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Pellegrino Artusi, maestro di cucina delle brave arzdore

Mentre i giornali e le Tv parlano delle eredità miliardarie (con debiti inclusi) di cantanti famosi, mi cade l’occhio sulla scatola dei ricordi che ho portato a casa cinque mesi fa. La mia parte di eredità, di sicuro molto più preziosa di quella dei Vip.
Fra vecchie fotografie, cartoline e centrini fatti all’uncinetto, c’è un libro dalle pagine ingiallite.
La copertina consunta dall’uso è stata ricoperta con una carta rossa dai ghirigori azzurri e lilla. Carta leggermente cerata. Ritagliata su misura e fermata agli angoli con puntine da disegno veniva usata per foderare i cassetti della cucina dopo la pulizia stagionale.
La prima pagina bianca del volume porta in alto il nome della precedente proprietaria.

Scritto a matita, con grafia elementare e limpida: Pierina Cenni in Muccioli.
La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, Manuale pratico per le famiglie compilato da Pellegrino Artusi (edizioni Bemporad Marzotto Firenze, 1963) è l’unico libro che ricordo di aver visto in casa mia quand’ero bambina.
Tenuto come oggetto prezioso e consultato spesso da mia madre, che come tante altre romagnole nell’epoca del boom economico, dalla campagna “scese a Marina” insieme alla famiglia.
Da brava arzdora a cuoca per i turisti.
Un passaggio piuttosto facile: invece che per la famiglia patriarcale con numeri che superavano la ventina, Pierina iniziò a spignattare negli alberghi e nelle pensioni di Cesenatico, Valverde, Gatteo a Mare.

Per quasi trent’anni e senza demerito. Anzi, oserei dire con onore.
L’Artusi era la Bibbia della mamma.

Ci sono ancora, fra le pagine, dei bigliettini con appunti e note.
Li tocco e li sfioro, attenta a non cambiar loro di posto.
Se lei ne aveva messo uno fra la pagina 144 e la 145 un motivo c’era…
Sì, certo, ne sento ancora il profumo! Riconosco la ricetta numero 180, le semplici e morbide “Frittelle di semolino”.
“Ai tedeschi dell’hotel Boston – diceva la mamma – piacevano un sacco. Venivano in cucina a farmi i complimenti! Sehr gut, Frau Pierina, wunderbar!”
E allora, visto che non è neanche troppo lunga, la copio pari-pari dall’Artusi. E domani la preparo.

Wunderbar, Frau Cristella!


Frittelle di semolino
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Burro, quanto una noce.
Rhum, una cucchiaiata,
Odore di scorza di limone.
Sale, quanto basta.
Uova, N. 3.
Cuocete il semolino nel latte, salatelo quando è cotto e, diaccio che sia, aggiungete le uova e il rhum. Friggetele nell’olio e nel lardo e mandatele in tavola spolverizzate di zucchero a velo.

Questa quantità può bastare per quattro o cinque persone.

Siamo agli sgoccioli. A che santo ci votiamo?

E’ notizia di ieri.
Il presidente della Provincia di Rimini, Ferdinando Fabbri, lancia un appello ai cittadini affinché si risparmi acqua.
“Siamo agli sgoccioli”, titolano i giornali.
Non sono bastate le restrizioni e i divieti in vigore dall’estate scorsa (fontane chiuse, divieto di annaffiare orti e giardini e di lavare le auto in certi orari…). Non sono bastate le poche giornate di pioggia. La siccità degli ultimi mesi ha messo in ginocchio più di un settore, agricoltura in primis. Le falde sotterranee sono ai minimi storici, come gli invasi che alimentano gli acquedotti.
In poche parole: se nulla cambia, fra una quindicina di giorni Rimini si troverà coi rubinetti asciutti.
Mentre mi chiedo se sia meglio continuare a lavare i piatti a mano o investire mezzo stipendio per acquistare la lavastoviglie (una recente pubblicità invita tutte le famiglie a comprare questo elettrodomestico, descritto come oggetto di cui non si può fare più a meno…), bagno quei due sparuti gerani che ho sul balcone con l’acqua rimasta dal lavaggio dell’insalata, chiudo il rubinetto mentre uso lo spazzolino da denti, preferisco la doccia alla vasca da bagno…

Insomma, per quanto riguarda le piccole abitudini quotidiane, penso di avere la coscienza a posto.
Non so, però, cosa potrà succedere se davvero dai rubinetti non uscirà più una goccia.
Ma la curiosità social-storico-politica che volevo segnalare col post di oggi è che Fabbri, “The President”, ha anche chiesto al vescovo Lambiasi di informare la cittadinanza tramite le parrocchie.
“Forse questa potrà apparire a qualcuno un’iniziativa strana, insolita – ha detto – ma in un momento così critico e difficile per la nostra comunità ci sembra opportuno cercare di sensibilizzare tutti i riminesi. Il vescovo ha capito perfettamente la situazione e si è immediatamente mobilitato”.
Oltre che invitare i fedeli a seguire i consigli di risparmio idrico, monsignor Lambiasi ha deciso di esortarli a formulare un’intenzione di preghiera, nelle Messe di oggi e del prossimo futuro, che suona così: “Perché il Signore doni alla terra assetata il refrigerio della pioggia, perché l’umanità, sicura del suo pane, possa ricercare con fiducia i beni dello spirito”.

E domani, lunedì 22 ottobre, durante una funzione appositamente celebrata il vescovo rinnoverà un rito di “invocazione della pioggia” che a Rimini è storicamente radicato.

Non so quando è successo l’ultima volta, ammetto la mia ignoranza: ci vorrebbe una consulenza dell’amico blogger Antonio, esperto di cose riminesi.
Comunque, la celebrazione sarà all’interno del capolavoro di Leon Battista Alberti, il Tempio fatto costruire nel Cinquecento da Sigismondo Pandolfo Malatesta per celebrare sé stesso. Nella prima cappella a sinistra, appena dopo l’ingresso, si trova la “Beata Maria Vergine della Pietà”, nota ai riminesi come “Madonna dell’Acqua”, che più di una volta mi sono fermata ad ammirare e che per l’occasione verrà portata accanto all’altar maggiore, sotto lo sguardo del Crocifisso di Giotto.

Si tratta di una graziosa scultura dei primi del ‘400 di scuola tedesca che nei secoli passati veniva invocata dal popolo in tempi di siccità o di piogge troppo abbondanti.

Ricordo anche di aver letto di una rivolta popolare quando si vietò una processione che i fedeli volevano fare per le vie della città per invocare la pioggia. Per evitare uno scontro violento fra le diverse fazioni (i potenti e il popolino) si arrivò ad un compromesso: la Madonna della Pietà venne portata in processione in un percorso ben delimitato, nelle strade attorno al Tempio. Mi pare che, poi, la pioggia arrivò davvero.
Mentre segnalo questa curiosa “commistione” fra sacro e profano che si ripete nel 2007 e che comunque, pioggia o non pioggia, farà conoscere ai riminesi un pezzettino della loro storia (il che non guasta mai), più pragmaticamente e riallacciandomi ai precedenti post sulla cementificazione selvaggia di alcune zone mi viene spontanea una considerazione: “Ma se anche piovesse a dirotto per tre giorni di fila, dov’è rimasto del terreno libero da costruzioni dove l’acqua possa infiltrarsi ed andare giù, a rimboccare le falde sotterranee?”  
Vedo che ogni volta che fa un acquazzone le strade diventano torrenti e le cantine delle case si allagano.
Non è che, oltre alla Beata Vergine dell’Acqua, bisogna accendere un cero agli uomini che stanno contribuendo al dissesto del territorio?
Basta! Fermatevi!

Principesse, preti e… santini

Della mia amica blogger Marina Garaventa, alias La Principessa sul Pisello, ho già scritto qui. Curiosando nel suo archivio, sono rimasta colpita da due post in particolare. Ne ho parlato con don Piergiorgio, il sacerdote che mi è stato maestro di scrittura e giornalismo e che collabora al sito di Cristella con la rubrica Lettera 22. Gli ho chiesto un commento “da prete”.

Poteva dirmi no? Quando gli si chiede qualcosa di scritto, lui va a nozze (si può dire, di un prete?). Ha risposto a stretto giro di fax (il computer, per lui, è off limits).

Riepiloghiamo.

Le tappe per comprendere il senso del mio post di oggi sono le seguenti: prima di tutto leggetevi Santini & C. numero 1, poi Santini & C. numero 2.

Già così ne avete abbastanza per meditare sui vostri piccoli dolori, vero?

Sorridete un attimo, però, perché la Principessa è ricca di ironia e solarità, come avrete appurato leggendo i suoi post. Ecco, adesso, vi lascio leggere cosa ne pensa il mio sacerdote preferito, che si fa riconoscere già dal titolo.

Primo comandamento: rivolta il calzino.

Ognuno di noi inevitabilmente si porta appresso le sue deformazioni professionali o culturali. Parlando in chiave positiva, vede e giudica il mondo a partire dalla sua prospettiva.
Subito, per amore di onestà, confesso candidamente di essere un prete.

Incontrandosi con l’ottica e lo spirito vitale di Marina sarebbe facile per un membro del clero formulare un analogo giudizio: ” Molto interessante, però Marina non lavora per gli interessi del ‘partito’! Per questo prudentemente è da tenere alla larga.”

Sono disposto a comprendere tale reazione. Ma non è la mia!

Tale posizione all’apparenza controcorrente non mi nasce per il fatto di essere più intelligente o comprensivo degli altri.

Più semplicemente, cerco di essere discepolo di Gesù che, fra l’altro, dai suoi nemici “buoni” era accusato d’essere “mangione e beone, amico dei pubblicani, dei peccatori e delle prostitute”.

Ci sarà pure una base di verità storica in queste pesanti accuse?

Il nodo da mettere a fuoco in questo problema si concentra in un principio dello stesso Gesù: “Non chi dice Signore! Signore! (cioè è ortodosso) entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la Volontà del Padre Mio che è nei Cieli.” Tradotto in termini teorici, anche se un po’ difficili, l’ortoprassi (il corretto modo d’agire) viene prima dell’ortodossia.

Sull’ortoprassi di Marina avete forse qualcosa da ridire?

Sta facendo il suo cammino, che inevitabilmente ha le sue tappe ed i suoi momenti. Però è un dato certo, che cammina!

Qui sono tentato di aprire un altro discorso per me – e non solo – molto importante.

Se non ricordo male, mi sembra che un giorno Gesù sia uscito con questa affermazione: “Non gettate le perle ai porci!” In altri termini: “Non buttatele via!”

Chi lo fa è spinto dal peccato di non riconoscerle come tali.

Noi, nella Chiesa – se siamo rigidamente confessionali – dividiamo il mondo in due settori incomunicabili: ci siamo noi – che siamo i buoni (vedi “farisei”) – ed il resto dell’umanità è tutto cattivo.

Con questa prospettiva, falsamente dogmatica, l’invito del Concilio (“leggere i segni dei tempi”) facilmente finisce nel cestino dei rifiuti.

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T’ci propri un invurnìd!

Tornando a casa dall’ufficio in sella alla mia bicicletta elettrica, oggi pomeriggio avevo la testa fra le nuvole – come capita abbastanza spesso – e pensavo alle due settimane di ferie che mi attendono…

Disegnato al centro del centro della città di Rimini (l’antica piazza del Foro, oggi piazza Tre Martiri) da qualche anno c’è un grande sole. Ogni volta che passo di lì, come gesto forse scaramantico, ho la mania di voler tagliare il sole esattamente a metà (un po’ come quando, camminando, cerco di non calpestare le righe fra le mattonelle…).
Insomma, per farla breve: distratta com’ero, ho rischiato di investire una coppia di anziani signori che, a biciclette appaiate, tagliavano il sole nell’altro verso.
Os-cia, ac invurnìda!”, mi ha gridato dietro uno di loro, quello che ad una prima occhiata sembrava ancor più rintronato della sottoscritta.
Invurnìd, invurnìda: chi frequenta un romagnolo avrà già sentito questo termine.
E’ un po’ come pataca, non facile da tradurre tutto d’un colpo.
Secondo Friedrich Schurr (professore austriaco che si specializzò nello studio del dialetto romagnolo), l’etimologia di questa parola deriva dal latino volgare ebrionia (da cui deriva pure il toscano sbornia e il francese ivrogne).
Gianni Quondamatteo, nel suo Dizionario Romagnolo Ragionato, spiega: “invurnìd significa stordito, intontito, istupidito, sciocco, tonto, tardo. In molti casi senza commiserazione alcuna, ma con un pizzico di rabbia, di cattiveria. Sa sit invurnit oz? (Sei invornito, oggi?) dici quando trovi un lavoro malfatto. Se gli autori sono più d’uno, invece, J è na squedra d’invurnìd! (Sono una squadra di invorniti). Di una persona anziana dici: ormai l’è bèla dvènt invurnìd (Ormai è quasi diventato un invornito).”

Per fortuna i freni della bicicletta hanno funzionato. Altrimenti, i giornali di domani titolerebbero:

Con la testa fra le nuvole oscura il sole della piazza
Invornita di mezza età investe due attempati pataca
Tutti i particolari nella pagina degli spettacoli


Oltre che invornita, pure curiosa: qualcuno sa come si traduce in altre lingue e in altri dialetti?

Notizie… di prima mano

Ricordate il mio post sulle “dotazioni” di Luca Cordero di Montezemolo e di Diego Della Valle?

Bene. Non l’avrei mai sperato, ma l’appello lanciato nelle ultime due righe (scherzoso, naturalmente) è stato ascoltato. E ad alte sfere, che nemmeno potete immaginare!

Come giornalista regolarmente iscritta all’albo ho il diritto di non rivelare le fonti e non lo farò neppure sotto tortura. Per comprensibili motivi di… ehm… sicurezza coniugale, lo sa solo mio marito…

Ebbene, non vi svelo il mittente (più che attendibile, credetemi!), ma soltanto il testo del messaggio ricevuto l’altro ieri:

Da informazioni di prima mano apprendiamo che anche Della Valle è un pezzo grosso e non ha nulla da invidiare all’amico Luca.”

Su cosa l’espressione “di prima mano” voglia significare, lascio libera la vostra fantasia…

La mia risposta al messaggio?

Breve ed incisiva, come insegna il linguaggio giornalistico:

Mi fa molto piacere per lui. E per la sua partner!”