Archivi categoria: Donne

Bon dé, bon an, ch’avìva dla furtona par tot l’an!

A grande richiesta… ri-ecco a voi le antiche usanze romagnole del 31 dicembre e del primo gennaio.
Da notare, nelle ultime righe di questo post, l’origine della poca considerazione per le donne che esiste tuttora.

Vabbè, Buon Anno a tutti. Alle donne in particolare!

Testo tratto da Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi, Romagna Civiltà. Vol. I – Cultura contadina e marinara, Grafiche Galeati Imola, 1977.

L’ultimo giorno dell’anno le donne si guardavano  dal lasciare incompiuto un lavoro già intrapreso. Si traevano ora gli auspici per l’anno venturo. Così ne descrive uno il Bagli: L’ultimo giorno dell’anno prendono tre fagioli. Ne tengono uno colla buccia, ne pelano un altro a metà, e l’ultimo per intero, poi lo chiudono in un cartoccio, e li mettono la sera sotto il capezzale del capo di casa. La mattina del primo giorno dell’anno riprendono  il cartoccio, poi fanno estrarre da un bambino uno dei tre fagioli. Se esce quello colla buccia è segno di fortuna per tutto l’anno, se quello con metà buccia significa mediocre fortuna, se esce quello senza buccia affatto significa disgrazia”.

Altri auspici si traevano il primo dell’anno con questo gioco, pure raccolto dal Bagli:

“Nascondono una chiave, dell’acqua, della cenere e un anello; poi quegli che ha nascosto la roba manda gli altri a cercarla, e chi trova la chiave  sarà fortunato tutto l’anno; chi l’anello dovrà farsi lo sposo nel corso dell’anno; chi trova l’acqua piangerà tutto l’anno; e finalmente chi trova la cenere dovrà morire”:

E sempre in tema di pronostici scriveva il Placucci:

“Sono vigilanti li contadini, tanto uomini che donne, nel sortire di casa nel primo giorno dell’anno a rimarcare il soggetto che incontrano per il primo, desumendo da tale incontro un preludio o fausto o funesto per le vicende dell’anno intero.

– Se incontrano un povero, è un augurio cattivo.

– Se incontrano un benestante, e dabbene, presagisce un buon anno.

– Incontrandosi in un vecchio significa morte di qualcuno della famiglia entro l’anno; quale presagio si ha incontrandosi in un prete da uomini, fanciulli, o donne maritate.

– All’opposto, se una giovane nubile, od una vedova s’incontra in un prete, è segno che in quell’anno deve unirsi in matrimonio.”

Oltre che trarre auspici si cercava di propiziarsi a Capodanno l’anno nuovo, iniziandolo bene. Si mangiava l’uva appassita bianca perché portava denari, si facevano un po’ tutti i lavori soliti perché poi riuscissero bene nel corso dell’anno.

Il Placucci ricorda anche l’usanza di dare il buon anno e afferma che al suo tempo questo augurio si costumava ‘solo fra fra gli anziani ed i capi delle ville’, i quali, incontrandosi tra loro, dicevano ‘Bon dé, bon an‘ e si rispondevano a vicenda ‘Dì u z’e cunzéda‘ (Dio ce lo conceda).

Ma ancora fino a pochi anni fa nelle nostre campagne i bambini maschi usavano portare il buon anno a tutte le famiglie dei propri dintorni ricevendo in cambio denari e zuccherini: cominciavano a far dell’alba, spesso a gruppi, per poter visitare il maggior numero di case possibile e racimolare un gruzzolo consistente.

E l’augurio veniva espresso con una strofetta, diversa a secondo delle località. Eccone una raccolta nella Romagna bassa:

Bon dé, bon an, bona furtona,

int la stala, int e’ stalèt,

int la bisaca de curpèt.

(Buon giorno, buon anno, buona fortuna, nella stalla e nello stabbiuolo, nella tasca del corpetto).

Non mancavano i versi ai contadini oppressi dal padrone:

Bon dé, bon an,

ch’avìva dla furtona par tot l’an

ch’aviva de grèn, de furmintòn,

e pu ch’avìva ch’uv mura e padron!

(Buon giorno, buon anno, abbiate della fortuna per tutto l’anno, abbiate del grano, del formentone, e poi vi muoia il padrone!).

Se poi non ricevevano nulla in cambio delle loro prestazioni, i bambini si allontanavano gridando:

Bon dé, bon an,

ch’uv mura la sumara int e’ capàn!

(Buon giorno, buon anno, che vi muoia la somara nel capanno!).

Abbiamo detto che soltanto i maschietti portavano il buon anno. Infatti le donne evitavano, il primo gennaio, d’andare in casa d’altri, perché avrebbero portato disgrazia e quindi, per prevenire un cattivo inizio dell’anno che avrebbe avuto ripercussioni malefiche su tutto il suo corso, non sarebbero state accolte.

Questa usanza è tuttora osservata presso molte famiglie.

Per lustrarsi gli occhi… la bella mostra “Rimini Ricama”

Rimini Ricama 2011.

E’ al Palazzo dell’Arengo di piazza Cavour fino al 27 novembre. Chi avesse in programma una visita ai centri commerciali o un intontimento davanti alla tv, cambi programma, perché ne vale davvero la pena!

Gioielli creati al tombolo da Rosina Botticelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inaugurata il 18 novembre, l’esposizione annuale che rende omaggio all’arte del ricamo e del merletto sta attirando visitatori a centinaia. Bellezza, eleganza, creatività, storia, armonia, arte… Questo, si respira, nell’enorme salone medievale dell’Arengo, fulcro, in passato, della vita amministrativa e politica della nostra città. Non più Podestà, Sindaci e Assessori, ma, semplicemente… donne dalle mani d’oro. Ragazze senza età che con un ago o un fusello tra le mani si trasformano in piccole/grandi artiste e, quasi con timidezza ma con grande orgoglio, espongono al pubblico le loro opere.

E anche quest’anno l’associazione Rimini Ricama ha saputo ancora una volta coniugare l’estro e la creatività delle socie, tutte abili ricamatrici, con espressioni artistiche di vario genere.

Come indicato anche nel titolo (“Fili e merletti: un’arte in cammino, anche nell’Alta Valmarecchia”) quest’anno l’esposizione è infatti arricchita dall’apporto dei sette comuni dell’Alta Valmarecchia divenuti romagnoli a tutti gli effetti nel 2009.

I “magnifici sette”, come li ha definiti nella sua presentazione la professoressa Rita Maria Astolfi Oliva, sono presenti con magnifiche gigantografie degli scorci più belli del loro territorio e con oggetti che ne caratterizzano la storia, fra cui pezzi di antiquariato, libri antichi, mappe, strumenti di lavoro dei minatori, tessuti del ‘500, preziosi corredi provenienti da importanti casati.

“Siamo molto grate alle amministrazioni comunali di Casteldelci, Maiolo, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria, Novafeltria, Talamello – spiega Anna Maria Annibali, presidente di Rimini Ricama –  La loro collaborazione è stata fondamentale per l’organizzazione di questo evento. Così come importante è l’aiuto della Prefettura, della Provincia, del Comune di Rimini, degli sponsor e dei tanti altri amici coinvolti. Noi ricamatrici siamo abituate ad intrecciare fili e colori diversi per creare quadri armoniosi e direi che anche questa sinergia fra le diverse realtà del territorio è un esempio di un ricamo ben riuscito.”

Nutrito l’elenco delle esperte di ricami e merletti che espongono i loro migliori manufatti: si va dalle allieve della scuola dell’associazione Rimini Ricama che, coordinate da Irene Razzani, hanno riprodotto in punta di ago alcune opere di Maurits Cornelis Escher, all’esperta di tombolo Rosina Botticelli di San Vito, che ha iniziato a lavorare coi fuselli all’età di sette anni e che propone magnifici gioielli creati con fili d’oro e argento.

Espongono anche la Bottega delle Idee, il gruppo Ago e Filo dell’associazione “Farsi Prossimo”, Albertina Fattori, Gabriella Paesini, Sandra Sancisi, Michela Pasini, Mara Parma, Leda Stentorei, il Filo di Anna.

La mostra resterà aperta tutti i gironi fino al 27 novembre (dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 19.00).

 

Scanzonata filosofia riminese. “Par piasér: ch’la m ne màza un chél!”

INTERNO GIORNO

Viserba di Rimini. Pomeriggio d’autunno nella sala d’aspetto del medico di famiglia. Stanza in ombra, dal soffitto basso. Aria stantia e pesante. Scomode seggiole addossate ai muri. Scaffaletto con vecchie riviste.

Tutti i posti occupati: tre o quattro signore di mezza età, due anziani con la cartella delle lastre in mano, un ragazzo di colore, un rappresentante del farmaco con la borsa di pelle d’ordinanza.

Cristella entra. Continua a leggere

La zuppa del Palacongressi? Insomma… Si può fare di meglio

Nel menu della cena riservata ai 1200 invitati all’inaugurazione del Palacongressi di Rimini, sabato sera, fra i primi era elencata la “Pasta battuta con seppie”.

“Buona, la prendo!”, ha pensato Cristella, immaginando, giustamente, che si trattasse della specialità dei marinai di Cesenatico.

Ma la delusione è stata grande, perché la pietanza non era decisamente all’altezza: del tutto insapore. Inoltre i pezzetti di seppia erano da cercare col lanternino, persi nella pasta che, restando lì a covare, aveva assorbito tutto il brodo.

In più, avendo finito i piatti fondi, gli addetti al buffet l’hanno servita nel piatto piano (addirittura si è sentito qualche ospite dire: “Prendi anche tu questo cous cous…”).

Peccato, perché la ricetta, se fatta bene, è di quelle che “tuonano”.

Non vorrei passare per presuntuosa, ma direi che un ripasso è d’obbligo. Ecco qui di seguito come si fa (o, meglio, come si dovrebbe fare).

Buon appetito! E, a m’arcmand: servitela nel piatto fondo o in una bella ciotola di terracotta.

Monfettini in zuppa di seppia  Continua a leggere

E lui è lì, che le aspetta… Dedicato alle donne: la “filo-stiro-sofia”

Quando una donna dice di voler uscire di casa e andare a lavorare per esprimere se stessa… è rimasta disperatamente indietro con lo stiro.”

La battuta è dell’attore americano Oliver Reed. Perché arrabbiarsi, donne? Meglio rispondere a tono. Quindi, ecco il mio personale trattato di filosofia. Anzi, di… filo-stiro-sofia.

Innanzitutto, vogliamo riconoscere che, oltre che uscire per realizzarsi, la donna non vuole o vorrebbe anche stirare, ma deve farlo?

Vorrei vedere i maschietti: il manager che, appoggiata la ventiquattrore nell’ingresso, apre l’asse da stiro, riempie la caldaia e aspetta gli sbuffi del vapore.

Eh no! Le donne hanno un qualcosa in più.

Fuori di casa debbono sempre combattere, nulla viene dato se non conquistato: uffici, scuole, fabbriche, supermercati…

Poi, finalmente, alle sette di sera tornano e si chiudono la porta di casa alle spalle.

E lui? E’ lì che le attende.

Il principe azzurro? Macché: il mucchio di panni!

Aspetta da qualche giorno, non si può più rimandare. Quasi sempre dopo cena, con la TV o lo stereo accesi, le donne affrontano questo lavoro d’alto concetto, mentre i bambini protestano perché vogliono essere aiutati per i compiti (le mamme dovrebbero avere il dono della bilocazione).

Dare un senso all’arte dello stiro, quindi, studiandola dalla prospettiva filosofica. Continua a leggere