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Sabbie mobili a Viserbella. Tra storia e leggenda

Qualche giorno fa un giovane amico viserbese, Gabriele Bernardi, mi ha inviato una bella fotografia, vecchia di almeno sessant’anni. “Forse ti può interessare, Cristina…”

Il ragazzo mi conosce bene! E probabilmente ha anche letto uno dei primi post di cristella.it, quando scrissi delle sabbie mobili di Viserbella.

Sì, giusto per non farci mancare niente: qui da noi c’è un sito, chiamato “E’ Sourcioun”, dove fino a qualche decennio fa c’erano le vere ed uniche sabbie mobili riminesi.

Un po’ storia, un po’ leggenda.

Di certo, secondo il racconto dei più anziani, il fatto che la sorgente di acqua dolce denominata “E’Sourcion” è riaffiorata in mare e attualmente è “imbrigliata” tramite un tubo che guarda verso il largo. Acqua dolce sprecata, verrebbe da dire…

Comunque, per chi ama le piccole storie del territorio, ecco quella delle sabbie mobili di Viserbella (con l’aggiunta di un pizzico di leggenda, probabilmente).

Sourcioun - Viserbella
La storia sotto le sabbie mobili

(mio articolo pubblicato su Il Resto del Carlino il 23 febbraio 1999)


La storia di Viserba è indissolubilmente legata all’acqua che, fresca e purissima, è sempre sgorgata dalle numerose sorgenti (la più nota è quella chiamata Sacramora). Fino agli anni Sessanta c’era addirittura un posto, sulla spiaggia, dove l’acqua che sgorgava abbondantemente dava vita alle sabbie mobili. “E’ Sourcion”, così si chiamava (molto probabilmente dal francese “sorgente”). Il professor Enea Bernardi, scomparso nel dicembre 1998, aveva dedicato alle sabbie mobili viserbesi alcune pagine del suo libro “Storie su due piedi”. Iniziava ricordando i racconti di “Maròz ad Bilet”, un personaggio affabulatore che ai tempi dell’infanzia lo affascinava (si parla degli anni Trenta).
Ecco cosa narrava Maròz. “A un centinaio di metri dalla battigia, in una bassura fra le dune, gorgogliava un’acqua sorgiva. Il verde palustre nascondeva le sabbie mobili che, ricordava spesso il mio nonno, avevano ingoiato un uomo insieme al carro e ai buoi. In un pomeriggio di novembre, uno di quelli in cui l’aria tersa del garbino fa apparire le colline più vicine al mare, un contadino di Castellabate alla guida di un baroccio agricolo a due ruote trainato dai suoi buoi si dirigeva alla marina. Nessuno ha mai saputo bene il motivo di questo viaggio. I vecchi ricordano che in quel pomeriggio il vento girò all’improvviso: spirò rigido dal mare che sparì nel caligo. Il sole si offuscò, fitti banchi di nebbia scivolarono sulla marina e ovattarono forme e suoni. Quella sera non si vedeva niente e la gente si tappò in casa, rinunciando all’osteria per la paura di smarrirsi. Venne la mattina, ma il contadino non aveva fatto ritorno a casa. Lo cercarono da tutte le parti inutilmente. Di lui, del carro e dei suoi buoi non si ebbe mai più notizia. Certi cacciatori che nella notte erano appostati nei capanni da quelle parti, dissero di aver udito dei suoni strani e di aver visto sul far del giorno le impronte ancora fresche degli zoccoli bovini e dei solchi delle ruote che terminavano alle sabbie mobili. Verso la metà dell’Ottocento sorsero altre case, poco più alte di capanni, nelle adiacenze del mare. Appartenevano ai coloni che avevano imparato a vivere di pesca e costruirono il primo nucleo del paese. La zona delle sabbie mobili – riferivano sempre i vecchi – fu circondata da un parapetto di cemento a forma di cerchio.”
“E’ Sourcion” faceva paura, tanto che le mamme proibivano ai bambini di allontanarsi fino a quel luogo pericoloso. Molti, comunque, in scorribande avventurose provavano a esplorarlo, come racconta lo stesso Bernardi. “Legati tutti insieme a una lunga corda sottratta ai marinai, mandavamo uno di noi, tirato a sorte, verso il centro delle sabbie mobili. Nonostante i reiterati tentativi spericolati, nessuno di noi ragazzi riuscì mai ad arrivare al centro: man mano che si avanzava, si sentiva una forza invincibile che succhiava verso il basso, i piedi annaspavano fasciati dalla sabbia inconsistente. La sensazione era di precipitare in un vuoto senza fine, come negli incubi dei sogni. La guerra distrusse anche a Viserba case e memorie. I soldati si accamparono intorno a ‘E’ Sourcion’, scaricandogli addosso rifiuti e macerie. Iniziò così la sua agonia. Negli anni del dopoguerra lo vidi boccheggiare perché non riusciva più a respirare e a succhiare. Erano rimaste le polle centrali, quelle che noi ragazzi non avevamo mai osato profanare. Il colpo di grazia definitivo gli fu dato quando fu riempito con colate di cemento e il grande anello fu abbattuto, per lasciare il posto a una spiaggia piatta e sbiadita. Dopo un po’ ‘E’ Sourcion’ s’è preso una piccola rivincita: è rispuntato a un centinaio di metri, verso il mare, sotto forma di una piscina d’acqua fresca e chiara che si allargava sulla spiaggia.”

Stanno lavorando per noi

Se qualcuno dei tanti turisti che durante l’estate frequentano il litorale romagnolo pensavano che in inverno qua si dorma sugli allori, dovrebbe venire a fare un giro dalle parti di Viserba in questo periodo.

Nella fascia litoranea compresa fra i bagni 33 e 38, immediatamente a sud del porticciolo turistico, da qualche giorno alcune ruspe stanno lavorando senza sosta per… rivoltare e “lavare” la sabbia.

le ruspe che

Sembra strano?

Non è certo la prima volta e non si fa solo qui. A livello sperimentale un intervento simile venne effettuato un paio d’anni fa in un altro punto della riviera riminese. Con successo, a quanto pare.

Quindi a Viserba fino a tutto marzo una fetta di battigia (fuori e dentro l’acqua) verrà grattata, rivoltata e ossigenata. Si otterrà così un’accelerazione dell’ossidazione dei materiali organici depositati, cioè una ripulitura che restituirà ai bagnini (e ai turisti-bagnanti) uno spesso strato di sabbia “ringiovanita”.

L’augurio dei numerosi cittadini presenti all’assemblea pubblica di ieri sera con l’assessore all’Ambiente del Comune, Andrea Zanzini, è che interventi come questo non restino isolati, ma che si possano ripetere anche in altre zone del nostro litorale.

Speriamo…

Castagnole di Cristella

Nel periodo di Carnevale in Romagna si preparano principalmente due tipi di dolci: le chiacchiere (dette anche sfrappe o fiocchetti) e le castagnole.

Di queste ultime ne esistono diverse versioni. Le più semplici non sono altro che palline (gnocchetti) di pasta frolla fritti. C’è chi le serve così, semplici, decorate al massimo con una spruzzatina di zucchero a velo. Altri le bagnano nell’Alkermes, per colorarle di rosso, e le passano nello zucchero semolato.

La versione più raffinata le vuole riempite, come fossero dei bigné, con crema pasticcera o nutella.

Sono comunque un inno alla golosità.

Personalmente preparo molto raramente qualcosa di fritto. Ma in questo periodo è lecito fare un’eccezione. Ecco dunque la ricetta delle “Castagnole di Cristella“, fotografate mezzora fa e già fatte sparire dal parentado.

Mi perdonino i lettori, approfitto delle castagnole carnevalesche per lanciare un messaggio personale: “Figlie care, che siete lontane, consolatevi con la fotografia e con la ricetta. Se seguirete le indicazioni di mammà, potrete farcela pure voi… a sentire profumo di casa.”

CastagnoleCastagnole di Cristella

(alla maniera di Romagna)

Ingredienti:

Farina 400 grammi, zucchero 100 grammi, 3 uova (1 intero e due tuorli), 1 bustina di lievito per dolci, un pizzico di sale, burro fuso 125 grammi, due cucchiai di liquore di anice, zucchero a velo. Olio per friggere.
Si prepara un impasto con tutti gli ingredienti (escluso lo zucchero a velo). Deve risultare morbido: prima lo si mescola in una terrina con una forchetta, poi sulla spianatoia lavorandolo bene con le mani.
Lo si lascia riposare una mezzoretta. Quindi si preparano dei rotolini che si tagliano poi a pezzetti (come per fare gli gnocchi).

Questi vanno versati un po’ alla volta in una padella con abbondante olio caldo, rigirando spesso.

Quando galleggiano e diventano di un bel colore dorato si raccolgono con la schiumarola e si fanno asciugare su carta assorbente.

Poste le castagnole nel piatto di portata, si spolverano con zucchero a velo.

Buon appetito!

Il suo sorriso

“I funerali si svolgeranno in forma civile al civico cimitero. Non fiori, ma offerte all’Istituto Oncologico Romagnolo”.

Oggi pomeriggio eravamo in centinaia a dare l’ultimo saluto a una cara amica.

P. ha sempre vissuto col sorriso sulle labbra. Anche negli anni della malattia. Serena e coraggiosa. Un faro sicuro per il marito, un esempio per i figli e per tutti coloro (tanti) che hanno avuto la fortuna di conoscerla.

P. ha scelto, coerentemente col suo laicismo, di non avere un funerale religioso.

Quando muore un personaggio famoso che fa la medesima scelta, spesso la cerimonia funebre si tiene in un luogo “ufficiale”, come una piazza, un teatro, una sala consiliare o qualcosa del genere. Per fortuna oggi c’era un tiepido sole a scaldare l’aria. Mi chiedo cosa sarebbe successo in caso di maltempo. Il piazzale all’ingresso del cimitero di Rimini era stracolmo di persone. Tutti in piedi, compresi gli anziani parenti di P. Qualcuno ha preso la parola per un breve e sentito ricordo. Ma così, senza amplificazione, tanto che non tutti i presenti hanno potuto ascoltare, tra l’altro, il bel saluto che P. stessa aveva preparato, consapevole del suo destino.

Mi chiedo: in una città come la nostra non dovremmo costruire un luogo che possa accogliere una dignitosa cerimonia funebre per chi, come sua libera scelta, non desidera entrare in una chiesa?

Senza fronzoli e orpelli: basterebbe uno spazio al coperto, caldo d’inverno e fresco d’estate; qualche sedia; posto dove poter appoggiare un mazzo di fiori accanto alla bara; la possibilità di fare un discorso per l’ultimo saluto, magari con l’accompagnamento di un violino.

“Sala del commiato”, si potrebbe chiamarla.

Non so se esista già qualche progetto in tal senso. In caso positivo, mi auguro che venga realizzato in fretta.

I sogni di Fellini finiscono in prigione

Inaugurazione con ressa, oggi pomeriggio, della mostra sul Libro dei sogni di Fellini “Fellini Oniricon”).

Meglio così, dirà qualcuno, segno di affetto per il Maestro da parte della città di Rimini.

Secondo me la cosa si poteva organizzare meglio: c’era così tanta gente che non si è riusciti neppure ad ascoltare le parole di saluto delle autorità e dei curatori, Kezich e Boarini. Tutti in piedi, fatti entrare in massa dopo un discreto tempo d’attesa all’aperto nell’umidità della nebbiolina serale, il sindaco ha iniziato a parlare quando molti invitati erano ancora all’ingresso.

Peccato.

Oltre ai ringraziamenti di rito, uguali in ogni circostanza, poteva starci una breve spiegazione, con il pubblico comodamente seduto. Se non altro poteva essere utile per tutti coloro che non avevano seguito il convegno di novembre e per i quali questi in mostra sono “solo” dei disegni di Fellini. Una mia amica, docente universitaria, guardando gli originali dei libri dei sogni custoditi in una bacheca, mi chiedeva se fossero le idee per i film.

“Sì e no – ho risposto – sono i disegni che Fellini tracciava ogni mattina, al risveglio, come compito quotidiano affidatogli dal suo psicanalista. Ci sono sì anche i film, spesso in forma di incubo per la paura che non piacessero. Ma ci sono decenni di vita, di speranze, di lavoro, di amori, di sogni realizzati e da realizzare…”

Comunque, come è accaduto altre volte, la mostra sarà da visitare, con calma e tranquillità, da domani in poi. Rimarrà aperta fino al 16 marzo.

La location è Castel Sismondo, la rocca cinquecentesca che fino agli anni Settanta era sede delle carceri cittadine e che Fellini ha immortalato, fra l’altro, nella scena iniziale del film “I clowns”, quella dove il bambino si affaccia alla finestra, di notte, e scopre che nella piazza delle prigioni si sta montando un tendone da circo.

“La Rocca, la prigione di Francesca, era, allora, piena di ladruncoli di sacchi di cemento e di ubriachi. Quel tozzo e tetro edificio m’è sempre rimasto in testa come una presenza nera, nel ricordo della mia città.”

Così scriveva Fellini in “La mia Rimini”.

Ora quell’edificio “nero e tetro” resterà colorato, per un po’ di tempo, proprio grazie ai disegni dei suoi sogni.

Chi l’avrebbe mai immaginato?

Lui, di sicuro, no.