, e tutto finché la mitraglia tacque.

La gente se ne andò a testa bassa.

I giorni che seguirono non ebbero storia.

la balena sulla spiaggia

Il capodoglio, trascinato a riva, andò subito in putrefazione gonfiandosi sino a diventar circa il doppio.

Un puzzo nauseante, trasportato dalla brezza del mare, entrava in tutte le case della Barafonda. La carcassa fu venduta ad un certo Malatesta per farne sapone.

Intanto che veniva squartato quasi tutte le donne (essendo tempo di guerra e tutto era razionato), riuscirono a portare a casa il loro tocco di polpa.

Ne avrebbero fatto sapone per il bucato, senza pensare che, come conseguenza, lo sgradevole odore si sarebbe trasferito su lenzuoli, federe, tovaglie, fazzoletti.

La vera piada sfogliata riminese: Malvina docet

Michele Marziani, esperto di cibi non solo romagnoli, nel suo libro La cucina riminese tra terra e mare” dice di lei: “Tipica dell’area di Rimini e Riccione, è un’ode allo strutto, un inno al palato. Bella, grande, ricca di strutto, è cosa per golosoni e per braccia robuste. Tirarla col matterello non è semplice, ma il risultato è di quelli da grandi occasioni.”
Ma cosa sarà mai questo oggetto del mistero, inno del palato da riservare ai giorni di festa?

Si tratta della piada sfogliata riminese, ormai introvabile se non in qualche casa dove c’è ancora una nonna di buona volontà e di ottima memoria.
Una risorsa così preziosa non manca di certo, nella reggia di Cristella.
Ecco allora giunto il momento di presentare la signora Malvina, la mia suocera riminese doc, nonna sempre attiva e depositaria delle ricette tramandatele negli anni. Le sono state maestre sua nonna Elisa e sua suocera Rosa, arzdore nate verso il 1880-1890.
Quando nonna Malvina decide di regalare la piada sfogliata è festa, in famiglia: non è mica roba di tutti i giorni! Al massimo a Carnevale e forse un’altra volta o due durante l’anno. Perché la preparazione richiede almeno una mezza giornata di lavoro, tanta pazienza e una manualità che ormai s’è perduta.
Dopo lo stretto corteggiamento di nuora e nipote, la nonna ha ceduto e sorride davanti alla videocamera mentre spiega i vari passaggi della ricetta. Fiera di passare i suoi saperi alle due generazioni più giovani della famiglia.
La protagonista di questa sinergia fra donne è quindi lei, l’arzdora Malvina.
Fondamentale, però, anche il ruolo di Dora, la nipote esperta webmaster e studentessa di nuovi media alla Facoltà di Scienze di Tor Vergata. Così come fatto con la prima ricetta (ricordate gli strozzapreti?) che ad oggi è stata visualizzata da quasi 900 persone, Dora partecipa al progetto come regista, filmando il tutto e occupandosi del successivo montaggio e della destinazione finale su Youtube. Nel mezzo, come il prezzemolo, Cristella, nuora di Malvina e mamma di Dora, anello di congiunzione con idea e testi.
Mentre la nonna prepara e spiega, vengono fuori i ricordi di ragazza.
“Sapete? – racconta – Quando mia suocera Rosa negli anni Venti era la cuoca di Villa Ombrosa, la proprietaria, la contessa Gemmamaria, le ordinava le piade sfogliate ogni volta che aveva ospiti con cui voleva fare bella figura.”
Come succede con la preparazione dei cappelletti alla vigilia di Natale, anche con le piade sfogliate la preparazione diventa un rito che unisce buona parte della famiglia. Non si può affrontare l’impresa da sole: bisogna essere almeno in due o tre. Ad ognuna il suo ruolo, magari scambiandolo ogni tanto. Una tira la sfoglia, l’altra l’arrotola e la tira un’altra volta, la terza la cuoce sul testo.
Alla fine, il risultato di questo lavoro d’équipe non può che essere gustoso, a favore di familiari ed amici. Sì, perché oltre che inno alla golosità, come dice Marziani, la piada sfogliata è fatta per la convivialità, per essere mangiata in allegre tavolate riscaldate da buon vino.

Il video, parola di Cristella, stimola le papille gustative. Questo, almeno, è quanto è successo a me in fase di doppiaggio. Sarà perché la visione di tutte quelle piade impilate sul tavolo della cucina mi ha ricordato il profumo di quel giorno d’estate in cui le abbiamo gustate…
Insomma, nel video si vede come si fa e qui di seguito vi scrivo la ricetta. Gli strumenti ora li avete pure voi. Se riuscirete a copiare e cenerete con qualche piada sfogliata vuol dire che siete veramente bravi.
Io, fintanto che ho la Malvina, me la tengo ben stretta. Invidiatemi pure.
Al massimo, potreste provare a farvi invitare direttamente da lei, per la prossima “piadata” di famiglia.
Buon appetito! Ci rivediamo su Youtube alla prossima ricetta romagnola.
Ricetta della piada sfogliata della signora Malvina
Ingredienti per circa 25 piade
1 kg di farina
½ bicchiere di olio extravergine di oliva
1 bicchiere di acqua tiepida
2 cucchiai di sale

1 uovo
strutto di maiale
Preparazione
Impastare farina, uovo, olio, sale, acqua fino ad ottenere un impasto morbido. Farne delle palline della grossezza di un mandarino. Lasciarle riposare, coperte da un panno, per almeno un’ora.
Passato questo tempo tirare le palline col matterello aiutandosi con altro olio. Devono diventare molto sottili. Spalmare ogni piada con lo strutto e arrotolarla su se stessa per ottenerne un rotolo che si chiuderà a forma di chiocciolina. Lasciarla riposare ancora (un’altra ora come minimo), affinché lo strutto, sciogliendosi, “sposi” l’impasto.
Ora è il momento della seconda tirata di matterello.
Anche questa volta ci si aiuta con l’olio, perché la piada deve diventare sottilissima, ancor meglio se con qualche buco.
Una volta pronta, si stacca ogni piada dal tagliere prendendola con le due mani e si posa con delicatezza sul testo (la piastra di ghisa o di terracotta che si usa in Romagna per cuocere la piadina), che deve essere rovente.
Si rigira un paio di volte aiutandosi con un grande coltello a lama piatta.
A differenza della piadina classica, questo tipo di piada durante la cottura non va punzecchiata.
La piada sfogliata è buona anche da sola, ma per una cena da non dimenticare andrebbe accompagnata con formaggi morbidi (tipo stracchino e squacquerone) e con affettati misti.
Obbligatorio, non solo consigliato, un buon vino. Sangiovese, naturalmente.
Buon appetito!

C’è su internet, quindi è vero

“Non puoi costruire una casa senza chiodi e legname. Se vuoi che la casa non si costruisca, fa’ sparire chiodi e legname. Se non vuoi un uomo infelice per motivi politici, non presentargli mai i due aspetti di un problema, o lo tormenterai; dagliene uno solo; meglio ancora, non proporgliene nessuno. Fa’ che dimentichi che esiste una cosa come la guerra. Se il Governo è inefficiente, appesantito dalla burocrazia e in preda a delirio fiscale, meglio tutto questo che non il fatto che il popolo abbia a lamentarsi. Pace, Montag. Offri al popolo gare che si possono vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome delle capitali dei vari Stati dell’Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l’anno passato. Riempi loro i crani di dati non combustibili, imbottiscili di ‘fatti’ al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri d’essere ‘bene informati’. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza. Chiunque possa far scomparire una parete TV e farla riapparire a volontà, e la maggioranza dei cittadini oggi può farlo, sarà sempre più felice di chiunque cerchi di regolo-calcolare, misurare e chiudere in equazioni l’Universo, il quale del resto non può esserlo se non dando all’uomo la sensazione della sua piccolezza e della sua bestialità e un’immensa malinconia.”

Così si rivolge il capitano Beatty al sottoposto Montag nel romanzo di Ray Bradbury Fahrenheit 451. I due sono vigili del fuoco impegnati a distruggere tutti i libri esistenti in una fantomatica società del futuro (il libro è stato scritto nel 1951) governata attraverso la televisione.

Ho appena fatto un giro sui diversi canali televisivi, questa sera. Il menu è sempre lo stesso: quiz milionari, pacchi vari, ruote della fortuna, identità da scovare. Dall’altra parte, gente che viene uccisa in tutti i modi, sangue che scorre, odio e violenza in mille salse.

Riapro “Fahrenheit 451” alla pagina che mi aveva colpito, ieri sera, e vedo la società di oggi, dove “chiunque possa far scomparire o riapparire una parete Tv” (è l’equivalente di “chiunque tenga in mano un telecomando”) dovrebbe “essere più felice di chiunque cerchi di regolo-calcolare, eccetera…”. Almeno secondo l’intenzione di chi dirige il grande circo.

Sto leggendo “Fahrenheit 451”, che ancora mi mancava, a causa di una discussione aperta nei giorni scorsi con una persona che dovrebbe saperne più di me.
Prima di insistere su quanto affermo, di solito preferisco verificare cercando conferme. Soprattutto quando mi scontro con qualcuno che invece ritiene di essere depositario dell’unica verità.
In breve: quel qualcuno ha scritto “il celebre romanzo di Bradbury ‘Farhenait 451’ (sic!)”. Ho qualche vago ricordo delle lezioni di fisica, più di trent’anni fa, ma ascolto spesso la trasmissione quotidiana sui libri di Radio Tre e ho letto chissà quante volte del film di Michael Moore. Quindi mi sono affrettata ad avvisare Tizio del refuso in cui era inciampato, pasticciando con un paio di “acca” e con la pronuncia tedesca.
“No, no. Non è un errore. Sei tu che sbagli! – ha risposto con sicurezza – Guarda che su internet è scritto così. E poi, me l’ha confermato Caio, il mio copywriter di fiducia.”
“Mah – ho pensato – Se mi contestano in due con tanta certezza, forse sono davvero io che sbaglio. Magari il romanzo inizialmente aveva un altro titolo, forse per qualche motivo provocatorio.”

E così ho cercato il libro, che tra l’altro, come dicevo sopra, ho scoperto essere molto attuale.
Per la cronaca: è vero che se su Google si digita Farhenait si trovano 10.500 risultati, ma se si cerca Fahrenheit (scritto giusto) ce ne sono quasi venti milioni.
La convinzione di Tizio e di Caio (“C’è su internet, quindi è vero”) è la prova che questa società non solo è basata sulle verità (?) che escono dallo schermo televisivo, ma anche sulle certezze (?) che troviamo in rete.
La controprova?

Cerco un nome conosciuto a livello planetario, quello del mio concittadino più famoso. Su Google ci sono 655 siti che lo ribattezzano Federico Felini.
Va a finire che dovremo togliere un’elle all’aeroporto, qui a Rimini…

La Scorderia su Youtube

Ancora la vecchia [tag]Corderia[/tag], ancora [tag]Youtube[/tag].

Gabriele Bernardi è un giovane viserbese molto attento a quanto succede in zona e innamorato della cittadina in cui vive.

Quando, in settembre, uscirono i miei articoli sulla vecchia Corderia Gabriele mi fece vedere una bellissima raccolta di fotografie scattate da lui stesso.

“Vedrai che prima o poi ne faremo qualcosa – gli dissi – Magari potresti proporle per qualche pubblicazione o per il piccolo museo che si vorrebbe ricavare in quell’area.”

Ieri Lele mi ha fatto una sorpresa, facendomi trovare su Youtube una presentazione elaborata e musicata da Marco de Benedictis (“mago del PC”, lo definisce l’amico fotografo).

“Veramente la sorpresa l’ha fatta Marco pure a me – sorride Lele – Io gli ho soltanto dato le fotografie. Lui ha fatto tutto il resto.”

Bravi tutti e due: vedere per credere.

Da parte mia, mi affretto a segnalare il video agli interessati, che so numerosi.

Il bel lavoro di questi due viserbesi va di diritto ad arricchire la raccolta di documenti sulla vecchia Corderia che si sta un po’ alla volta formando.

Intanto, ci si muove su diversi fronti: come segnalato da Stefano Mina nel suo blog La stanza, a [tag]Rimini [/tag]c’è anche chi sta organizzando una serata a tema dal titolo significativo: “Scorderia“.

Io ci sarò.

Domus del Chirurgo: splendidi mosaici romani a Rimini

[tag]Rimini[/tag], oltre alla spiaggia e alle discoteche, c’è di più.

Questo il tono dei commenti alla notizia del giorno: in piazza Ferrari, in pieno centro storico, da ora in poi si potrà visitare un sito archeologico dalla bellezza “che toglie il fiato”, come scrivono i giornali.

Tutti ne parlano. Non solo tv e giornali, ma anche quasi tutti i blogger riminesi che leggo.

Mi ero già occupata dell’argomento qualche mese fa, quando nell’ambito del Festival del mondo antico venne presentato al pubblico il film-documentario sugli scavi della Domus.

Ed ora sono in fila, con tanti altri curiosi, per entrare e vedere coi miei occhi.

Sì, perché dopo tanta attesa ora nessuno vuole mancare.

Giustamente il Comune ha riservato ai cittadini più giovani l’onore delle prime visite, ieri, consegnando simbolicamente ad alcune scolaresche la Domus del Chirurgo.

A chi avesse voglia di farsi un giro virtuale – in attesa di poter andare di persona – consiglio la scheda dettagliata che si trova nel sito del Comune di Rimini, contenente tutta la storia del ritrovamento ed alcune suggestive fotografie. Da non perdere i servizi di Icaro Tv su Youtube, primo fra tutti questo.

Ai lettori non romagnoli: “dite la verità, lo sapevate che al di là della spiaggia e dell’interminabile fila di alberghi, negozi, ristoranti eccetera eccetera ci fosse un’altra Rimini?”