
“La tratta – scrivono Gianni Quondamatteo e Giuseppe Bellosi nel libro ‘Romagna Civiltà’ (Grafiche Galeati, 1977) – era un’antica forma di pesca che si esercitava nei bassi fondali sabbiosi, lungo le spiagge adriatiche, in primavera, autunno e in parte anche d’estate. Le ore migliori erano quelle dell’alba e della prima mattinata. Il pesce, spesso molto abbondante, variava da stagione a stagione. In primavera si catturavano seppie, cefali, corvine, canaròl (triglie femmine rigonfie d’uova), branzini, ed infine cianchetti, paganelli, pignoletti, gamberi, pesci-ragni, qualche anguilla, rombi e soasi. I mesi estivi vedevano la scomparsa delle seppie, mentre aumentava il pesce turchino, in particolare modo i sardoni. Erano molto apprezzati, e richiesti in pescheria, “i sardun d’la trata”. Le aguglie apparivano in grandi quantità nei mesi autunnali. Per quanto concerne Rimini, i luoghi più pescosi erano nel tratto tra il molo di levante e la zona prospiciente Piazza Tripoli, e in particolare modo “sòta la Palèda”, “t’la bàca dl’Eusa” e “in faza la Cisa nova”. Le ultime tratte più note: quelle di Berto ad Ragnoun (un Conti di Rivabella), Guerino de Dievul (Guerrino Bianchi) della Barafonda, E’ Nir di Viserbella, Bagaròz (Ricci), Albinéin e Gesaroli.”
Per rievocare suoni, luci e colori della tratta, vale la pena andare a rileggersi la poesia del poeta viserbese Elio Pagliarani: “A tratta si tirano“, dal poemetto “La ballata di Rudi”.
Intanto, Cristella, spettatrice in duplice versione (per il Resto del Carlino e per l’associazione L’Ippocampo Viserba) oggi pranzerà con cefali arrosto del mare davanti a casa sua: decisamente freschi, meno che “a chilometro zero”, gentilmente offerti da Bertino Astolfi, Roberto Biagini, Rolando e gli altri pescatori che hanno organizzato l’evento.
è giusto tener vive queste usanze in tempi di pesca “globale”!