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Chi sarà “spazzolato” per bene, l’Ultimo Giorno?

Giudizio Universale, Cappella Sistina

L’avevo promesso a Marina Garaventa (che in questo pomeriggio, mentre io scrivo, esce straordinariamente dalla sua reggia iperprotetta, con corte e strumentazioni salvavita al seguito, per la presentazione del suo libro La vera storia della Principessa sul Pisello) e mantengo: ho chiesto un parere sul clamore suscitato dalla sua lettera sul “caso Eluana” pubblicata in prima pagina da La Stampa a don Piergiorgio Terenzi, il mio maestro di scrittura e giornalismo, titolare della rubrica Lettera 22 in Romagna e dintorni del sito www.cristella.it.

Com’è solito, l’amico scrittore ha risposto a tempo di record alla mia richiesta di intervento.

Ecco di seguito il suo contributo.

Ma poi, come PG scrive in chiusura, sarà il caso, giustamente, di evitare di “…prolungare all’infinito la telenovela…” e di spegnere i riflettori.

Soprattutto sul dolore del papà di Eluana: un uomo che secondo me (ma è anche l’idea di Piergiorgio) risponderà al Giudizio più importante – se e quando ce ne sarà uno – con maggiore serenità ed onestà di quanto potranno fare tanti “autorevoli Soloni”.

Per la nostra Principessa, un “in bocca al lupo” per il lancio del suo libro anche da parte di Piergiorgio!


Il caso di Eluana Englaro. Una cartina al tornasole

di Piergiorgio Terenzi

Intervengo nel dibattito sul “caso Eluana”.

Per onestà verso i lettori premetto che, oltre che giornalista, sono anche prete. So già che tale informazione mi farà perdere sin dall’inizio il trenta per cento dei potenziali lettori. Li capisco e non li condanno.

Mi trovo pienamente consenziente con quanto ha già scritto la Principessa sul pisello. Senza negare quanto affermato, mi permetto di farle un piccolo appunto.

A mio parere Marina ha impostato il discorso spingendo troppo l’acceleratore sulla distanza, o dialettica strutturale, fra l’esperienza da una parte e la ragione dall’altra.

Non nego che fra le due spesso non corra buon sangue, però desidererei mettermi nella posizione od assumere il ruolo del mediatore. Le due dimensioni della vita e della conoscenza non sono strutturalmente antitetiche, bensì complementari.

Nel nostro caso specifico ritengo che l’impresa non si presenti impossibile.

Data la mia già dichiarata identità non posso non partire dal principio base della morale cattolica: “La vita è sacra, non ci appartiene e non è manipolabile a piacere”.

Spesso mi chiedo coma abbia fatto la Chiesa, fedele a questo suo principio, a mandare sul rogo eretici e streghe. Anche questi, e forse più del feto nel grembo materno, sono vita, in sé stessa sacra.

Se una persona è affetta da una malattia e le cure mediche con buona probabilità possono riportare la salute, se queste appositamente sono rifiutate, si mette in moto un pur lento suicidio. Che, evidentemente, si configura come una colpa. Su questo non ci piove.

Il caso di Eluana però si presenta notevolmente diverso: non ha vita psichica e senza l’apparato delle macchine il corpo non funziona. E’ già morto! Il prolungamento artificiale della vita è possibile, ma tocca ai suoi tutori decidere quando non è più il caso di continuare. Essi, staccando la spina, non uccidono una persona, che senza tali strumentazioni è già morta.

Così moralmente parlando non si intravede alcuna colpa.

Ci troviamo di fronte ad un giudizio di opportunità che spetta di diritto ai suoi cari. In questo essi non contravvengono ad alcun dovere morale.

Convengo che molti Soloni, magari per apparire belli e buoni, parlano in astratto o in maniera generica, contribuendo a far aumentare il casino e, soprattutto, la sofferenza che bene o male è sempre presente quando si prendono, pur in coscienza, tali decisioni.

Sono amareggiato quando questi sono degli ecclesiastici autorevoli, seppur ignoranti. Mi auguro che l’Ultimo Giorno (io spero anche prima) questi siano “spazzolati” per bene. E’ questione di giustizia.

Per un credente la vita è sacra, ma non è il bene assoluto. Diversamente non si capirebbero le parole di Gesù “Questo è il mio corpo dato per voi”.

Come giornalista mi permetto un’ultima nota a margine: casi come quello di Eluana polarizzano l’attenzione della gente. Prolungare all’infinito la telenovela fa vendere la testata. Così surrettiziamente entra in campo, oltre al Dio Trino, anche il dio quattrino. Forse che non è vero?

I benpensanti? Un anno sabbatico ciascuno ad accudire Eluana

Principessa o panettone?

Io, qualora dovessi decidere di staccare la spina, voglio essere libera di farlo senza che la mia decisione sia sindacata da cantanti, giornalisti e chicchessia», così scrive Marina e così pensa Regina Cristella (che ha già avvisato il Re Consorte e a tal proposito vorrebbe firmare un testamento biologico o qualcosa del genere…).

La Stampa di ieri ha pubblicato con grande evidenza la lettera di una nostra cara amica.  Sì, Marina Garaventa, che firma la “lettera di una donna 48enne costretta a letto dalla malattia”, è la nostra Principessa sul Pisello, linkata in questo blog da molto tempo e mia commentatrice affezionata. Di lei ho giù scritto qui e qui.

Leggo su La Stampa di oggi che nelle poche ore passate dall’uscita del giornale Princy è stata assalita dai media e da migliaia di lettori che le vogliono esprimere stima e simpatia.

Principessa, so che non c’è bisogno di ripeterlo, ma lo faccio lo stesso: dal blog di Cristella, Rimini, Romagna, ti giunga ancora una volta un enorme TVB che scavalca le montagne per arrivare di là, in Liguria, a cavallo del vento e della sua energia vitale.

Ecco la lettera di Marina pubblicata il 18 lugliio 2008 su La Stampa. Vale la pena leggerla…

Consiglio anche di guardare il video a cui si riferisce la principessa nelle ultime righe della sua missiva. Buona lettura e buona visione a tutti.

Caro Direttore,
sono Marina Garaventa, ho 48 anni e sono, più o meno, nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby: come lui, ho il cervello che funziona benissimo, diversamente da lui, posso ancora usare le mani e la mimica facciale. Come ho seguito il caso Welby, esprimendo la mia opinione, ho seguito il caso, ben più grave del mio, di Eluana Englaro e mi sono «rallegrata» della sentenza che ne sanciva la conclusione, sperando che nessuno si permettesse di intromettersi in un caso così delicato e personale. Non avevo la benché minima intenzione di dire o scrivere alcunché fino all’altra mattina alle 7 quando, ascoltando i primi notiziari, ho sentito tante «cazzate» che mi sono decisa a dire la mia. Io sono abituata a esprimere opinioni, dare giudizi e consigli solo su cose che conosco bene e che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe tanto che tutti si regolassero così, evitando di aprire la bocca per dare aria a sentenze basate su mere teorie filosofiche e moral-religiose.

Con queste parole mi riferisco, in particolare, alle recenti «sortite» di alcuni personaggi noti che, in un delirio di onnipotenza, dicono la loro, scrivono lettere patetiche e organizzano raccolte pubbliche di bottiglie d’acqua: le bottiglie, a Eluana, non servono perché sia l’acqua sia la nauseabonda pappa che la tiene in vita e che anch’io ho provato per mesi, le arriva attraverso un sondino. Bando quindi ai simbolismi di pessimo gusto di Giuliano Ferrara, stimato giornalista, e al paternalismo di Celentano, mio cantante preferito. In quanto al mio esimio concittadino, il Cardinal Bagnasco, sarebbe cosa buona e giusta che, prima di esprimersi su quest’argomento, avesse la bontà di spiegarci perché a Welby è stata negata la messa e, invece, il «benefattore» della Magliana, Renatino De Pedis, è sepolto in una nota chiesa romana.

A questo punto, però, siccome neppure a me piace fare della teoria, propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai. Sono disponibile anche a mettermi a disposizione per quest’esperimento ma, devo avvisare tutti che, per loro sfortuna, io sono sicuramente meno docile di Eluana e se qualcuno, chiunque sia, venisse per insegnarmi a vivere, lo manderei, senza esitazione, «affanc…».

A sostegno di quanto detto finora, aggiungo che, nonostante io non possa più camminare, parlare, mangiare, scopare e quant’altro, amo questa schifezza di esistenza che mi è rimasta e mai ho avuto il desiderio di staccare la spina del respiratore che mi tiene in vita. Nonostante tutte le mie limitazioni, io ho una vita intensissima: scrivo su alcuni giornali locali, tengo un blog (www.laprincipessasulpisello.splinder.com), ho un’intensa vita di relazione e, in questo periodo, sto promovendo un mio libro che narra di questa mia splendida avventura. («La vera storia della principessa sul pisello», Editore De Ferrari , Genova).

Sicuramente qualcuno penserà che voglio farmi pubblicità e, in un certo senso, è vero: io voglio, per quanto posso, dar voce a tutti quelli che sono nella mia condizione e non sanno o non possono dire la loro.

Parliamoci chiaro: i malati come me, come Welby ed Eluana, sono già morti! Sono morti il giorno in cui il loro corpo ha «deciso» di smettere di funzionare e hanno ricevuto dalla tecnologia, che io ringrazio sentitamente, l’abbuono, il regalo di un prolungamento dell’esistenza. Ma come tutti i regali, anche questo vuol essere contraccambiato con merce altrettanto preziosa: una sofferenza fisica e morale che solo una grande forza di volontà può sopportare. Nel momento in cui il gioco non vale più la candela il paziente deve poter decidere quando e come staccare la spina. Lo Stato deve garantire la miglior vita possibile a questi malati, tramite assistenza, supporti tecnologici e contributi ma non può arrogarsi il diritto di decidere della loro vita sulla base di astratti principi etici, molto validi per chi sta col culo su un bel salotto, ma che diventano assai stucchevoli quando si sta nel piscio. Eluana non può più decidere ma chi le è stato vicino, nella gioia e nella sofferenza, chi l’ha conosciuta e amata non può dunque decidere per lei, mentre possono farlo persone che, fino a ieri, non sapevano neppure che esistesse?

Io sono pronta a chiedere umilmente perdono se questi signori mi diranno che, nella loro vita, si son trovati in situazioni come la mia o come quella di Eluana e delle nostre famiglie ma, francamente, non credo che la mia ammenda sarà necessaria. Per chiarire meglio la mia situazione rinvio al link di un video: http://video.google.it/videoplay?docid=-8906265010478046915 Concludo ringraziandola e sperando che voglia dare voce anche a me che parlo con cognizione di causa e non per fare della filosofia.

 

Stelle Michelin a modo mio

piatti in attesa...

La Raspelli delle “Feste dell’Unità”.

Sì, lo so che non si chiamano più “dell’Unità”. Lo so che ora si tratta di “Feste del Partito Democratico”. E so anche che io non mi chiamo Edoardo Raspelli e non posseggo la sua grande esperienza giornalistico-gastronomica (sulla stazza, quasi ci siamo; sulla golosità e la voglia del mangiar bene, pure…).

Insomma, ieri sera Paolo ed io abbiamo iniziato il nostro tour estivo alla scoperta dei sapori più buoni delle Feste del Partito Democratico della nostra zona. Anche se è cambiato il nome, la formula è la stessa: tantissimi volontari di ogni età bardati con parananza e cappellini da cuochi che dedicano le loro ore libere, magari prendendosi anche periodi di ferie dai rispettivi lavori, per animare le kermesse di partito che continuano a richiamare tantissima gente.

Ieri siamo stati a Canonica, frazione di Santarcangelo di Romagna, ai confini con Savignano sul Rubicone. Ecco la panoramica, al nostro arrivo: i parcheggi strapieni, la musica folk proveniente dall’orchestra romagnola attorniata da centinaia di ballerini, lo stand della pesca benefica (“ricchi premi, siore e siori!”), il bar, la gelateria e…. la zona ristorante.

“Alla Canonica si va per la trippa”, così afferma una coppia di amici che ogni anno ritroviamo a tutte le feste, sabato dopo sabato.

Allora? D’obbligo, anche per noi, ordinare la famosa trippa della Canonica, servita caldissima con un’abbondante spruzzata di buon parmigiano grattugiato.

Hmmm! Confermo al cento per cento il giudizio riferito: la trippa a casa non si cucina tutti i giorni (anzi, ad essere sincera, io non la faccio proprio mai) e quindi, se la devi mangiare una volta all’anno, tanto vale cercare la migliore!

Curiosa come sono, mi sono fatta indicare dagli organizzatori i cuochi addetti alla trippa (di solito in queste feste ci sono persone che si occupano di un piatto in particolare – ricordate il post dell’anno scorso sullo stesso argomento?).

Gli esperti della trippa sono due “esperte”. Anzi, due giovani e belle arzdore: Maurizia Balducci (casalinga) e Giuliana Morandi (lavoratrice agricola). Ho incontrato Maurizia mentre si rilassava ascoltando walzer e mazurke dell’orchestra di turno. Giuliana, invece, non ho potuto intervistarla, poiché troppo impegnata in pista a ballare col suo cavaliere.

“Cuciniamo almeno 30 chili di trippa al giorno – ha spiegato Maurizia – Il sabato e la domenica anche di più. La ricetta? Quella imparata da mia nonna. Garantita, dunque. Gli ingredienti sono i classici: chiodi di garofano, cannella, sedano, carote, cipolla, pomodoro, aglio, buon olio, limone. Il segreto, forse, sta comunque nell’ottima qualità della materia prima: la trippa viene infatti acquistata dagli organizzatori della festa sempre nello stesso posto, un fornitore di fiducia di Bertinoro, in provincia di Forlì-Cesena.” Applausi per Maurizia e Giuliana.

Ah, come in tutte le recensioni gastronomiche che si rispettino, ecco i prezzi: in due, ordinando due piatti di tagliolini al sugo di pesce (veramente ottimi pure questi!), due secondi, due piadine e un litro di acqua, abbiamo speso 25 euro.

Tavolone di legno e piatto di plastica? Ma chissefrega, quando i sapori sono più che “degni di nota”…

Per chi volesse provare trippa, tagliolini e le altre specialità, ecco la notizia più importante: la brigata di cucina della Canonica va anche in tournée: sono loro, infatti, i cuochi di tutte le feste del Partito Democratico della zona di Santarcangelo.

Ecco i prossimi appuntamenti (con i miei consigli – provati – sulle preferenze gastronomiche di ciascuna festa):

27-29 giugno Rimini Celle (insalata di pesce fredda)

10-13 luglio San Martino dei Mulini

18-27 luglio Rimini Comunale c/o Parco Ausa (pizza in forno a legna)

25-27 luglio Poggio Berni (rane in guazzetto)

6-10 agosto San Vito

7-11 agosto Rimini Lagomaggio (ravioli al sugo di pesce)

14-17 agosto San Giovanni in Marignano

21-25 agosto Bellaria-Igea Marina (spiedini del pescatore)

22-31 agosto Santarcangelo di Romagna (tutti i piatti: la festa dura 10 giorni e c’è tempo per assaggiare tutto)

27-31 agosto Riccione

5-7 settembre Coriano


N.B.: come si capisce, le mie preferenze vanno sul pesce (i gusti son gusti), quindi ogni segnalazione su altre specialità che non ho citato sarà benvenuta.

Buon appetito!

commercialista e ragioniere capo (Giovanni e Paolo): qualcuno alla cassa dovrà pur starci, no?

E’ Viserba o Cenerentola? C’è chi crede alle favole

i due sottopassi previsti a Rivabella e a Viserbella 

I quotidiani locali di oggi (ma anche quelli di ieri e l’altro ieri) hanno riempito pagine intere con l’argomento che sta scaldando gli animi dei viserbesi da qualche tempo.
Se fosse un film, dovremmo chiamarlo “Alla ricerca del sottopasso perduto”.
Brevemente, per chi non è di qui: la linea ferroviaria adriatica, costruita a poche decine di metri dal mare, spezza letteralmente in due la città di Rimini e tutti i paesi e le cittadine che sorgono a nord e a sud (Cesenatico, Gatteo, Bellaria, Viserba, Miramare, Riccione, Cattolica, ecc.). Se un centinaio d’anni fa questo non dava eccessivi problemi, lo stesso non si può dire di oggi, con l’inevitabile espansione urbanistica che ha interessato le aree a monte della ferrovia. In un piano generale che prevede la chiusura di tutti i passaggi a livello (cosa già attuata nella zona sud di Rimini) anche in vista della trasformazione della linea in Metropolitana di Costa (quindi con frequentissimi passaggi di convogli) qui da noi succederà una vera e propria rivoluzione.
I miei concittadini hanno preso carta e penna per sottoscrivere una protesta indirizzata al Sindaco visto che era stata comunicata l’intenzione dell’amministrazione di lasciare Viserba senza sottopassaggi. I comunicati “rassicuranti” che annunciano (meglio dire “promettono”) una sorta di dietro-front al riguardo sono stati emanati ieri, poche ore dopo la  tumultuosa assemblea cittadina di lunedì sera, di cui sono stata testimone.
Personalmente, ringrazio per l’attenzione data in questo caso ai viserbesi e spero con tutto il cuore che i miei nipoti possano vedere le opere concluse.
Però, da vecchia giornalista anche un po’ maliziosa e da scrittrice di favole, posso dire una cosa fuori dai denti?
Ne ho sentite tante di promesse su Viserba! In dodici anni di professione ho scritto tonnellate di articoli sulle magagne a cui ci hanno abbonato, sui mega-progetti sbandierati, l’edificazione subita, la viabilità disegnata a tavolino da fantasiosi artisti, il brutto e costoso (per i contribuenti) arredo della piazza con le mattonelle che ballano ogni volta che ci passo in bicicletta, gli allagamenti causati dalla cementificazione di tutto quanto c’era da cementificare, le aree incolte lasciate a sé stesse e alle bisce diventate allevamenti delle zanzare tigre, le fontane storiche dimenticate asciugate e seppellite per i dispetti fra privati e Comune, le piccole attività commerciali costrette a chiudere perché sono stati autorizzati degli ipermercati mangiatutto dentro la città…
L’elenco potrebbe continuare: non so quante penne ho consumato, a quante riunioni politiche, inaugurazioni, sedute di Quartiere ho partecipato. Per abitudine non getto mai fotografie, bloc-notes ed agende con i miei appunti: ne ho rimediato uno scaffale pieno, un giorno potrò scrivere la storia di Viserba.
In forma di favola, naturalmente: perché, appunto, i favolisti sono i primi ad accorgersi quando qualcun altro racconta favole…
Insomma, il tempismo con cui sono stati emanati i comunicati di ieri a Cristella fa sorgere qualche sospetto… Per il resto, come dicevo, ne ho sentite, di promesse e di rassicurazioni, in questi anni!  
Ho quasi cinquant’anni e non credo che vedrò come sarà Viserba fra altri cinquanta. Vista l’assenza di lungimiranza dimostrata da chi prende le decisioni importanti per questo territorio, penso di non essere l’unica ad avere questo pensiero: “che ce frega, mica ci saremo, fra cinquant’anni”.
 E le mie figlie, i miei nipoti?
Per concludere, una sorta di gioco. Date un’occhiata agli articoli di oggi che parlano dei sottopassi di Viserba (potete consultare la rassegna stampa disponibile sul sito della Provincia cercando la data che vi interessa o facendo una ricerca per parole-chiave) e provate ad individuare quali sono stati scritti al chiuso di una redazione “fidandosi” dei comunicati-stampa inviati dalla diverse parti interessate (ente pubblico, comitati, singoli consiglieri) e quale, invece, è stato scritto da una giornalista che si è recata sul campo.

Non sarà l’inviata in terre di conflitto, d’accordo, ma nel nostro piccolo anche questi particolari possono fare la differenza.

Le belle notizie finiscono nel silenzio

Ci sono notizie che riempiono le pagine dei giornali per settimane e altre che durano solo un giorno e che vengono presto dimenticate.

Le prime sono di solito quelle “di nera”: rapine, stupri, omicidi che dir si voglia, sottolineate dalla nazionalità di chi compie il reato. Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, purtroppo. Le altre sono notizie positive e spesso è già qualcosa se vengono pubblicate almeno una volta, magari in un piccolo box a fondo pagina.


Lo scorso 22 aprile Il Resto del Carlino, pagina Rubicone, titolava: “Tra i rifiuti spunta un tesoro. Riconsegnati 17mila euro”.

E’ accaduto a Ginestreto di Sogliano, in un impianto di selezione dei rifiuti. Sul nastro che trasporta i rifiuti da smistare, due dipendenti della cooperativa “La Finestra” hanno trovato una bella borsa da donna. Insospettiti dal perché qualcuno avesse gettato una borsa così bella, l’hanno aperta e hanno trovato un mucchio di banconote. Oltre ai 17mila euro anche documenti, passaporti, chiavi della macchina e di casa. Hanno avvisato subito la direzione e, insieme, portato tutto ai Carabinieri. I quali hanno rintracciato i legittimi proprietari (due austriaci che erano stati a Rimini per una manifestazione fieristica), che non pensavano proprio più di rivedere la borsa e il suo contenuto. Naturalmente ai due operai super onesti è andata una ricompensa, che si immagina sostanziosa, visto come sono andati i fatti.

Ah, dimenticavo: uno dei due lavoratori (forse da 800-900 euro al mese?) – indovinate un po’ – è  marocchino.

E’ proprio vero: notizie come questa non fanno audience!