Archivi tag: Dialetto

Il dialetto di Amos Piccini

“E’ fiòl strusciòun” (il figliol prodigo). Questo titolo, nel lontano 1996, attirò l’attenzione di Cristella dalle pagine de Il Ponte. Agli inizi della svolta giornalistica, ancora nel pieno dell’entusiasmo di scrivere e dell’emozione di vedersi pubblicata, la regina rispose – attingendo alla memoria di bambina – con “Agli uraziòun de mi bà” (le preghiere del mio babbo).

Ricordando la “réchia matèrna, vècia sta fèrma” o il “domine subìsco” che il babbo infilava sorridendo fra un moccolo e l’altro – facevano tanto arrabbiare la mamma – e che forse aiutavano a sdrammatizzare certe situazioni di difficoltà che, ai tempi, erano piuttosto frequenti.

Ora Amos Piccini, autore dialettale riminese di lungo corso, ha pubblicato niente meno che “Gli Atti degli Apostoli” , anzi: “Fat e mirècul dj Apòstul”.

Su Youtube, per chi fosse interessato, c’è l’intervista a Piccini mandata in onda da Icaro Rimini Tv.

Av salùt!

Pillola di saggezza in dialetto

Alla Festa delle Viole organizzata dall’Istituto Oncologico Romagnolo presso il favoloso Castello del Poggiano, ieri sera una gentile signora di Santarcangelo – mia vicina di tavolo – ha profferito la seguente pillola di saggezza.

“Diceva sempre  mia nonna…

quand ch’avdòi

ch’la è bèla bèla,

nu cridòi,

c’la n’è acsé bèla.

Mo quand ch’avdòi

ch’la è brota brota,

nu cridòi,

ch’la n’è acsé brota!

Quando credete che sia bella bella, non credeteci: non è così bella. Ma quando credete che sia brutta brutta, non credeteci: non ècosì brutta!

Gli intraducibili: sgumbié

T-ci pròpri un sgumbié (o una sgumbièda). Sei proprio uno sgombiato (o una sgombiata).

No, il suono non è lo stesso: uno può essere sgumbié solo in dialetto…

E’ un tipo disordinato, pasticcione, senza capo né coda. Anche simpatico.

Spesso spettinato (in effetti la traduzione che più si avvicina sarebbe ‘scapigliato’, ‘scompigliato’), vestito ‘purchessìa’ (quindi ancora più simpatico perché se ne frega dei conformismi e delle apparenze!), non si preoccupa della maglietta sgualcita o segnata da qualche macchia.

Uno spontaneo, ingenuo, senza orpelli e maschere. Ma dalle mille risorse nascoste.
Di sgumbié (o sgumbièdi) è pieno il mondo.

Par furtouna, verrebbe da dire…

Gli intraducibili: al luvéri

Nel suo Dizionario Romagnolo Ragionato, Gianni Quondamatteo così definisce la parola luvéria: “ghiottoneria, goleria, golosità; dolce, cosa dolce. Quando, dopo aver mangiato a crepapelle, il ragazzo chiede ancora qualcosa, la mamma protesta: Quest l’è luvéria! (questa è golosità!). La luvéria ad cla dòna la fa epuca: la s’ingola un sac d’luvéri (la golosità di quella donna fa epoca: ingoia un sacco di golosità).”

Ma c’è anche la variante luvarìa, così definita: “golosità. La mamma rimprovera il figlio che chiede questo o quello: l’è tòt luvarìa! (è tutta golosità!). L’è na luvarìa (è una golosità), dico a me stesso mangiando una cosa desiderata. Del bambino spendaccione: e’ va dré ma tòt al luvarii de mond!  (va dietro a tutte le golosità del mondo!).”
Al luvéri, però, dette così, in dialetto, hanno un significato più forte delle semplici “golosità”. Un po’ come Nanni Moretti quando si immerge nel bicchierone di Nutella: al luvéri sono quelle schifezze, quei pastrocchi buonissimi che nessuna dieta mai raccomanderebbe…

Quando Cristella era piccola e viveva a Gatteo a Mare, ogni domenica, appena dopo pranzo, così come gli altri bambini del vicinato, aspettava con ansia la Manèccia, portatrice di luvéri. Era la tipica vecchietta romagnola, col vestitone lungo, il fazzoletto in testa e un grembiule-parananza con grosse tasche piene di chissà cosa. Nel ricordo un po’ sfocato (si parla di oltre quarant’anni fa!) la Manèccia era un po’ strega: i bambini ne avevano soggezione – più che per il suo aspetto – forse perché non concedeva mai sconti.
La vecchia partiva da casa sua, in via delle Nazioni, spingendo a mano un carretto di legno col quale avrebbe percorso le strade del paese. Ad ogni crocicchio i bambini l’aspettavano, con in mano la paghetta appena ricevuta dal babbo. Dieci lire o poco più… Al massimo trenta lire, ma solo se si era stati davvero bravi.

Cosa si comprava? Qualche caramella, le carrube, le liquirizie, i coni-gelato finti. Ma anche cartoccini di ceci, lupini, brustoline e arachidi… La Manèccia teneva queste luvèrie in cesti o bacinelle stretti sul carrettino. Con la carta gialla da salumiere faceva dei cartocci a forma di cono e li riempiva usando dei misurini di legno che a noi sembravano sempre troppo piccoli.

Mentre la Manèccia proseguiva il suo percorso verso i bambini di un’altra strada che l’aspettavano impazienti, noi, felici dei nostri acquisti, ci sedevamo insieme da qualche parte a strafogarci di luvèrie, scambiandoci qualche assaggio dell’una o dell’altra golosità.

Pregustando già la domenica successiva, quando la sagoma nera della vecchietta e del suo carretto avrebbe fatto capolino da laggiù in fondo e ci si sarebbe chiamati da un cortile all’altro: “Arriva la Manèccia! Arriva la Manèccia!”

via Primo Maggio, 1966. La Manèccia sbucava da laggiù, l'angolo con via delle Nazioni

I patàca che si ubriacano e passano col rosso

La tabella che riporto qua sotto è presente in molti locali di Rimini. L’ho trovata scritta in un dialetto romagnolo un po’ rimediato e quindi ho provato ad aggiustare qualche parola e qualche accento. Così come la trovate ora suona meglio alle mie orecchie (consapevole che i dialetti cambiano da quartiere a quartiere…).

La dedico alle ragazze che l’altra notte sono state investite in un incrocio al centro di Rimini da un pazzo ubriaco che andava sparato tentando di passare col rosso.
Ragazze astemie, che non avevano bevuto un goccio. Andavano tranquille e il semaforo dalla loro parte era verde. Per fortuna i danni si sono limitati alla macchina (da buttare), una gran paura, qualche graffio e un collare da portare per qualche settimana.
Qualcuno di mia conoscenza, però, oggi andrà in chiesa ad accendere una candela: il posto dietro all’autista, in quel momento vuoto, è quello che ha preso la botta più grossa. Fino a qualche minuto prima era occupato dalla mia principessa, scesa a venti metri da lì.

Concentraziòun ad spérit in t’e’ sang, sensazioun e percezioun, efét colaterél, sintom e concause.

Concentrazione di alcool nel sangue, sensazioni e percezioni, effetti collaterali, sintomi e concause.

0,0 gr/lt
T’è un’arsùra vigliàca: bsògna zarchè un bar vért
Hai una sete tremenda: bisogna cercare un bar aperto

0,2 gr/lt
E pèr ad stè mèi: s’e’ prém gòz t’an t-cì mai sicùr
Ti pare di stare meglio: col primo goccio non sei mai sicuro

0,4 gr/lt
E cménza e’ divertimént:: la zurnèda la s’indrézza
Il divertimento inizia: la giornata si raddrizza

0,5 gr/lt
Benessere: stà ténti, da qué in avènti i t cèva la paténta!
Benessere: stai attento, da qui in avanti ti fregano la patente!

8 gr/lt
Ma tèra l’è tòt sbiavéid: t’at guèrd travérs un fònd ad’bicìr tòt oùnt
A terra è tutto sbiadito: ti stai guardando attraverso un fondo di bicchiere tutto unto

1,5 gr/lt
Pid chéld e òmid: t’a t-cì pisé ma dòs
Piedi caldi e umidi: ti sei pisciato addosso

3,0 gr/lt
La zénta intònd l’a t prodùs un éco strèn: no stà a fè tènt e’ pataca, chèva e’ bicìr da l’urècia!
La gente intorno a te produce un’eco strana: non stare a fare il pataca, togli il bicchiere dall’orecchi!

4,0 gr/lt
La tu fàza l’a t guèrda e la pèr propri una fàza da cùl: t’è mès la tèsta in t’e’ water par zarchè ad vumitè.
La tua faccia ti guarda e sembra proprio una faccia da culo: hai messo la testa nel water per cercare di vomitare

6,0 gr/lt
Tòt i parént i t guèrda mèl e i è ènca inferocìd: t’è sbajè chèsa e t’è spac ènca la céva in t’a sradùra
Tutti i parenti ti guardano male e sono anche inferociti: hai sbagliato casa ed hai pure rotto la chiave nella serratura

8,0 gr/lt
La zénta l’è tòta vistìda ad biènch e la musica l’è sèmpra la stèssa: t’cì in t’la ambulènza, no mòvti che t’réschi e’ còma etilico!

La gente è tutta vestita di bianco e la musica è sempre la stessa: sei nell’ambulanza, non muoverti, che rischi il coma etilico!