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Ecco a voi “Vis a Vis”: il giornale di Viserba e Viserbella.

La Terra delle Acque, i suoi volti, le storie, i luoghi… Ieri oggi e domani.

Vis a Vis” è la nuova rivista, di cui sono “capo redattore” – uauh! – Continua a leggere

La donna curvy e la prova costume

Yes, Cristella è una curvy woman. Con l’aggiunta di qualche tornante, se proprio vogliamo precisare.

Certa di essere in buona compagnia, visto che statistiche e censimenti vari fotografano un’italiana media che poco ha da spartire con le silfidi delle passerelle e delle riviste di moda.

Ecco dunque che la lettura di “Curvy, il lato glamour delle rotondità” di Daniela Fedi e Lucia Serlenga (ed. Mondadori  2011) porta un po’ di consolazione.

“Come si fa a vestire le curve come moda comanda? Qual è la scarpa giusta, l’accessorio che smagrisce? Meglio gonne o pantaloni?”…

Partendo da punti interrogativi come questi le due autrici (solari, belle e… curvy pure loro, ça va sans dire…) indicano qualche certezza, proclamando (in maiuscolo!): E’ ARRIVATO IL MOMENTO DELLE DONNE CURVY. Dopo anni di dittatura estetica le donne gamberetto, grissino, sogliola o stecchino devono farsi da parte.

Yeah!

E, fra storie di vip curvy e di case di moda che si stanno convertendo, sulla via di Damasco, alla realtà tangibile e morbidosa costituita dall’esercito delle “over taglia 46”, il libro offre una lettura decisamente piacevole.

Il volume sarebbe da rendere obbligatorio in ogni corso di moda, costume e stilismo anche solo per gli approfondimenti sulle tecniche e i materiali e l’analisi critica delle strategie di marketing.

Ma anche ad ironia non si scherza: come solo noi curvy forse sappiamo fare, ci si sorride un po’ addosso, il che fa sempre bene alla salute. E, si sa, i movimenti muscolari che si fanno per tirare un sorriso sono un ottimo allenamento e fanno diventare bello qualsiasi volto, illuminando gli occhi con stelle luccicanti che le affamate se le sognano, fra uno spigolo e l’altro.

Come assaggio, trascrivo la prima parte del capitoletto dedicato alla prova costume.

Ma bisognerebbe leggersi anche “Tutto sulle tette”, “Dietrologia del posteriore”, “L’effetto ganascia”, “Frugare nel frigo”… e via curvando.

Penso che il libro si possa reperire anche nei negozi Elena Mirò.

Tragic moment: la prova costume.
Vestire le curve come moda comanda è decisamente complicato mentre per denudarle con ottimi risultati  sul fronte del sex-appeal basta un uomo innamorato oppure un bel corso di burlesque. Invece, per esporle alla luce del sole senza oltraggio al pudore e al buon gusto, bisogna prima superare la prova costume, poi imparare a manovrare il pareo con la stessa grazia di un grande torero come Manolete. L’appuntamento più temuto dell’anno arriva verso maggio, quando bisogna mettersi davanti allo specchio bianche come un budino di latte, e in molti casi altrettanto tremolanti, per scegliere il costume da bagno. In questo tragic moment qualunque donna provando un bikini si sente come un uovo di struzzo dentro due elastici e inevitabilmente pensa all’intero che, oltre ad essere più comodo per nuotare, in teoria sta bene a tutti. Alcuni esperti, però, dicono che con gli opportuni accorgimenti  il due pezzi è l’ideale per mettere in risalto le curve. In effetti lo slip piccolo attenua l’attenzione sui fianchi importanti, mentre per i seni generosi basta scegliere un reggiseno all’americana (cioè allacciato dietro al collo) che sostiene bene il peso lasciando libere le spalle. in ogni caso oggi le opzioni sono aumentate: tra bikini, trikini, tanga e quadranga siamo in un mare di anarchia. (…)

“Il male curabile”: Cucuzza e il suo libro a Rimini

Michele Cucuzza e il dottor Alberto Ravaioli 1 giugno 2012 - Day Hospital Oncologico di Rimini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un amico dell’Oncologia Riminese. Così si può definire, senza paura di sbagliare, il noto giornalista televisivo Michele Cucuzza, che ieri ha presentato il suo libro “Il male curabile” proprio nei locali del Day Hospital Oncologico inaugurato il giorno prima presso l’Ospedale Infermi.

Cucuzza conosce da tempo il progetto della nuova struttura, avendola visitata anche durante i “lavori in corso” in occasione di precedenti tappe in città.

Il libro, edito da Rizzoli, trasmette speranza già dal titolo e racconta la sfida al tumore di Mauro Ferrari, matematico italiano trapiantato negli Stati Uniti. Una battaglia che prende il via dopo la morte per tumore, ad appena 32 anni di età, della moglie Marialuisa, madre dei suoi tre figli.

Questo momento che nella vita di altri avrebbe segnato la fine, per Ferrari è la partenza per una grande impresa. Lui non è medico, essendo laureato in matematica. Ma dalla morte della moglie si  dedica anima e corpo alla battaglia contro il cancro, che affronta con un approccio assolutamente originale basato sull’applicazione delle nanotecnologie alla medicina. Ghiandole artificiali capaci di rilevare il cancro e somministrare autonomamente il medicinale; nanovaccini che risvegliano il sistema immunitario; diagnosi effettuate attraverso una semplice analisi delle proteine; robot chirurghi e sofisticati manichini-pazienti su cui fare pratica.

Non è fantascienza, ma solo una parte di quanto si sta sperimentando al Methodist Hospital Research Institute di Houston, Texas, diretto da Ferrari, che spiega: “Con la chemioterapia solo una cellula medicinale su 100 mila raggiunge il bersaglio. Noi lanciamo minuscoli missili multistadio simili a quelli usati nei programmi spaziali, carichi di farmaci che centrano solo le cellule tumorali senza disperdere sostanze tossiche nell’organismo”.

In questo appassionato reportage Michele Cucuzza racconta del suo incontro a Houston col professore e la sua équipe di giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo. Matematici, chimici, biologi, ingegneri e medici coalizzati nella missione comune di sconfiggere il cancro. Una finestra aperta sul futuro della scienza medica, ma anche su una realtà, quella americana, che punta enormi risorse pubbliche e private sulla ricerca e sull’innovazione. Al contrario di quanto accade nel nostro Paese.”

Proprio su questo aspetto dei finanziamenti per la ricerca e la cura, a Rimini Cucuzza ha elogiato la realtà locale, dove il Day Hospital Oncologico rappresenta un fiore all’occhiello della sanità pubblica, mentre negli Stati Uniti si tratta di realtà private e quindi accessibili a pagamento.

“Sembra di stare in America, non a Rimini: questo è un bellissimo esempio di interazione fra pubblico, privato, banche, aziende – ha detto il giornalista – E, soprattutto, cittadini e i tanti volontari dell’Istituto Oncologico Romagnolo che conosco e vedo qui presenti numerosi.”

Anche Cristella c’era. Che si scusa con Michele per essere uscita prima della conclusione dell’incontro (“per non farsi mancare niente”, c’era un giovane medico, un po’ troppo sincero, che in un ambulatorio a qualche metro di distanza, lì all’Ospedale, l’aspettava per accertamenti urgenti e non prorogabili… Sob!).

Un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto…

Basta poco, a volte, per ripercorrere con la mente anni e anni della tua vita, con i suoi dolori e le gioie, le incertezze e le scelte…

Appena mezz’ora fa, grazie ad un incontro casuale sulla piazza di Facebook, una nuova “amica” mi ha portato per mano a rivivere un periodo molto particolare: all’incirca dodici anni fa.

Forse era destino: c’è qualche congiunzione astrale particolare? Con il pom-popom della risonanza dell’altro ieri che echeggia ancora e che attende il responso nel primo giorno di primavera, Cristella si tira su il morale, con un “elogio alla creatività” che le regalò il maestro Piggì.

Beh, per stasera, direi che la mia soddisfazione l’ho avuta. Più tardi vado col Re Consorte ad uno spettacolo presentato da Andrea Mingardi.

Magari domani ne scrivo la cronaca. Sono o non sono una che “anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia”?

Ah, grazie, Laura!

Torre Pedrera, 15 novembre 2000. Intervento di don Piergiorgio Terenzi in occasione della presentazione pubblica del libro Trama e ordito organizzata dal Circolo Ricreativo Culturale “Torre Saracena”. (Piggì è stato il mentore e maestro di giornalismo di Cristella).

Elogio della creatività

Non userò i pochi minuti che ho a disposizione per tessere l’elogio di Cristina. Non perché non sappia farlo. Penso soltanto che altri lo faranno meglio di me.
Non posso neppure azzardare un “Elogio alla follia”. In questo infatti sono stato preceduto dal buon Erasmo da Rotterdam.
Mi limiterò così a tessere l’elogio alla creatività!
La creatività è più presente fra gli umani di quanto noi stessi, in genere, siamo disposti ad ammettere. Tale creatività è una dote, un dono. Se però non viene espressa e sviluppata, da dono che è diventa peso e intralcio.
E’ come un motore che si ingolfa. Anziché andare più forte, si ferma!
Nella mia passata funzione di direttore del settimanale Il Ponte mi ero proposto, parte sul serio, parte come gioco, di fare il talent scout, lo scopritore di doti, se non addirittura talenti.
Quando si è presentata da me la Cristina, pur vedendo che, in fondo, non aveva ancora le idee chiare, ho colto in lei non solo un buon motore, ma anche una riserva enorme di carburante per tenerlo in moto per diverso tempo. Così abbiamo incominciato… Lei a proporre e io, con funzione pseudo-critica, a fare domande e a porre problemi.
Da cosa nasce cosa. Camminando s’apre il cammino… Ed è pian piano venuta fuori la Cristina che tutti noi, oggi, conosciamo.
Una critica che si fa docile. Meglio, serva della creatività.
Tenendola a questo livello, sapevo che il prodotto che ne sarebbe uscito avrebbe avuto, almeno in parte, un tono nomade, quasi zingaresco. Il nomade, come Cristina, non ama meno le persone o le situazioni che vive. Le ama in maniera aperta, diciamo integrata.
Anziché una canzone, tende a comporre una sinfonia.
L’unità stilistica e di contenuto dei vari suoni è il compito e la strada che Cristina ha già incominciato e che la condurrà ancora. Sarebbe una lacuna non piccola se dimenticassimo o sottovalutassimo il ruolo critico-propositivo del marito, ed amico, Paolo.

“Normali non siamo”… Pillole di riminesità

“Osta, Rimini!”

Così scriveva Silvano Cardellini, storica e autorevole firma del Resto del Carlino, nel suo ritratto di Rimini e dei riminesi (“Una botta d’orgoglio”, 2003).

“Sotto la bandiera si agita un popolo frantumato, diviso, d’accordo su nulla, coperto di una sovrastruttura di enti che non ha nessuno. Li fanno e li disfano, questi enti: di propaganda, di promozione, di marketing territoriale o urbano, di club di prodotto, come li chiamano. Ciascuno votato ad insegnarci cosa si debba fare. Ognuno tiene famiglia.

Il fatto è che, comunque, andiamo avanti anche se diamo l’impressione di stare fermi. Ci muoviamo, procediamo. Magari lentamente, magari sbagliando. Ma poi siamo bravi, come nessuno, a recuperare gli errori compiuti come virtù e a rielaborare il passato come un processo consapevolmente tracciato, studiato, pensato. Balle.

Normali non siamo. Non potrebbe essere diversamente per chi come noi deve stare in vetrina, continuamente in vendita ogni anno. Sempre all’incanto, noi, sul mercato della vacanza. Ciascuno commesso viaggiatore della propria città, anche via internet, adesso, con la web camera puntata sul bagno 21. Condannati a stare sotto i fari delle attenzioni, a risultare, comunque, fenomeno, a far notizia, a produrre eventi, manifestazioni, a bruciare mode. Così poco normali da risultare anche cinici: se succede l’11 settembre noi come la mettiamo? Dice il Censis: meno Sharm el-Sheick e più Rimini. Leggiamo il nostro futuro anche sulle sfortune altrui.

Chi sta fuori è raro che non dica ‘beati voi, a Rimini…’. Passiamo per contenti, felici, in permanente dolce vita, sempre in nome del Maestro. Che talvolta è un peso che ci portiamo sulle spalle. E’ mai possibile che noi, a contratto, dobbiamo essere a vita vitelloni?
Siamo la metafora di un pezzo d’Italia dove la vita è considerata leggera, l’esercizio del tempo libero un’arte, il divertimento una scienza o, di converso, il borgo tranquillo dove l’inverno lo spendi giocando a briscola. Quanti danni ci fa ‘Amarcord’!!!

Osta, Rimini… Passiamo per la terra dei gaudenti, dei vitelloni (nel senso, autentico, di sfaccendati e perditempo), dei play boy, la patria dell’amore, la spiaggoa del bagnino galante, della straniera che non cerca altro, della moglie che in vacanza si lascia andare. Arriviamo ad esibire concittadini come  ‘birri’ su scala industriale. Dice niente, Zanza? Abbiamo organizzato pure il festival del play boy. I maggiori partecipanti volevano anche un pubblico riconoscimento dell’Azienda di Soggiorno in nome dello sforzo promozionale compiuto a beneficio della riviera.”