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Quando Silvia filava…

Venerdì 8 maggio Cristella, per un paio di ore, è “tornata a casa”, in quel di Gatteo a Mare, nella veste di scrittrice-giornalista.

Il luogo era ricco di ricordi: la vecchia scuolina di via Firenze, che da pochi mesi ospita il Centro Culturale Ricreativo “Giulio Cesare” (intitolato così perché lì, a cento metri, sfocia lo storico fiume Rubicone). La saletta dell’incontro era proprio l’aula dove Cristella, oltre quarant’anni fa, frequentava la scuola elementare.

La scusa era la presentazione del libro “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”. Anche se pubblicato da ormai dieci anni e presentato in diverse città romagnole, non c’era stato ancora alcun invito da parte del paese natìo… Della serie “nemo propheta…”

Con i soci del Centro, il feeling è stato immediato, specialmente coi più anziani, visto che si è parlato non tanto del libro (comunque, non “solo” del libro), ma di tutto quanto l’ha ispirato, soprattutto il lavoro incredibile che occorreva per produrre la tela di canapa, attività presente, fino agli inizi degli anni Cinquanta, in ogni casa di campagna.

L’amica Franca Fabbri, poetessa e scrittrice colta e sensibile, ha saputo introdurre Cristella con le parole giuste, contribuendo a creare fra i presenti un’atmosfera carica di emozione.

Cristella e Franca

Oggetti “della nonna” – quali alcuni fusi, una rocca, parti di telaio (lézz e pettini), una navetta (la drugla), un ròdal – hanno attirato l’attenzione e provocato qualche lacrima fra i più anziani.

La novantaseienne Silvia si è ritrovata, con rocca e fuso in mano, a filare semplice stoppa con maestria. Come se avesse smesso il giorno prima… Ha detto: “Ne ho filata tanta, da giovane! Una volta imparato, non si dimentica più: è come per uno che prende la patente e guida la macchina. I gesti vengono naturali.”

Quando Silvia filava...

Per la cronaca: era presente anche Riccarda Casadei, la figlia del mitico autore della canzone Romagna Mia, Secondo Casadei, che è sempre attenta a tutto quanto può in qualsiasi modo valorizzare la terra romagnola, le sue tradizioni, le sue ricchezze.

Un vero onore e un vero piacere, per Cristella…

Così come lo è stato vedere, al termine della serata, i sorrisi soddisfatti ed emozionati (forse anche un po’ sorpresi) dei soci del Centro, che l’hanno invitata per altre occasioni.

Forse stanno pensando: “Ma chi l’avrebbe detto, che la fiòla ad Panarèt, cl’la burdèla s’i uciél, l’a fòss dvénta una giurnalésta?”

Che ci vorrà mai, a gestire un pozzo di petrolio in Dubai?

“Cerco lavoro. Un lavoro qualsiasi.”

“Che sa fare?”

“Tutto.”

Questo è il dialogo che ormai quotidianamente si ripete allo sportello dell’ufficio dove Cristella cerca di guadagnarsi onestamente lo stipendio, nonostante il ministro anti-fannulloni.

Quando va bene, invece che “tutto” l’interlocutore risponde “mi adatto a fare qualsiasi lavoro”. Vallo a raccontare agli imprenditori che, sempre più, puntano su qualità e professionalità… Come succede in tanti settori, l’esperto di tutto non esiste. Tuttologo e nientologo, dove il confine?

Ci sono giornate, però, che propongono situazioni quasi comiche. Della serie: “se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere”.

Un esempio? La signora meridionale che negli anni passati arrivava sempre in questo periodo per un lavoro come addetta alle pulizie negli alberghi di Rimini. Piccoletta, capelli grigi, senza trucco, un dente mancante a rovinarle il sorriso…

Visto che allo sportello c’è l’insegna “Informazione”, la signora ha ben pensato di chiedere: “Ma come posso fare per andare in Dubai a gestire un pozzo di petrolio?”

La disponibilità di Cristella e delle colleghe è sempre ampia e il motto è: “se non lo sai, cerca, semmai prendi tempo e forse poi potrai rispondere”. Però il Dubai, i pozzi… Insomma, questa è una domanda proprio spiazzante. Magari si inizia approfondendo la motivazione della richiesta.

“Signora, lei che esperienze ha? Parla l’inglese?”

“No, no. Ho sempre fatto le pulizie e ho lavorato in campagna con i miei, giù in Puglia.”

“Ma perché vorrebbe andare in Dubai a gestire un pozzo di petrolio?”

“Come, perché? Secondo voi è giusto che quelli là si arricchiscano così tanto mentre milioni di persone nel mondo muoiono di fame? Se io riuscirò a gestire un pozzo di petrolio in Dubai, giuro che redistribuirò la ricchezza fra i poveri. Che ci vorrà mai, a gestire un pozzo di petrolio?”

E vai col sorriso sdentato…

Il dialogo è vero. Questa mattina, Centro per l’impiego di Rimini.

Nessuno ha riso. Però, che malinconia…

Il vaff… di Cava: quando cevvò, cevvò!

Quando Cristella si presentò a Osvaldo Cavandoli per intervistarlo, il noto disegnatore era in costume da bagno e stava giocando con un nipotino sotto all’ombrellone. Era il 23 agosto 2000, sulla spiaggia di Torre Pedrera. La sera seguente il Comitato Turistico della cittadina dove Cava passava le vacanze da tanto tempo gli avrebbe reso omaggio pubblicamente con una festa in piazza, festeggiando così anche i suoi 80 anni portati alla grande.
Cava fu molto gentile e disponibile e l’articolo per il Resto del Carlino venne piuttosto bene.

Durante l’intervista arrivò una telefonata del direttore del giornale che sollecitava la spedizione del pezzo entro mezzora. Vedendo sul volto di Cristella il disappunto – tenendo presente che quella conversazione era molto piacevole e la giornalista non aveva affatto voglia di concluderla – il disegnatore commentò a modo suo: prese il foglio bianco e il pennarello furbescamente portati dall’intervistatrice e, in un attimo,  tratteggiò il suo personalissimo saluto al direttore rompiscatole.
il vaff.... di Cava

Da quel giorno la vignetta è appesa nello studio di Cristella, a ricordare che… quando cevvò, cevvò.
Comunque, per chi voglia ammirare da vicino il “vaff…” di Cava, una copia è in mostra anche alla redazione del Carlino, al tavolo di lavoro della collega Monica R.

Il popolo chiede pane? Dategli un sondino.

Avete presente quelle vignette che raccontano più di pagine intere scritte da fior fiore di giornalisti?

Un “amico” di Face Book (sì, anche Regina Cristella s’è lasciata affascinare dalla sirena) oggi ha aggiunto sul suo profilo un quadretto che riassume due delle questioni più scottanti all’ordine del giorno su tutti gli organi di informazione.

ironia amarognola di Arnald

Non aggiungo altro, se non il consiglio di aprire il blog di Arnald e salvarlo fra i preferiti: diversamenteoccupati.it è un viaggio nel lavoro e dintorni (e nel non lavoro) visto da una prospettiva molto arguta.

“Le tue vignette lasciano l’amaro in bocca”, sono i commenti che ogni tanto Cristella lascia all’amico Arnald, che periodicamente apre la sua finestra anche su Jobtalk, il blog de Il Sole 24 Ore dedicato al lavoro e curato da Rosanna Santonocito.

Finalmente su questo schermo: i brazadél d’l’impajèda

Finalmente ce l’ho fatta!
E’ più di un mese che giro attorno ai brazadél d’l’impajèda, ricetta della tradizione romagnola rammentatami dalla Pierina d’e’ Zàqual, la suocera 98enne di mia sorella Teresa. La nonna, sapendo del mio interesse per la cucina del passato, un giorno mi disse: “Parché t’an fé i brazadél d’l’impajèda?” (perché non fai i bracciatelli dell’impagliata?)”
“Ma come si fanno, nonna?”
Sa saràl mai! T’fé di biscòt tònd s’e’ bus t’e’ mèz…” (cosa sarà mai! Fai dei biscotti tondi col buco nel mezzo…).
Beh, facile per lei.
Mi sono fatta spiegare per bene la ricetta e a casa ho provato. Siccome lei abita a Gatteo a Mare e io a Viserba e vado a trovarla una volta a settimana, per poterle far vedere il mio lavoro ho documentato con la fotocamera.
“No, no! Così non va – mi ha detto la prima volta – Buco troppo largo, biscotto troppo secco.”
Insistere, mai arrendersi. Alla seconda prova, il risultato è sembrato migliore già all’assaggio, anche senza l’approvazione della nonna. Ma il diavolo ci ha messo la zampino: la maestra di cucina romagnola è stata ricoverata d’urgenza per problemi al cuore, vecchio e stanco. Già pensavo di aver perso per sempre la possibilità di recuperare questa ricetta dalla fonte migliore (la memoria vivente delle vere arzdore), quando la situazione è migliorata e la nonna è tornata a casa, piuttosto pimpante e attenta come prima.
Ecco: subito, alla prima visita, arrivo io con le nuove fotografie.

i bracciatelli da infornare
i bracciatelli pronti

Ai sém! Stavolta i va bén!” (ci siamo, questa volta vanno bene!). Evviva! (in tutti i sensi…).

Allora, prima della ricetta, qualche riga sul perché questi biscotti si chiamano così.

Brazadèl o bracciatello: Quondamatteo scrive che “bracciatella” è voce del XIII secolo e il dolce è documentato, come bracidellus, in una glossa latina medievale del X secolo. Secondo la rivista di studi romagnoli “La Piè” deriverebbe dal fatto che veniva spontaneo, ai primitivi venditori, usare il braccio per tenerveli comodamente e in mostra. Era tradizione – lo dicono i libri, ma lo conferma la nonna – preparare questi biscotti a casa e portarli dal fornaio del paese per la cottura (quando il forno veniva spento, dopo il lavoro notturno del pane, e rimaneva la temperatura giusta per ciambelle e biscotti). Si preparavano per le cresime e per i battesimi, ma, specialmente, quando si andava a far visita a una donna che aveva partorito da poco. In quest’ultimo caso era la mamma della puerpera, che preparava un bel panìr ad brazadél (un paniere di bracciatelli) per farne dono alla figlia, che solitamente non viveva con lei. Ed è per questo che il loro nome è legata all’impagliata, così come viene definita in molte regioni d’Italia la neo-mamma.
Ecco cosa scrive il solito Gianni Quondamatteo sul termine impajèda: la puerpera è l’impajèda. Nelle “Relazioni dei parroci del dipartimento del Rubicone, al podestà di Forlì” (1811), c’è l’espressione a j’ò la moi int’la paja (ho la moglie nella paglia), che il marito pronunciava quando la moglie aveva partorito. Mentre a j’ò la moi in s’l’aròla (sull’arola) era detto quando la donna avvertiva le prime doglie. Alle prime doglie la donna sedeva davanti al focolare, coi piedi sull’arola, appoggiandosi alla conocchia. Impajèda era anche il pranzo in occasione del battesimo. Andém da l’impajèda (andiamo a trovare la puerpera) e le si portava in dono una gallina per fare un buon brodo, uova fresche, zucchero, caffè, ciambella. La prima uscita della puerpera era dedicata alla chiesa per l’offerta alla Madonna di un mazzo di candele.

Ricetta dei brazadél d’l’impajèda
Ingredienti:
500 g di farina 00; 200 g di strutto; 200 g di zucchero; 4 uova; 1 bicchierino di anice; 1 bustina di lievito per dolci; la buccia grattugiata di un limone.
Preparazione:
lavorare la farina, il lievito, lo zucchero, la buccia grattugiata del limone, lo strutto e il bicchierino di anice. Impastare tutto con le uova fino ad ottenere un composto sodo, che verrà avvolto in pellicola per alimenti e fatto riposare in frigo per un’ora. Col matterello stendere l’impasto fino ad ottenere uno spessore di 3 – 4 mm. Ricavarne delle forme rotonde utilizzando una tazza da caffelatte per il bordo esterno e un bicchierino da liquore per il bordo interno. Mettere i biscotti su una teglia foderata con carta da forno e cuocere a 160° circa per 10-12 minuti (si devono appena colorire).
Ai tempi della nonna Pierina non si faceva, ma oggi, in tempi di abbondanza, i bracciatelli si possono spolverizzare con zucchero a velo.
Buon appetito!