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Passatelli romagnoli, collezione estate 2008

Una ricetta estiva, adatta a queste giornate afose. La si può gustare tiepida, ma è ottima anche fredda. Come piatto unico, proponibile anche per un pic-nic o per il pranzo sotto all’ombrellone.

Sono i passatelli al sapore di mare gustati oggi alla tavola della Reggia di Cristella.

Ingredienti

Per gli ingredienti e la preparazione dei passatelli rimando ad un mio precedente post. E, subito, una confessione: nel centro di Viserba, nel negozio di Romina (“L’angolo della pasta fresca”) che si trova a due passi dal “fruttarolo poeta”, questa mattina è stata avvistata una signora di nostra conoscenza che ha acquistato otto etti di passatelli appena preparati.

Lì davanti c’è Gastone col suo banco del pesce, dove detta signora ha comprato mezzo chilo di gamberetti.

Tappa successiva: Andrea, per un mazzetto di rucola, otto pomodori maturi, due zucchine di media grandezza e qualche foglia di basilico.

Elencati gli ingredienti attraverso questo piacevolissimo tour mattiniero-viserbese (da ricordare che ad ogni tappa si scambiano due parole e qualche sorriso, occasioni ormai impensabili per chi usa frequentare freddi ed anonimi iper e supermercati), ecco come si procede.

Mentre si pone sul fuoco la pentola con l’acqua per cuocere i passatelli, in una larga padella con circa mezzo bicchiere di oliva extravergine di oliva si aggiungono le zucchine tagliate a listarelle non troppo sottili. Si attende qualche minuto, mescolando delicatamente, finché le zucchine si ammorbidiscono un po’. A questo punto si aggiungono, nell’ordine: i pomodori privati dei semi e tagliati a dadini, i gamberetti precedentemente sbollentati e puliti, un pizzico di sale, le foglie di basilico. Si lascia sobbollire questo condimento a fuoco molto basso, mescolando delicatamente di tanto in tanto.

Nel frattempo l’acqua della pentola ha preso a bollire. E’ il momento giusto per gettarvi una manciata di sale grosso e, subito dopo, i nostri passatelli. Saranno cotti in un attimo: quando tornano in superficie sono già pronti.

Si scolano e si uniscono al sugo di gamberetti e zucchine, aggiungendo un filo di buon olio extravergine a crudo, in un bel piatto di portata che decoreremo con le foglie di rucola.

I miei commensali di oggi (re consorte e principessa primogenita) hanno fatto il bis.

Buon segno, no?

Passatelli pronti

P.S.: la principessa primogenita, regista dei filmati già caricati su Youtube con le ricette degli strozzapreti e della piada sfogliata, propone il “tris”. Quasi quasi… Prossimamente su questo schermo, allora, i passatelli di Cristella in versione Youtube (c’è l’idea di tradurre anche in inglese). Siete d’accordo?

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Noi siamo anche quello che i nostri padri ci hanno insegnato

Marco Porcio Catone che legge il Fedone prima di suicidarsi

Ho ricevuto privatamente un commento al precedente post da parte di un amico blogger, linkato fra i preferiti dalla prima ora. Antonio Montanari per Cristella è il prof. “Tamtama” (pseudonimo, risalente ai tempi della sua collaborazione col settimanale Il Ponte, che voleva indicare un’alga tamarensis talvolta leggermente “urticante“. Effetto – non secondario – provocato molto frequentemente da chi è solito pensare con la sua testa).

Il commento di Antonio merita di essere trasformato in post dalla bacchetta magica di Cristella. La quale Regina, al cospetto del testo di Tamtama, si fa piccola piccola e, semplicemente, ringrazia.

Buona lettura!

Noi siamo anche quello che i nostri padri ci hanno insegnato.

Non soltanto quelli biologici, ma pure i “maestri” come li chiamavano una volta, quelli che educano a distanza di secoli.
Forse oggi ci sentiamo tutti orfani. Il dibattito non accetta precetti suggeriti. Siamo orgogliosi, ed è giusto, di rivendicare la nostra libertà di ricerca. Sono noiosissimi, e da evitare, quanti premettono “come diceva Tizio”. Per cui m’affaccio nel discorso con un modesto “ho imparato”. Dal Catone dantesco ho imparato che le ragioni delle coscienza possono promuovere un suicida a custode dell’isola del Purgatorio, a simbolo della libertà morale, cioè per rappresentare ragioni con cui superare una condanna pura e semplice del suo gesto, della sua figura e del suo modo di concepire il rapporto vita-dignità.
Ha spiegato un altro mio personale maestro, più vicino nel tempo, Ezio Raimondi, che Catone «diviene col proprio sacrificio un’ombra che annuncia di lontano, e nei limiti di un gesto imperfetto, il vero Cristo liberatore».
Sta scritto: “Non giudicare”. Dante non soltanto giudica, ma rovescia un mondo: perché ad uccidere Catone non è la sua stessa mano ma quella di altri, di quanti lo privano del respiro della libertà, lo torturano da vivo sino a gioire della sua fine.
Nel dolore della malattia, fin dove è lecito lasciare che la natura faccia il suo corso senza che l’accanirsi sia soltanto un fatto sperimentale (persino crudele)? Il testamento biologico dovrebbe essere un diritto. Non contrasta con le leggi morali della coscienza, né con le norme del Diritto.
Ho imparato da ragazzino la lezione di un signore che era rientrato dalla Francia, dove era immigrato sotto il fascismo perché anarchico. Aveva trovato qui una compagna che gli aveva dato da poco una bimba. Al medico disse di voler rimanere nel suo letto, rifiutando ogni ricovero ed ogni cura. Lì se ne andò in silenzio. Forse anche per lui le campane della chiesa avrebbero potuto suonare. Come facevano per la “venal prece” dei parrocchiani fedeli e solventi.


Sono amico da tempo del coetaneo don Piergiorgio. Quando dirigeva “il Ponte” (a cui nel 1982 mi chiamò a collaborare), lo salutavo scherzosamente con un vecchio motto della “contestazione globale” (che non ho mai condiviso), “Cloro al clero”. Lui è un prete saggio, conosce la storia della Chiesa, legge nei cuori delle persone e non monta mai in cattedra. La nostra città gli può essere grata per tante cose, anche per come ha diretto un giornale. Che non è cosa secondaria, nell’andar del tempo.
La stima che gli porto non fa velo alla mia sincerità. Ha detto cose giuste, condivisibili, nel suo bell’intervento. Non mi soddisfa appieno la conclusione. Certi temi come quello di cui ci occupiamo, non fanno vendere di più. Basta soffermarsi un quarto d’ora presso un’edicola, e vedere quali giornali e quali notizie fanno fare la fila.
Caro Piergiorgio, hai come al solito scritto argomentazioni coraggiose. Una confidenza. Mi fanno paura i discorsi sul relativismo, le accuse al mondo come causa di corruzione, eccetera. Sono i temi prevalenti di un papato “astratto” che gode dell’esibizione del lusso nei paramenti sacri. Io sono fermo al Gesù della stalla, non per un rimpianto della puerizia, ma per rivendicazione “anarchica” di un progetto di salvezza che coinvolga tutti. Ma che fa la Chiesa romana di oggi per condannare le guerre, gli sfruttamenti, le morti per fame, gli egoismi dei popoli ricchi che sterminano quelli poveri? Qualche calibrata frase nel ricercato eloquio della Segreteria di Stato, può bastare?
Per non tirarla troppo per le lunghe. Giovanni Romeo racconta in «Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione» storie di feroce terrorismo ideologico ecclesiastico. Uno dei fatti meno orripilanti: nel 1610 una concubina fu costretta «ad allontanare i sei figli, con la sola esclusione di quelli che avevano meno di tre anni» (p. 53).
Dopo quattro secoli rabbrividiamo al pensiero di queste nefandezze. Tra quattro secoli succederà anche per le cose di oggi? Come quella di cui stiamo occupandoci. Dove più che mai ci sentiamo «imperfetti», ma dove si spera una forza di liberazione che non toglie nulla, ma dona una fine ai dolori non alla vita. Anche Gesù sulla croce rimproverò il Padre: «Perché mi hai abbandonato?».
Oggi quale Chiesa è vicina ai drammi di noi miseri? Non certo quella che programma piani edilizi, vendite di immobili, che guarda non ai gigli dei campi ma ai campi su cui far costruire case, che programma carriere politiche, riscuote affitti dai Comuni per i propri seminari, che coinvolge i teologi anche nel programmare un racconto giornalistico delle feste di un borgo cittadino, perché si crede che tutto ciò rientri in un progetto pastorale. Mentre i giovani fuggono verso lo sballo, dopo aver frequentato in massa le lezioni facoltative di Religione nelle scuole laiche…
Don Piergiorgio, mi piacerebbe leggerti su questi temi per avere un chiarimento da chi ha pensiero libero e sta con i piedi per terra.


Antonio Montanari

Chi sarà “spazzolato” per bene, l’Ultimo Giorno?

Giudizio Universale, Cappella Sistina

L’avevo promesso a Marina Garaventa (che in questo pomeriggio, mentre io scrivo, esce straordinariamente dalla sua reggia iperprotetta, con corte e strumentazioni salvavita al seguito, per la presentazione del suo libro La vera storia della Principessa sul Pisello) e mantengo: ho chiesto un parere sul clamore suscitato dalla sua lettera sul “caso Eluana” pubblicata in prima pagina da La Stampa a don Piergiorgio Terenzi, il mio maestro di scrittura e giornalismo, titolare della rubrica Lettera 22 in Romagna e dintorni del sito www.cristella.it.

Com’è solito, l’amico scrittore ha risposto a tempo di record alla mia richiesta di intervento.

Ecco di seguito il suo contributo.

Ma poi, come PG scrive in chiusura, sarà il caso, giustamente, di evitare di “…prolungare all’infinito la telenovela…” e di spegnere i riflettori.

Soprattutto sul dolore del papà di Eluana: un uomo che secondo me (ma è anche l’idea di Piergiorgio) risponderà al Giudizio più importante – se e quando ce ne sarà uno – con maggiore serenità ed onestà di quanto potranno fare tanti “autorevoli Soloni”.

Per la nostra Principessa, un “in bocca al lupo” per il lancio del suo libro anche da parte di Piergiorgio!


Il caso di Eluana Englaro. Una cartina al tornasole

di Piergiorgio Terenzi

Intervengo nel dibattito sul “caso Eluana”.

Per onestà verso i lettori premetto che, oltre che giornalista, sono anche prete. So già che tale informazione mi farà perdere sin dall’inizio il trenta per cento dei potenziali lettori. Li capisco e non li condanno.

Mi trovo pienamente consenziente con quanto ha già scritto la Principessa sul pisello. Senza negare quanto affermato, mi permetto di farle un piccolo appunto.

A mio parere Marina ha impostato il discorso spingendo troppo l’acceleratore sulla distanza, o dialettica strutturale, fra l’esperienza da una parte e la ragione dall’altra.

Non nego che fra le due spesso non corra buon sangue, però desidererei mettermi nella posizione od assumere il ruolo del mediatore. Le due dimensioni della vita e della conoscenza non sono strutturalmente antitetiche, bensì complementari.

Nel nostro caso specifico ritengo che l’impresa non si presenti impossibile.

Data la mia già dichiarata identità non posso non partire dal principio base della morale cattolica: “La vita è sacra, non ci appartiene e non è manipolabile a piacere”.

Spesso mi chiedo coma abbia fatto la Chiesa, fedele a questo suo principio, a mandare sul rogo eretici e streghe. Anche questi, e forse più del feto nel grembo materno, sono vita, in sé stessa sacra.

Se una persona è affetta da una malattia e le cure mediche con buona probabilità possono riportare la salute, se queste appositamente sono rifiutate, si mette in moto un pur lento suicidio. Che, evidentemente, si configura come una colpa. Su questo non ci piove.

Il caso di Eluana però si presenta notevolmente diverso: non ha vita psichica e senza l’apparato delle macchine il corpo non funziona. E’ già morto! Il prolungamento artificiale della vita è possibile, ma tocca ai suoi tutori decidere quando non è più il caso di continuare. Essi, staccando la spina, non uccidono una persona, che senza tali strumentazioni è già morta.

Così moralmente parlando non si intravede alcuna colpa.

Ci troviamo di fronte ad un giudizio di opportunità che spetta di diritto ai suoi cari. In questo essi non contravvengono ad alcun dovere morale.

Convengo che molti Soloni, magari per apparire belli e buoni, parlano in astratto o in maniera generica, contribuendo a far aumentare il casino e, soprattutto, la sofferenza che bene o male è sempre presente quando si prendono, pur in coscienza, tali decisioni.

Sono amareggiato quando questi sono degli ecclesiastici autorevoli, seppur ignoranti. Mi auguro che l’Ultimo Giorno (io spero anche prima) questi siano “spazzolati” per bene. E’ questione di giustizia.

Per un credente la vita è sacra, ma non è il bene assoluto. Diversamente non si capirebbero le parole di Gesù “Questo è il mio corpo dato per voi”.

Come giornalista mi permetto un’ultima nota a margine: casi come quello di Eluana polarizzano l’attenzione della gente. Prolungare all’infinito la telenovela fa vendere la testata. Così surrettiziamente entra in campo, oltre al Dio Trino, anche il dio quattrino. Forse che non è vero?

Amarcord: l’anda la s’aruglèva, pièn pièn

L’anda la s’aruglèva, pièn pièn (l’onda ruzzolava, pian piano).

Alzi la mano chi non ha mai passato qualche ora al chiar di luna in riva al mare in compagnia dell’amato (o dell’amata).

Lo sciabordio delle onde che arrivano – pian piano – a ruglarsi vicino ai piedi nudi; l’argento dei riflessi sull’acqua; le mani che, toccandosi, sembrano sprizzare scintille…

A Cristella capitava trent’anni fa…

Altri tempi!

Adesso, per salvaguardare la sicurezza delle persone, la Capitaneria di Porto, nelle ore notturne, ha dovuto vietare l’accesso alle nostre spiagge.

Ma i ricordi rimangono… Questo post estivo-romantico è suggerito dalla lettura di una bella poesia dell’amico Guido Lucchini (“Luna rufièna”) tratta dalla raccolta “Vécia palèda” pubblicata dall’editore riminese Pietroneno Capitani un mese fa.

Nonostante la chiusura ironica “Luna rufièna” ricrea l’atmosfera…

 

Luna rufièna

 

Amarcord ancora cla volta

cla volta

a sermie in riva e’ mèr.

L’anda la s’aruglèva dré nun

pièn pièn,

anda lèinta, rufièna

cumè la chelda serèda d’agast.

La luna a péch sòra la palèda,

sla su strésa d’arzeint,

la tajeva e’ mèr int e’ mèz

che pu la muriva sla spiagia scura.

Amarcord che a t stranzéva

fort fort tra l’mi brazi.

 

I bès… quant…

Bès cheld cumè l’aqua

ch’la sfurgatèva

ti nost pid schèlz,

bès ch’i saveva ad mareina… ad sèl…

Sèl cumè… sé, però divers, strèn…

Amarcord che a un zert mumeint,

cumè che ta m’avèss lèt te pensiér,

t’a m è sussurè pièn pièn sla timidèza di tu

vint’an…

“scusa, ò magnè la zvàla”.

 

Traduzione

Luna ruffiana
 

Mi ricordo ancora di quella volta

quella volta

eravamo in riva al mare.

L’onda ruzzolava accanto a noi

piano piano,

onda lenta, ruffiana

come la calda sera d’agosto.

La luna a picco sopra la palata,

con la sua striscia d’argento,

tagliava il mare nel mezzo

che poi moriva sulla spiaggia scura.

Mi ricordo che ti stringevo

forte forte fra le mie braccia.

 

I baci… quanti…

Baci caldi come l’acqua

che frugava

tra i nostri piedi scalzi,

baci che sapevano di mare… di sale…

sale come… sì, però diversi, strani…

Mi ricordo  che a un certo momento,

come mi avessi letto nel pensiero,

mi hai sussurrato piano piano con la timidezza dei tuoi vent’anni…

“scusa, ho mangiato la cipolla”.


Guido Lucchini

I benpensanti? Un anno sabbatico ciascuno ad accudire Eluana

Principessa o panettone?

Io, qualora dovessi decidere di staccare la spina, voglio essere libera di farlo senza che la mia decisione sia sindacata da cantanti, giornalisti e chicchessia», così scrive Marina e così pensa Regina Cristella (che ha già avvisato il Re Consorte e a tal proposito vorrebbe firmare un testamento biologico o qualcosa del genere…).

La Stampa di ieri ha pubblicato con grande evidenza la lettera di una nostra cara amica.  Sì, Marina Garaventa, che firma la “lettera di una donna 48enne costretta a letto dalla malattia”, è la nostra Principessa sul Pisello, linkata in questo blog da molto tempo e mia commentatrice affezionata. Di lei ho giù scritto qui e qui.

Leggo su La Stampa di oggi che nelle poche ore passate dall’uscita del giornale Princy è stata assalita dai media e da migliaia di lettori che le vogliono esprimere stima e simpatia.

Principessa, so che non c’è bisogno di ripeterlo, ma lo faccio lo stesso: dal blog di Cristella, Rimini, Romagna, ti giunga ancora una volta un enorme TVB che scavalca le montagne per arrivare di là, in Liguria, a cavallo del vento e della sua energia vitale.

Ecco la lettera di Marina pubblicata il 18 lugliio 2008 su La Stampa. Vale la pena leggerla…

Consiglio anche di guardare il video a cui si riferisce la principessa nelle ultime righe della sua missiva. Buona lettura e buona visione a tutti.

Caro Direttore,
sono Marina Garaventa, ho 48 anni e sono, più o meno, nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby: come lui, ho il cervello che funziona benissimo, diversamente da lui, posso ancora usare le mani e la mimica facciale. Come ho seguito il caso Welby, esprimendo la mia opinione, ho seguito il caso, ben più grave del mio, di Eluana Englaro e mi sono «rallegrata» della sentenza che ne sanciva la conclusione, sperando che nessuno si permettesse di intromettersi in un caso così delicato e personale. Non avevo la benché minima intenzione di dire o scrivere alcunché fino all’altra mattina alle 7 quando, ascoltando i primi notiziari, ho sentito tante «cazzate» che mi sono decisa a dire la mia. Io sono abituata a esprimere opinioni, dare giudizi e consigli solo su cose che conosco bene e che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe tanto che tutti si regolassero così, evitando di aprire la bocca per dare aria a sentenze basate su mere teorie filosofiche e moral-religiose.

Con queste parole mi riferisco, in particolare, alle recenti «sortite» di alcuni personaggi noti che, in un delirio di onnipotenza, dicono la loro, scrivono lettere patetiche e organizzano raccolte pubbliche di bottiglie d’acqua: le bottiglie, a Eluana, non servono perché sia l’acqua sia la nauseabonda pappa che la tiene in vita e che anch’io ho provato per mesi, le arriva attraverso un sondino. Bando quindi ai simbolismi di pessimo gusto di Giuliano Ferrara, stimato giornalista, e al paternalismo di Celentano, mio cantante preferito. In quanto al mio esimio concittadino, il Cardinal Bagnasco, sarebbe cosa buona e giusta che, prima di esprimersi su quest’argomento, avesse la bontà di spiegarci perché a Welby è stata negata la messa e, invece, il «benefattore» della Magliana, Renatino De Pedis, è sepolto in una nota chiesa romana.

A questo punto, però, siccome neppure a me piace fare della teoria, propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai. Sono disponibile anche a mettermi a disposizione per quest’esperimento ma, devo avvisare tutti che, per loro sfortuna, io sono sicuramente meno docile di Eluana e se qualcuno, chiunque sia, venisse per insegnarmi a vivere, lo manderei, senza esitazione, «affanc…».

A sostegno di quanto detto finora, aggiungo che, nonostante io non possa più camminare, parlare, mangiare, scopare e quant’altro, amo questa schifezza di esistenza che mi è rimasta e mai ho avuto il desiderio di staccare la spina del respiratore che mi tiene in vita. Nonostante tutte le mie limitazioni, io ho una vita intensissima: scrivo su alcuni giornali locali, tengo un blog (www.laprincipessasulpisello.splinder.com), ho un’intensa vita di relazione e, in questo periodo, sto promovendo un mio libro che narra di questa mia splendida avventura. («La vera storia della principessa sul pisello», Editore De Ferrari , Genova).

Sicuramente qualcuno penserà che voglio farmi pubblicità e, in un certo senso, è vero: io voglio, per quanto posso, dar voce a tutti quelli che sono nella mia condizione e non sanno o non possono dire la loro.

Parliamoci chiaro: i malati come me, come Welby ed Eluana, sono già morti! Sono morti il giorno in cui il loro corpo ha «deciso» di smettere di funzionare e hanno ricevuto dalla tecnologia, che io ringrazio sentitamente, l’abbuono, il regalo di un prolungamento dell’esistenza. Ma come tutti i regali, anche questo vuol essere contraccambiato con merce altrettanto preziosa: una sofferenza fisica e morale che solo una grande forza di volontà può sopportare. Nel momento in cui il gioco non vale più la candela il paziente deve poter decidere quando e come staccare la spina. Lo Stato deve garantire la miglior vita possibile a questi malati, tramite assistenza, supporti tecnologici e contributi ma non può arrogarsi il diritto di decidere della loro vita sulla base di astratti principi etici, molto validi per chi sta col culo su un bel salotto, ma che diventano assai stucchevoli quando si sta nel piscio. Eluana non può più decidere ma chi le è stato vicino, nella gioia e nella sofferenza, chi l’ha conosciuta e amata non può dunque decidere per lei, mentre possono farlo persone che, fino a ieri, non sapevano neppure che esistesse?

Io sono pronta a chiedere umilmente perdono se questi signori mi diranno che, nella loro vita, si son trovati in situazioni come la mia o come quella di Eluana e delle nostre famiglie ma, francamente, non credo che la mia ammenda sarà necessaria. Per chiarire meglio la mia situazione rinvio al link di un video: http://video.google.it/videoplay?docid=-8906265010478046915 Concludo ringraziandola e sperando che voglia dare voce anche a me che parlo con cognizione di causa e non per fare della filosofia.