La card di Lia

Ci sono satire di serie A e altre di serie B.

Fra i tanti articoli della scrittrice ormai del tutto riminese Lia Celi – che ho sempre apprezzato, anche quando prende in giro noi, suoi concittadini – questo che trascrivo qua sotto, pubblicato sull’ultimo numero di Chiamami Città, è di primissima categoria.

Oltre che segnalarvi il sito di Lia, tra l’altro super mamma di quattro (dicansi 4!) bellissimi bambini, non faccio altro che suggerirvi la lettura dell’articolo ad alta voce.

Soprattutto le parti virgolettate messe in bocca al Ministvo Tvemonti.

Buon divevtimento, giovani!
Ecco come usare il gadget natalizio più in voga (di Lia Celi)
E tu ce l’hai già la Social Card? La versione aggiornata della tessera annonaria del tempo  che fu si profila come il non-status-symbol più imbarazzante dopo la palla al piede dei condannati ai lavori forzati: anonima come la Social Card, ma se ce l’hai addosso, è difficile dire che non è tua. Anzi, la Social Card imbarazza ancora prima di riceverla. Perché ti viene annunciata con una letterina ministeriale, suppongo di questo tenore: «Cavo  amico  (bisogna  immaginarla  letta con la voce del ministro Tremonti), dai dati in nostvo possesso ci visulta che tu sei un pezzente. Come sapvai, il tuo govevno ha vavato pev quelli come te una genevosa  iniziativa chiamata Social Cavd. Se sei effettivamente un movto di fame, vécati al più vicino uffcio postale a vitivave la tua Social Cavd. Attenzione: non è commestibile.»
Ora, sulla busta c’è scritto il tuo nome e indirizzo, e se da qui al 31 dicembre ricevi posta  da Tremonti, può esserci un solo motivo. Quindi bisogna subito occultare la lettera agli occhi dei vicini ficcanaso: uno sguardo indiscreto alla busta, e tutto l’isolato dedurrà che hai un reddito inferiore ai seimila euro (o sei uno spudorato evasore fiscale: nel caso, prima della busta, dovrai nascondere il Rolex e gli abiti firmati e dire in giro che il Suv nel tuo garage è di un amico). Dopodiché, indossata la maschera di Batman di tuo figlio per mantenere l’incognito, vai alle Poste, in un orario morto, onde evitare amici e conoscenti. Individui subito lo sportello giusto: è quello con una fila di Batman lunga così. «Social Card?» domanda l’impiegato. Arrossendo sotto la maschera, farfugli che la card
non è per te.  «Lo so, è per Robin, dicono tutti la stessa cosa», sospira l’impiegato, allungandoti il tesserino.
E ora, via al supermercato (quello più distante possibile da casa tua). E lì sei assalito dai dubbi.
Perché la Social Card vale 40 euro ma deve durarti un mese, e bisogna spenderla bene. Niente grana o filetto, meglio patate, legumi secchi e farina da polenta, che riempiono a poco prezzo il carrello e la pancia, sperando che la recessione finisca prima che ti venga la pellagra. (Casomai, investi qualche euro in un  integratore di vitamine del gruppo B, sempre meno caro di verdure e latte fresco.) Non dimenticare una saponetta: dopo tanti anni di sapone liquido ormai non sai più come si usa, ma dura di più e costa meno. E ora,  alla cassa. Qui mantenere l’anonimato diventa un’impresa. Se il supermercato è poco affollato, funziona una cassa sola, ci sono almeno due persone in coda e la cassiera è più in vena di chiacchiere. E’ preferibile aspettare l’ora di punta, quando tutti hanno troppa fretta per guardare chi sei e come paghi, l’importante è che ti levi dai piedi alla svelta. Scegli la fila con più studenti: hanno già abbastanza grattacapi per conto loro, ma, a differenza di adulti e anziani, non si bevono diciotto tiggì al giorno e ci sono serie  probabilità che la Social Card manco sappiano cosa sia. Dovessero farti qualche domanda sul tesserino azzurro, dì che è “social” nel senso di “social network”, come Facebook:  inserisci il tuo profilo sul sito del ministro Tremonti, e subito trovi tanti amici, alcuni dei quali lavorano alle casse dei supermercati. Hai visto mai che la Social Card diventa trendy?

www.liaceli.com

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