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Una chitarra mancina per delicati intrecci di note e armonie

Stefano Rava Band 

L’ho visto crescere, in questi anni, anche artisticamente.

Giovane, riminese, preparato e bravo, si chiama Stefano Rava. Quasi un nipote, direi, visto che è il figlio minore di una coppia di cari amici.

E oggi, come zia affettuosa, chiedo di votare lui e la sua band (la Stefano Rava Band) che sta partecipando come semifinalista al concorso di Radio BrunoVota la voce”, riservato a cantanti e gruppi esordienti.
La canzone in gara, parole e musica di Stefano, si intitola Mamma Betta e fa parte dell’album Berretti Blu registrato in studio la scorsa estate e pubblicato a dicembre dall’editore Mc Harmony.

Il testo del brano è piuttosto malinconico: racconta di una madre che ha perso il figlio (so che l’autore non l’ha scritto a caso e che è ispirato da un’esperienza di vita vera).
Ma Stefano non canta e scrive solo canzoni tristi. Con la sua chitarra mancina spazia in vari generi.

“Musicalmente ho un’anima portata verso il rock – dice – ma mi piace suonare di tutto: dai pezzi dei Led Zeppelin, dei Doors, dei Beatles, a quelli di Battisti e di Carosone fino allo standard da Night and Day a Stardust… In fondo, credo che il percorso artistico sia come un muro fatto da più mattoni sul quale vanno aggiunti l’intonaco e il colore che rappresentano lo stile personale. È per questo che oltre ai miei pezzi mi piace rivisitare cover e personalizzarle.”
In questi anni, oltre ad esibirsi da solo con le sue amate chitarre (Les Paul, Joe Pass, Stratocaster), ogni tanto partecipa a concerti con un quintetto di musicisti professionisti che a volte, per certi repertori, si trasforma in un’orchestra di quasi trenta elementi.
La Stefano Rava Band , di cui fanno parte Luca Piccari (batterie), Giuseppe Fabbri (piano, tastiere, cori), Diego Ricci (basso, cori), è nata per promuovere l’album Berretti Blu e le canzoni composte dal mio “nipote” musicista.

Per chi si trova a Rimini, questa sera i ragazzi suonano al Red Devil, mentre sabato 24 maggio saranno al Lord Nelson.
Per tutti, riminesi e non, ripeto l’invito: cliccate qui e votate Mamma Betta.

Grazie da “zia” Cristella.

La buona cucina romagnola? Dalla famiglia Muccioli, a Cesenatico

hotel Sporting e la sua spiaggia

Dopo la ricetta dei passatelli che ha profumato il post precedente, oggi concedetemi un po’ di pubblicità “familiare”.
Domani, 16 maggio, l’Hotel Sporting di Cesenatico, un tre stelle dotato di spiaggia privata, dà inizio alla stagione 2008.

Ai suoi proprietari vorrei inviare attraverso il web i migliori auguri di buon lavoro!

Ah, dimenticavo: i tre “ragazzoli” che da 25 anni gestiscono l’albergo in questione sono mia cognata Marinella, mio fratello Domenico e mio nipote Francesco.

Last, but not least, in cucina la preziosa aiutante dello chef è mia sorella Tiziana. Il che, tradotto, significa che all’Hotel Sporting si mangiano i passatelli come quelli raccontati nel mio blog, gli strozzapreti fatti a mano come quelli di Cristella, la piadina e i cassoni che ci ha insegnato la mamma.

E via discorrendo e… gustando.

Quindi, se qualcuno dei lettori lontani volesse passare un fine settimana da queste parti, clicchi qui, per le offerte speciali della stagione 2008.

Av salut!

Passatelli romagnoli: quando la memoria si conserva nel naso

Il ferro per passatelli

“Meraviglia da non perdere – scrive Michele Marziani nel suo libro “La cucina riminese tra terra e mare” (Panozzo Editore Rimini 2005) – sono i passatelli, sorta di meravigliosi vermetti a base di pangrattato, uova, parmigiano, noce moscata e scorzetta di limone. Una fantastica minestra dei giorni di festa – si mangiavano tradizionalmente a Pasqua nel riminese e nel giorno dell’Epifania in Valconca – da gustare rigorosamente in brodo. Stupendi anche col brodo di pesce fatto con gli umili paganelli dell’Adriatico. Oggi sono numerose le versioni asciutte che si incontrano nella ristorazione. (…)
Chi ha avuto la fortuna di essere bambino in una famiglia dove i passatelli erano di casa, la memoria la conserva nel naso, perché il passatello è sentore di buono, di formaggio, di noce moscata, di limone che vaga nell’aria mentre bolle il brodo. Ma quello che ancor più ci colpiva – e colpisce – l’immaginario infantile è il ferro per passatelli, una sorta di schiumarola con i manici che serve per realizzare i sottili vermicelli d’impasto profumato. Un oggetto oscuro, misterioso, del quale è difficile comprendere l’uso se non vedendolo utilizzare. E le cucine, un tempo, si dividevano tra quelle dotate dell’attrezzo in questione e quelle di chi, tapino, s’arrangiava con lo schiacciapatate, fino ad almeno un decennio fa in dotazione in tutte le famiglie. Oggi il ferro per passatelli fa parte degli oggetti della memoria, del modernariato rurale. Un po’ come le teglie d’argilla per cuocere la piada.”

In effetti, anch’io sono una di quelle arzdore tapine che non sanno usare il vecchio ferro (che comunque è appeso in bella mostra alla parete della cucina) e che si arrangiano col passapatate.

La ricetta più usata, a casa mia, è col brodo di cappone o gallina, come da stretta tradizione, ma qualche volta ho provato, con successo, il brodo di pesce.

Prima di trascrivere la ricetta, vi segnalo un video di Youtube dove potete ammirare la vera “arte romagnola del passatello” così come la propone un albergo di Riccione.

Buon appetito!

Passatelli romagnoli

Ingredienti

  • 125 grammi di pane grattugiato (di tipo comune)
  • 1 cucchiaio di farina
  • scorza grattugiata di mezzo limone
  • 200 grammi di Parmigiano Reggiano grattugiato
  • un tuorlo d’uovo
  • due uova intere
  • un pizzico di noce moscata grattugiata
  • un pizzico di sale

Preparazione
Si mescolano tutti gli ingredienti fino ad ottenere una palla omogenea e compatta. La si lascia riposare anche un’oretta. Quando il brodo bolle, con l’apposito attrezzo di formano i passatelli, che vanno fatti cadere direttamente nella pentola.
Sono pronti quando vengono a galla.
Ottimi anche riscaldati, il giorno dopo.

Dedicato alle mamme, dedicato alle figlie

Scrivo in una breve pausa fra un’azalea e l’altra.

No, non ho aperto un negozio di fiori: come tutti gli anni mio marito ed io collaboriamo, in qualità di volontari dello Ior (Istituto Oncologico Romagnolo) all’iniziativa che si ripete in tutte le piazze d’Italia in occasione della festa della mamma.

Questa mattina sono stata a Viserba, insieme all’amica Paola, a vendere azalee ai miei concittadini e ad alcuni turisti di passaggio. Fra un’oretta tornerò là. Paolo, invece, fa la spola fra Viserba e Rimini, dove aiuta le altre signore e signorine (!!!!) mettendo a disposizione la sua forza e i suoi muscoli per montare e smontare banchetti e ombrelloni.

L’anno scorso, però, ho mancato al mio impegno.

Domenica 13 maggio 2007, all’alba, nella giornata della festa della mamma, la mia dolcissima mamma Pierina ha chiuso gli occhi per sempre, all’ospedale di Cesenatico, circondata dai suoi quattro figli.

Una mamma speciale (come può una mamma non esserlo?) a cui ho dedicato il mio libro “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”.

il saluto di mamma Pierina

Una mamma che sembra aver scelto il giorno giusto per salutarci: il mese di maggio, dedicato alla Madre di Gesù e profumato di rose, una domenica, festa della mamma, 13 maggio (90° anniversario dell’apparizione della Madonna di Fatima).

Credo che ripetere questo mio “impegno” per le mamme con lo Ior, pensando alla solidarietà, alla cura e all’assistenza dei malati, alla ricerca medico-scientifica per il futuro mio e delle mie figlie sia il modo migliore per onorare la memoria di mamma Pierina.

Trascrivo alcune pagine di “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”.

Per concludere, dal mio diario, una pagina di vita scritta il 28 febbraio 1986, una giornata storica. Come un nodo doppio ha fissato con forza quel filo partito da mamma Pierina e che continua con Dora e Cinzia, le mie ragazze. “Sono diventata mamma! La gioia di quest’esperienza è indescrivibile: i maschi non potranno mai capire. Sensazioni, brividi, sentimenti quasi impossibili da raccontare. Dora è nata alle otto di questa mattina, dopo un travaglio durato sei-sette ore. Ho sofferto. In certi momenti, quando non riuscivo a controllare le spinte e mi sentivo spaccare in due, ho avuto molta paura ed ho urlato il male con tutto il fiato che avevo in gola. Eppure, ce l’ho fatta anch’io. O, meglio, Dora, con enorme fatica, è riuscita a percorrere il tunnel del parto per affacciarsi al mondo. In un attimo ho dimenticato il dolore: quando ho conosciuto mia figlia. E’ stato meraviglioso! Nell’istante stesso in cui l’ho vista, rossa in viso, braccia e gambe tonde, cicciottina, bellissima, tutta sporca, che strillava strizzando occhi e pugni, ho pensato alla mamma. Lei era fuori nel corridoio, a distanza di qualche metro, a soffrire vicino a me questo passaggio, mentre in sala-parto c’era Paolo, bravissimo assistente. In un attimo ho sentito il legame di figlia: nel momento stesso in cui sono diventata madre. Mi sono passati davanti ventisette anni della mia vita di figlia. Ho risentito le carezze della mamma. Ho ricordato i suoi sacrifici, le difficoltà passate. Quanto ha sofferto quand’ero ammalata! Ho rivissuto una notte in cui la febbre mi faceva delirare, quando avevo circa dodici anni. Sognavo di affogare in un mare calmo e piatto, liscio come l’olio. Da quel liquido immobile mi tirava fuori lei. E lei era lì davvero: tutta la notte sveglia a tenermi la mano e a patire. Stamattina, alle otto precise, i miei occhi hanno rivisto veramente quella notte!

Dora, Cinzia, mamma Cristella

E’ Viserba o Cenerentola? C’è chi crede alle favole

i due sottopassi previsti a Rivabella e a Viserbella 

I quotidiani locali di oggi (ma anche quelli di ieri e l’altro ieri) hanno riempito pagine intere con l’argomento che sta scaldando gli animi dei viserbesi da qualche tempo.
Se fosse un film, dovremmo chiamarlo “Alla ricerca del sottopasso perduto”.
Brevemente, per chi non è di qui: la linea ferroviaria adriatica, costruita a poche decine di metri dal mare, spezza letteralmente in due la città di Rimini e tutti i paesi e le cittadine che sorgono a nord e a sud (Cesenatico, Gatteo, Bellaria, Viserba, Miramare, Riccione, Cattolica, ecc.). Se un centinaio d’anni fa questo non dava eccessivi problemi, lo stesso non si può dire di oggi, con l’inevitabile espansione urbanistica che ha interessato le aree a monte della ferrovia. In un piano generale che prevede la chiusura di tutti i passaggi a livello (cosa già attuata nella zona sud di Rimini) anche in vista della trasformazione della linea in Metropolitana di Costa (quindi con frequentissimi passaggi di convogli) qui da noi succederà una vera e propria rivoluzione.
I miei concittadini hanno preso carta e penna per sottoscrivere una protesta indirizzata al Sindaco visto che era stata comunicata l’intenzione dell’amministrazione di lasciare Viserba senza sottopassaggi. I comunicati “rassicuranti” che annunciano (meglio dire “promettono”) una sorta di dietro-front al riguardo sono stati emanati ieri, poche ore dopo la  tumultuosa assemblea cittadina di lunedì sera, di cui sono stata testimone.
Personalmente, ringrazio per l’attenzione data in questo caso ai viserbesi e spero con tutto il cuore che i miei nipoti possano vedere le opere concluse.
Però, da vecchia giornalista anche un po’ maliziosa e da scrittrice di favole, posso dire una cosa fuori dai denti?
Ne ho sentite tante di promesse su Viserba! In dodici anni di professione ho scritto tonnellate di articoli sulle magagne a cui ci hanno abbonato, sui mega-progetti sbandierati, l’edificazione subita, la viabilità disegnata a tavolino da fantasiosi artisti, il brutto e costoso (per i contribuenti) arredo della piazza con le mattonelle che ballano ogni volta che ci passo in bicicletta, gli allagamenti causati dalla cementificazione di tutto quanto c’era da cementificare, le aree incolte lasciate a sé stesse e alle bisce diventate allevamenti delle zanzare tigre, le fontane storiche dimenticate asciugate e seppellite per i dispetti fra privati e Comune, le piccole attività commerciali costrette a chiudere perché sono stati autorizzati degli ipermercati mangiatutto dentro la città…
L’elenco potrebbe continuare: non so quante penne ho consumato, a quante riunioni politiche, inaugurazioni, sedute di Quartiere ho partecipato. Per abitudine non getto mai fotografie, bloc-notes ed agende con i miei appunti: ne ho rimediato uno scaffale pieno, un giorno potrò scrivere la storia di Viserba.
In forma di favola, naturalmente: perché, appunto, i favolisti sono i primi ad accorgersi quando qualcun altro racconta favole…
Insomma, il tempismo con cui sono stati emanati i comunicati di ieri a Cristella fa sorgere qualche sospetto… Per il resto, come dicevo, ne ho sentite, di promesse e di rassicurazioni, in questi anni!  
Ho quasi cinquant’anni e non credo che vedrò come sarà Viserba fra altri cinquanta. Vista l’assenza di lungimiranza dimostrata da chi prende le decisioni importanti per questo territorio, penso di non essere l’unica ad avere questo pensiero: “che ce frega, mica ci saremo, fra cinquant’anni”.
 E le mie figlie, i miei nipoti?
Per concludere, una sorta di gioco. Date un’occhiata agli articoli di oggi che parlano dei sottopassi di Viserba (potete consultare la rassegna stampa disponibile sul sito della Provincia cercando la data che vi interessa o facendo una ricerca per parole-chiave) e provate ad individuare quali sono stati scritti al chiuso di una redazione “fidandosi” dei comunicati-stampa inviati dalla diverse parti interessate (ente pubblico, comitati, singoli consiglieri) e quale, invece, è stato scritto da una giornalista che si è recata sul campo.

Non sarà l’inviata in terre di conflitto, d’accordo, ma nel nostro piccolo anche questi particolari possono fare la differenza.