Là in mezzo al mar…

I regali non sono tutti uguali. Di solito quelli inattesi sono i più graditi, così come lo sono quelli dal valore non quantificabile in cifre.

La rete di amicizia-feeling creata con gli altri blogger, per Cristella si allarga ogni giorno di più e i nodi che la tengono insieme si stringono, qua e là, per renderla più forte.

Insomma, per non farla lunga: guardate un po’ cosa mi dedica Luca, l’amico blogger ligure, dal suo “Mi Arrangio” (con due post: questo e quest’altro).

le vette innevate -1

le vette innevate -2

Alpi al mare

Una visione davvero inusuale, che da questa parte dell’Italia nessuno potrebbe mai immaginare: le cime delle Alpi innevate sembrano sorgere dal mare.

Potrebbe essere lo scenario per una nuova favola affollata di principesse, fate e… regine Cristelle.

Avviso di servizio per la Principessa Dory: mi posti le foto di Luca anche nel nostro blog, che la mia bacchetta magica stasera non funziona?

Gli intraducibili: “ac gnòrgnia!”

Di solito è una persona, di quelle noiose che non si vorrebbero mai incontrare. Se non se ne può fare a meno, la si sopporta a malapena e ci si arma di santa pazienza.

Ma potrebbe essere anche un libro, un discorso, un… post (come questo).

Nel dizionario italiano non l’ho proprio trovata, questa parola. Forse qualche commentatore extra-romagnolo mi può far sapere se esiste un sinonimo in altre parti d’Italia?
Senza esagerare, però, sennò anche questo blog diventa una vera gnòrgnia

Av salùt!

Gnòrgnia: piagnisteo, mugolio continuo, nenia, filastrocca noiosa, brontolio interminabile.

Gianni Quondamatteo, nel suo Dizionario Romagnolo Ragionato, spiega: ripetizione noiosa, stucchevole; “fè la gnòrgnia” (fare la gnorgnia), di bambino e di adulto, che chiedono, insistono, ripetono, ecc.

Ta me fat na gnòrgnia!” (mi hai fatto una bella gnorgnia!), “os-cia ac gnòrgnia!” (osta, che gnorgnia!). Di persona fastidiosa, stucchevole: “t’ci na bèla gnòrgnia!” (sei una bella gnorgnia!).

E’ rimasto proverbiale, a Rimini, un prete della chiesa di San Giovanni. Vissuto nei primi decenni del 1900, don Gnòrgnia era noto, a quei tempi, per le sue lunghe messe, in totale contrasto con don Lampo che sembra dicesse messa in 18 minuti…

“L’arivéva pianìn pianìn – scrive Enzo Fiorentini in I Scipuléin, ed. Il Ponte 1980 – S’e’ su bastunzéin, s’un caplàz ad pél locid che paréva un umbrèl, che cuprìva un gibidomini e, dréinta, znin znin, lò, cui stèva tre vòlti!” (arrivava pian pianino, col suo bastoncino, un cappellaccio di pelo lucido che pareva un ombrello, che copriva un gibidomini – non so cos’è, il gibidomini NDA- e, dentro, piccolo piccolo, lui, che ci stava dentro tre volte!).

Don Gnòrgnia avanzava pianino, attendeva, poi faceva un passettino, avanzando piano il bastoncino e d’estate avanzava il cappellone di pelo con una mano… per non disturbare troppo.

Forse era al mondo per sbaglio. Guadagnava l’entrata, imperturbabile anche se l’urtavano, si cavava il cappellone e mormorava qualcosa che erano certo delle scuse. Semmai, faceva un passettino indietro. Quando pioveva scompariva sotto un ombrellone dal quale spuntavano solo due enorme calosce lucide che si muovevano piano e dentro c’era anche lui: don Gnòrgnia.

All’infuori delle parole della Messa non lo si sentiva mai. E’ zarchéva ad nu dé dàn! (cercava di non dar danno!). Ma danno ne provocava lui con la sua lentezza!

I ragazzi cercavano sempre le messe di don Lampo. Se si capitava alla Messa di don Gnòrgnia eran musi lunghi…

I have a dream

Chi frequenta questo blog e la sua autrice sa che Cristella e il Re consorte sono attivi da diversi anni, come volontari, all’interno della dinamica realtà dello Ior, l’Istituto Oncologico Romagnolo.

“Perché si diventa volontari? – ci viene chiesto spesso – Chi ve lo fa fare, di ‘perdere’ del tempo a vendere azalee, organizzare eventi, impegnarvi per la promozione e l’informazione quando potreste andare a spasso per i fatti vostri?”

Il punto è proprio questo: anche se non per esperienza direttissima (chi non ha avuto in famiglia un caso di malattia grave?), tutta l’attività di promozione e informazione che sia possibile fare in questo campo è un “fatto nostro”, eccome!

Proprio in questi giorni sto anche curando l’uscita di RiminiAil Notizie, il periodico dell’Ail (Associazione contro le Leucemie, Sezione di Rimini). Un’altra realtà locale che rappresenta un fiore all’occhiello per il supporto che dà alla macchina della sanità pubblica.

Sono amica dell’Arop, Associazione Riminese Oncologia Pediatrica, fondata, tra gli altri, da genitori che hanno avuto bambini con malattie oncologiche.

E’ un mondo con cui di solito si viene a contatto all’improvviso, incontri che non chiedi, tegole che arrivano in testa. Nello sbandamento e disorientamento dei malati e delle loro famiglie il ruolo delle realtà associative come queste è fondamentale, prezioso, insostituibile.
Forse la Romagna è un’isola felice, in questo senso. E quando scrivo questo penso alla blogger Anonima Mente, che non ha mai rivelato da dove scrive, ma racconta esperienze personali di abbandono sanitario specificando solo che sono vissute in una regione del Sud Italia.

“I have a dream”: quando compro un’azalea della ricerca per 12 euro, immagino che quei soldi, proprio quei 12 euro, saranno gli stessi che domani o dopodomani serviranno a finanziare con una borsa di studio un’ora di ricerca scientifica. La stessa ora in cui un giovane medico o biologo, forse oggi ancora sui banchi di liceo, scoprirà la cura risolutiva per tumori e leucemie.

“I have a dream”: che la buona sanità possa varcare i confini di poche regioni e andare oltre, in tutt’Italia, in Europa, nei paesi più sperduti del globo. E, chissà, è forse proprio là, nel Congo martoriato dalle guerre, in India, in Cina, in Ucraina, che si nasconde il “mio” ricercatore, quello che aspetta i miei 12 euro.

Confesso che questo post è scritto di getto e senza alcuna premeditazione: mi è stato ispirato da una “lettera al direttore” apparsa qualche minuto fa sul quotidiano on-line Newsrimini.it.

E’ la storia vera di un giovane assessore della città di Rimini, mio conoscente, papà di 7 figli, uno dei quali caro amico ed ex compagno di scuola di una delle mie figliole.

Stefano Vitali e la sua testimonianza: leggete anche voi! E sorridete con lui e con Cristella.

Un abbraccio a Stefano, un abbraccio a Mentina, un abbraccio a Princy.

Un grazie alla sanità riminese, allo Ior, a RiminiAil, all’Arop.

Visérba: e’ ghèt ad Rémin

“Variante ghetti”: se ne sente parlare abbastanza spesso, da queste parti. Sempre, tanto per cambiare, con riferimento a nuove case da costruire.

Ma lasciando da parte per un attimo piani regolatori, delibere e mattoni (sfido gli amministratori riminesi a fare altrettanto, immaginando che la materia affolli persino i loro sonni notturni), sono andata a cercare sull’insostituibile Dizionario Romagnolo Ragionato di Gianni Quondamatteo il significato della parola “ghét”.

… e ho trovato un bellissimo trattatino storico-sociologico-geografico sul territorio riminese.

“Ghèt: aggregato di casupole, alla periferia, spesso sinonimo di miseria, abbandono.
I ghetti erano numerosi a Rimini fin dall’antichità; e sono chiamati ghetti anche gli abitati rurali dei casanoli, cioè dei braccianti agricoli, e i campi di raccolta dei prigionieri di guerra. Nel passato v’erano i ghetti “dei pirati”, “dei saraceni”, che sbarcando a predare sulla costa, vi restavano prigionieri. Il ghetto degli ebrei era nel borgo XX Settembre: alcune case esistono ancora nel vicolo S. Giovami.
A Rimini si ricordano e’ ghèt d’la Zinganéina (S. Aquilina), dì Pirata (prima della Barafonda), di Turc (Villaggio Nuovo), di Casét (sotto Covignano), ad Pitini (a Spadarolo), ad Picinèli (sempre sulla strada di Verucchio, oltre il precedente), dla Zunèra (a Vergiano), dla Gajufèna, ad Filòn (via Marecchiese),  ad Tamagnìn (S. Salvatore), ad Masìr (S. Maria in Cerreto), ad Casali (sulla strada di Montescudo), dla Furnèsa ad Marchesini (Cerasolo), dla Zarbajola (sulla vecchia strda di San Marino), ad Randòz (Spadarolo), ad Varièn (S. Giustina), ad Mavòs e de Castlàz (entrambi sulla vecchia strada di S. Marino), dla Brusèda e ad Tombanova (sulla strada di Coriano) e, più vicino a noi ricordiamo ancora e’ ghèt ad Patagnac (via Tripoli) e quello dla Cansouna (via Pascoli).

T’créd che Roma e’ sia un ghèt? (credi che Roma sia un ghetto?), è l’interrogativo che si pone – a mo’ di risposta – all’amico che esprime meraviglia ingiustificata, o ritenuta tale.
Dico all’amico: “Accidenti che bel vestito, che bella macchina!” E lui mi risponde in quel modo, come a dire: “Ma è del tutto naturale! Perché ti meravigli?”
Ricordiamo qui anche e’ ghèt d’Bastèla, in quel di Misano, e il singolare modo dire l’èlba de ghèt d’Bastèla. Questa alba pare sorgesse, per quegli abitanti, fra le undici e mezzogiorno, perché quella brava gente solo allora si levava, tutta la notte essendo impegnata a rubare. Un ghèt ad putèni (un ghetto di puttane): un paio di abitazioni ravvicinate, ospitanti ragazze allegre, e il marchio era indelebile.
Se di una zona diciamo ch’la s’è ardòta un ghèt (che si è ridotta un ghetto) vogliamo con ciò significare l’infittirsi delle costruzioni edili, coi relativi aumenti di popolazione, traffico, numeri, ecc.”

Ecco, capito ora il significato del titolo di questo post?

Nido vuoto

Un nido vuoto
di Franca Fabbri
da “Il re fioraio” Longo Editore Ravenna, 1997

nido vuoto raccolto sotto casa

Dal tetto,
strappato dal vento,
è volato via
un nido vuoto.

Nelle mie mani
e nei miei occhi
stupore
per la fragilità
e la forza
dell’intreccio
di paglia e fili d’erba.

Se mi chiedi ora
che cos’è la tristezza
ti rispondo
– un nido vuoto -.