Entro nella sala della risonanza magnetica cercando di non guardare lo scafandro dove fra qualche minuto verrò infilata. Per fortuna qui c’è l’aria condizionata: in questo torrido pomeriggio di luglio il tragitto in auto, dall’ufficio all’ospedale, ha rischiato di vanificare le giornate di “training autogeno” a cui mi sono costretta per stemperare la paura claustrofobica che comunque mi prende ogni volta.
pom popom, pom popom, pom popom
Calzari e camice verde come quelli usati per gli interventi, ho dovuto togliere tutti gli oggetti in metallo (forcine, anelli, occhiali, gli orecchini inseparabili – e portafortuna – da quando, 14 mesi fa, la mamma me li regalò, qualche ora prima di lasciarmi per sempre).
pom popom, pom popom, pom popom
L’infermiere mi aiuta a stendermi sul lettino.
“Arriviamo subito, signora. L’ha già fatta, vero?”
“Sì, sì. So come funziona…”
E se ne va.
pom popom, pom popom, pom popom
Passano cinque minuti.
Penso che quando sarò dentro al tubo mi sforzerò, come le altre volte, di tenere sempre gli occhi chiusi e di pensare a qualcosa di bello.
pom popom, pom popom, pom popom
Passa un quarto d’ora.
Non si vede nessuno.
Penso che dopo, lì dentro, potrei cantarmi una canzone di Battisti oppure (l’effetto ipnotizzante delle nenie!) provare a sgranare mentalmente qualche avemaria e paternoster, che non guastano mai.
pom popom, pom popom, pom popom
Dopo una ventina di minuti i piedi iniziano a ballare al ritmo di quel pom popom, pom popom, pom popom che giunge da dietro.
Finalmente arriva il tipo.
“Allunghi il braccio e faccia il pugno”.
Mi stringe il laccio. Lo so: deve bucarmi per iniettare il liquido di contrasto.
pom popom, pom popom, pom popom
“Ma le siringhe dove sono?”, dice al collega, un giovane silenzioso che osserva senza parlare.
“Ah, mica le ho viste. Sono arrivato adesso, io.”
“Ma dovrebbero essere qui. Insomma, non c‘è neppure una siringa?”
Il laccio stringe. Ehi, vi ricordate che sul lettino avete una signora spaventata?
“Scusi signora, la slego. C’è un piccolo contrattempo. Torno subito.”
E chi si muove? Mica andrò al Grand Hotel, con quest’abito da sera che mi avete messo!
pom popom, pom popom, pom popom
Passano altri cinque minuti.
Entrano, escono, cercano sui tavolini. Tirano accidenti a quelli del turno precedente.
pom popom, pom popom, pom popom
Un altro quarto d’ora…
pom popom, pom popom, pom popom
Arriva un’infermiera.
Senza tanti complimenti mi riprende il braccio e ristringe il laccio.
L’altro la avvisa.
“Guarda che non ci sono le siringhe.”
“Ah no? Perché? E allora come si fa?”
L’altro spiega.
“Intanto buca con l’ago tale. Poi, guarda qui e stai attenta: nel flacone A c’è la soluzione fisiologica e nel flacone B c’è il liquido di contrasto.”
“E quello cos’è?”, chiede la tipa mentre con gesto piuttosto indelicato mi spinge il braccio in giù per appiccicare un cerotto sopra all’ago che ha appena infilato.
Immagino che “quello” sia un altro flacone sul tavolino – ma guarda! – è proprio accanto alle siringhe che non si trovavano.
“Si usa in caso di reazione allergica”, risponde l’altro senza indugio.
Azz…
Manca solo che si mettano a discutere di cosa si fa in caso di convulsioni o infarto….
Ma si sono resi conto che io capisco l’italiano e che sono qui nelle loro mani, letteralmente, e che un sorriso o uno sguardo tranquillizzante mi farebbe solo bene?
Ah, ecco perché ci chiamano “pazienti”!
pom popom, pom popom, pom popom
“Signora, ormai ci siamo”, dice il medico che ritorna per vedere se le siringhe sono arrivate.
Mi faccio coraggio e gli chiedo: “Sia sincero, mi posso fidare?”
Mi guarda male! Vuoi vedere che s’è offeso?
“Cosa vorrebbe dire?”
Mi salva l’infermiere (il professionista, non la ragazza, evidentemente una studentessa – questo è il periodo dei tirocini universitari, no? Pensavano che non lo sapessi? Magari potevano anche avvisarmi…).
“La signora ha ragione, dottore, l’abbiamo fatta aspettare troppo…”
Un po’ rinfrancata da questa condivisione, accetto la cuffia sulle orecchie. Mi stringono la testa. Nella mano destra mi danno la peretta di gomma che servirà per avvisarli in caso di allarme. Chiudo gli occhi.
Sento il lettino scorrere all’interno del tubo. Non aprirò gli occhi, ce la farò!
L’aria è fresca. Ho quasi freddo.
Ora inizia la vera musica della risonanza. Il ritmo cambia.
pom popom – tatatà, tatatà, tatatà – pom popom
Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati…
pom popom – tatatà, tatatà, tatatà – pom popom
avemaria piena di grazia
pom popom – doing dong doing doing – pom popom
al ventuno del mese i nostri soldi erano già finiti…
pom popom – sdeng sdeng sdeng deng – pom popom
il Signore è con te…
Mi sembra passata un’eternità… Va a finire che non resisto e fra un po’ apro gli occhi. Devo farcela!
pom popom – tatatà, tatatà, tatatà – pom popom
Che anno è, che giorno è….
Sento il momento preciso in cui il liquido di contrasto entra in circolo…
Ripensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti
Braccio sinistro, schiena, braccio destro, collo, testa.
Calore che fluisce dentro, per strade interne che posso solo immaginare…
pom popom – tatatà, tatatà, tatatà – pom popom
Le mie mani, come vedi, non tremano più….
Penso a quell’articolo letto un annetto fa:
“Muore per una risonanza magnetica. Hanno sbagliato flacone.”
Ma ho nell’anima, in fondo all’anima, cieli immensi e immenso amore…
pom popom – pom popom – pom popom … pom … pom …
Sospiro profondo.
Prega per noi peccatori..
pom pom … strisc… strisc… strisc…
Il lettino si muove. Mi porta fuori dal tubo…
Il pom popom non è più tutt’attorno, ma lo sento dietro…
Ho resistito: non ho mai aperto gli occhi.
Sono stata brava, vero, mà?
Il più bello era nero, con i fiori non ancora appassiti…
Apro gli occhi.
Attorno a me dottore e infermiere.
“Passata l’agitazione, signora? Ci scusi per l’inconveniente.”
Anbè! Non ero mica agitata, io.
Ma…va pure… fancù!
“L’importante è che sia finito.”
“Sì , tutto finito.”
Amen.
“L’esito lo mandiamo alla sua dottoressa.”
Av salut!
Esco, passando davanti ai tre giovanotti (l’infermiere, il dottore, il tirocinante maschio) col mio “abito da sera” e le “scarpe a spillo”.
Chissà come sono carina, coi calzari di plastica e il camice che scopre schiena e chiappe cellulitiche.
Nello spogliatoio rimetto per primi gli orecchini della mamma.
Mi rivesto. Tiro su i capelli con le forcine. Inforco gli occhiali.
Nello specchio, finalmente mi sorride la Cristella di sempre.
Incamminandomi verso il caldo torrido del pomeriggio riminese passo dalla sala d’aspetto e guardo con aria di sufficienza una signora seduta che attende di essere chiamata.
E’ visibilmente in preda all’agitazione.
Poverina, non sa che musica l’attende…
Per consolarci, intanto potremmo ascoltare I giardini di marzo direttamente da Lucio. Bella canzone, vero?