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La mia Rimini: quanto c’è ancora da imparare!

Confesso di essermi commossa, ieri mattina, al termine della proiezione del documentario di Adolfo Conti sulla Domus del Chirurgo di piazza Ferrari. Anche per il solo fatto che la Sala del Giudizio, al Museo della Città, era stracolma. Le sedie non sono bastate, tanti erano in piedi. Gente di ogni età. Gente curiosa di arte e di storia, come me, che ha scelto di essere lì, in una domenica mattina assolata che avrebbe piuttosto invitato ad una scampagnata fuori porta o all’ozio in spiaggia…  

“Fare cultura – è stato detto in apertura – vuol dire promuovere la conoscenza del significato delle cose.”

Tutto qui. Semplice, vero? (Mi viene da pensare che bisogna fare una bella ammissione di ignoranza, per poter dire di essere assetati di cultura…).

Quindi, partendo dalla serena constatazione della mia ignoranza su tanti argomenti, sottolineo che anche il film-documentario ha saputo emozionarmi. Con un ritmo sostenuto, fra fiction e documentario puro, il regista ha saputo ricostruire realisticamente la vicenda del medico-filosofo di cui, in seguito ai lavori per la sistemazione dei giardini di piazza Ferrari, nel 1989 è stata casualmente scoperta la dimora risalente al 3° secolo d.C.

“Arte breve”, questo il titolo del film. Ad indicare che “fra la vita e la morte, fra le due onde dell’essere, c’è un insignificante granello di sabbia: il medico.”

Mi auguro che il film di Conti venga presto diffuso su qualche importante rete televisiva.

Oggi, nelle pagine della cronaca di Rimini del Resto del Carlino, è pubblicato un mio articolo sull’argomento (da domani si potrà leggere anche nel sito www.cristella.it, nella sezione Articoli).

Bentornato, webmaster!

Ah, che comodità avere un webmaster efficiente e disponibile…

Non so, alla fine, quanto questo mi costerà a livello economico. Penso proprio che la paghetta mensile per Dora dovrà venire adeguata ai risultati di operatività che la ragazza sta dimostrando!

Fra ieri ed oggi Dora ha aggiornato il sito.

Segnalo, per chi avesse voglia di leggere, il testo Mamma Pierina, in parte preannunciato nel blog col post E’ già passato un mese, caricato sotto il titolo Piccole grandi donne di Romagna in Romagna e dintorni.

In Libri, nella sezione riservata a Trama e ordito, è stata aggiunta una fotografia della mia seconda figlia, Cinzia, e alcune delle più belle recensioni al libro pubblicate sulla stampa locale.

Buona lettura…

Le sabbie mobili di Viserbella

La storia che segue riguarda un luogo non distante da casa mia: la spiaggia di Viserbella, precisamente qualche centinaio di metri a nord del porticciolo. Per me, viserbese dal 1983, nonostante le insegne non esistono confini precisi fra Rivabella, Viserba, Viserbella (solo recentemente ho imparato l’esatto susseguirsi delle tre località…). Ed è per questo che il 23 febbraio 1999, quando ho scritto dell’argomento su Il Resto del Carlino, ho localizzato il sito, sbagliando, sulla spiaggia di Viserba. Non me ne vogliano i viserbellesi… Insomma, le vere ed uniche sabbie mobili riminesi sono lì da loro. Un po’ storia, un po’ leggenda. Comunque, proprio l’altra sera, mentre passeggiavo sul lungomare, un anziano concittadino mi ha confermato che la sorgente di acqua dolce denominata “E’Sourcion” è riaffiorata in mare, come scritto nell’articolo, ed attualmente è “imbrigliata” tramite un tubo che guarda verso il largo.
Invito i curiosi a guardare le belle foto d’epoca della collezione di Sergio Fava (viserbellese) pubblicate sul sito del Comitato Turistico di Viserba. Nel sito del Comitato Turistico di Viserbella le due foto a destra ritraggono proprio l’area del Sourcion quando era riparata dal parapetto.
Buona lettura

Fino agli anni Sessanta sulla spiaggia di Viserba c’era un posto da dove l’acqua sgorgava abbondante dal sottosuolo.
La storia sotto le sabbie mobili
La storia di Viserba è indissolubilmente legata all’acqua che, fresca e purissima, è sempre sgorgata dalle numerose sorgenti (la più nota è quella chiamata Sacramora). Fino agli anni Sessanta c’era addirittura un posto, sulla spiaggia, dove l’acqua che sgorgava abbondantemente dava vita alle sabbie mobili. “E’ Sourcion”, così si chiamava (molto probabilmente dal francese “sorgente”). Il professor Enea Bernardi, scomparso nel dicembre 1998, aveva dedicato alle sabbie mobili viserbesi alcune pagine del suo libro “Storie su due piedi”. Iniziava ricordando i racconti di “Maròz ad Bilet”, un personaggio affabulatore che ai tempi dell’infanzia lo affascinava  (si parla degli anni Trenta).
Ecco cosa narrava Maròz. “A un centinaio di metri dalla battigia, in una bassura fra le dune, gorgogliava un’acqua sorgiva. Il verde palustre nascondeva le sabbie mobili che, ricordava spesso il mio nonno, avevano ingoiato un uomo insieme al carro e ai buoi. In un pomeriggio di novembre, uno di quelli in cui l’aria tersa del garbino fa apparire le colline più vicine al mare, un contadino di Castellabate alla guida di un baroccio agricolo a due ruote trainato dai suoi buoi si dirigeva alla marina. Nessuno ha mai saputo bene il motivo di questo viaggio. I vecchi ricordano che in quel pomeriggio il vento girò all’improvviso: spirò rigido dal mare che sparì nel caligo. Il sole si offuscò, fitti banchi di nebbia scivolarono sulla marina e ovattarono forme e suoni. Quella sera non si vedeva niente e la gente si tappò in casa, rinunciando all’osteria per la paura di smarrirsi. Venne la mattina, ma il contadino non aveva fatto ritorno a casa. Lo cercarono da tutte le parti inutilmente. Di lui, del carro e dei suoi buoi non si ebbe mai più notizia. Certi cacciatori che nella notte erano appostati nei capanni da quelle parti, dissero di aver udito dei suoni strani e di aver visto sul far del giorno le impronte ancora fresche degli zoccoli bovini e dei solchi delle ruote che terminavano alle sabbie mobili. Verso la metà dell’Ottocento sorsero altre case, poco più alte di capanni, nelle adiacenze del mare. Appartenevano ai coloni che avevano imparato a vivere di pesca e costruirono il primo nucleo del paese. La zona delle sabbie mobili – riferivano sempre i vecchi – fu circondata da un parapetto di cemento a forma di cerchio.”
“E’ Sourcion” faceva paura, tanto che le mamme proibivano ai bambini di allontanarsi fino a quel luogo pericoloso. Molti, comunque, in scorribande avventurose provavano a esplorarlo, come racconta lo stesso Bernardi. “Legati tutti insieme a una lunga corda sottratta ai marinai, mandavamo uno di noi, tirato a sorte, verso il centro delle sabbie mobili. Nonostante i reiterati tentativi spericolati, nessuno di noi ragazzi riuscì mai ad arrivare al centro: man mano che si avanzava, si sentiva una forza invincibile che succhiava verso il basso, i piedi annaspavano fasciati dalla sabbia inconsistente. La sensazione era di precipitare in un vuoto senza fine, come negli incubi dei sogni. La guerra distrusse anche a Viserba case e memorie. I soldati si accamparono intorno a ‘E’ Sourcion’, scaricandogli addosso rifiuti e macerie. Iniziò così la sua agonia. Negli anni del dopoguerra lo vidi boccheggiare perché non riusciva più a respirare e a succhiare. Erano rimaste le polle centrali, quelle che noi ragazzi non avevamo mai osato profanare. Il colpo di grazia definitivo gli fu dato quando fu riempito con colate di cemento e il grande anello fu abbattuto, per lasciare il  posto a una spiaggia piatta e sbiadita. Dopo un po’ ‘E’ Sourcion’ s’è preso una piccola rivincita: è rispuntato a un centinaio di metri, verso il mare, sotto forma di una piscina d’acqua fresca e chiara che si allargava sulla spiaggia.”

Venanzio Raggi, il suo testamento di vita

12 giugno 2007, parrocchia Gesù Nostra Riconciliazione, a Rimini.
Ricordando Venanzio Raggi ad un mese dalla scomparsa.
Il figlio, la moglie, la sorella, unitamente all’amico don Domenico Valgimigli, dopo la Messa celebrata nel suo ricordo hanno fatto dono ai presenti del “testamento di vita” preparato da Venanzio stesso negli ultimi giorni, consapevole di quanto gli stava accadendo.
Mentre gli altoparlanti diffondevano la canzone di Frank Sinatra, sullo schermo scorreva il testo in italiano (“…a modo mio”).
Inutile dire della commozione nell’accorgersi che sì, quelle parole sono la rappresentazione esatta di come Venanzio ha affrontato la vita: a modo suo.
Venanzio Raggi, Silvano Cardellini, Marco Magalotti… Sono ormai numerosi i colleghi giornalisti e fotografi riminesi che ci hanno lasciato in questi ultimi anni. Perché non ricordarli degnamente organizzando un concorso giornalistico per giovani promettenti nelle varie specializzazioni, magari mettendo a disposizione una sorta di borsa di studio? Chissà che qualche degno erede di questi bravi professionisti non sia nascosto in qualche scuola, giornalistica o non,  e aspetti solo di essere scovato?
Io, intanto, lancio l’idea… Vediamo se arriva qualche commento?
My way – a modo mio
E ora la fine è vicina
E quindi affronto l’ultimo sipario
Amico mio, lo dirò chiaramente
Ti dico qual è la mia situazione, della quale sono certo
Ho vissuto una vita piena
Ho viaggiato su tutte le strade
Ma più. Molto più di questo
L’ho fatto a modo mio
Rimpianti, ne ho avuti qualcuno
Ma ancora, troppo pochi per citarli
Ho fatto quello che dovevo fare
Ho visto tutto senza risparmiarmi nulla
Ho programmato ogni percorso
Ogni passo attento lungo la strada
Ma più, molto più di questo
L’ho fatto a modo mio
Sì, ci sono state volte, sono sicuro lo hai saputo
Ho ingoiato più di quello che potessi masticare
Ma attraverso tutto questo, quando c’era un dubbio
Ho mangiato e poi sputato
Ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi
L’ho fatto a modo mio
Ho amato, ho riso e pianto
Ho avuto le mie soddisfazioni, la mia dose di sconfitte
E allora, mentre le lacrime si fermano,
Trovo tutto molto divertente
A pensare che ho fatto tutto questo;
E se posso dirlo – non sotto tono
“No, oh non io
L’ho fatto alla mia maniera”
Cos’è un uomo, che cos’ha?
Se non se stesso, allora non ha niente
Per dire le cose che davvero sente
E non le parole di uno che si inginocchia
La storia mostra che le ho prese
E l’ho fatto
… a modo mio

E’ passato un mese

Domenica 13 maggio 2007, giornata dedicata a tutte le mamme, alle prime luci dell’alba il grande cuore di mamma Pierina s’è fermato, dopo 84 anni di gioie e di spine dolorose.

Una famiglia di cui andava fiera, coi quattro figli sempre insieme a lei, anche nelle ultime ore.

Ma una vita fatta anche di sofferenze.

Quella che di più l’aveva segnata ha una data ben precisa e un luogo ben preciso: 25 settembre 1944, nelle campagne fra Gambettola e Cesena.
Il passaggio del fronte, in Romagna come altrove, è stato per decenni l’argomento onnipresente nei racconti dei nonni e dei genitori. Testimoni oculari che, un po’ alla volta, stanno venendo a mancare.
Con la loro scomparsa si rischia di relegare il ricordo di quell’immane tragedia sotto un velo di polvere, come se si trattasse di favole di vecchietti noiosi.
In “Trama e ordito, mamme che tessono la vita”, il libro da me pubblicato nel 1999, diverse pagine sono riservate a questi ricordi.

Tali pagine dedicate a Mamma Pierina si potranno leggere in www.cristella.it (sezione Romagna e dintorni) appena il webmaster – rinsavito dopo la lunga vacanza nel paese dei tulipani – tornerà a lavorare…

Questo post serve solo a ricordare che… è passato solo un mese… sono passati già sessantatre anni… ma il cuore è gonfio della stessa emozione