Archivi annuali: 2008

Si alza la nebbia e qualcosa è cambiato…

U j è na nèbia ch’l’as taja s’e’ curtèl (c’è una nebbia che si taglia col coltello).

Quante volte ho sentito questa frase, in casa mia o in giro per la Romagna! La nebbia di questi ultimi giorni, però, era da un pezzo che non la vedevamo. Quasi quasi ce n’eravamo dimenticati.

Ricordate la scena di Amarcord, col nonno di Titta che si perde nella nebbia e non s’accorge di trovarsi invece proprio di fronte a casa?

Ecco, in questi giorni Rimini è così come l’ha fotografata Fellini in quel quadro ovattato: colori sfumati, movimenti lenti, suoni lontani.

Da casa mia, specialmente verso sera e di notte, con la nebbia si sente il segnale del faro. Un fischio quasi familiare, che arriva di tanto in tanto. Questo che sento oggi proviene dal porto di Rimini. Del tutto simile a quello che sentivo nelle mie notti di ragazza, a Gatteo a Mare, proveniente però dal molo di Cesenatico. Sono passati venticinque anni, ho cambiato provincia di residenza, ma sempre “marinara” rimango.

Sabato mattina la coltre nebbiosa ha contribuito a coprire, ma solo per un paio d’ore, il disastro che stava avvenendo di fronte alla mia finestra e che sta cambiando la fisionomia di Viserba.

Non si vedeva nulla, ma si sentiva il rumore delle ruspe che sradicavano gli alberi e i rovi della vasta area incolta situata a monte della via Sacramora (la cosiddetta “falesia”), di fronte al polo scolastico.

A dire il vero la sorta di giungla che si era creata in decenni di abbandono non era il massimo: fino ad una ventina d’anni fa si riusciva ad inoltrarsi nei piccoli sentieri, fra i rovi, per raggiungere un gruppo di ciliegi, ormai inselvatichiti, che comunque regalavano i loro frutti a chiunque avesse il coraggio di arrampicarsi. Dalle fotografie prese dal satellite si riconoscono anche le stradine tracciate dai giovani che venivano a divertirsi con le loro moto da cross. E qui ricordo perfettamente l’epoca – quindici/venti anni fa – perché questi matti arrivavano a sgassare al massimo dei decibel proprio nella curva sotto alla mia camera da letto. Puntuali come orologi, svizzeri: all’ora del sonnellino delle mie bimbe e della sottoscritta.

Quindi ho pochi rimpianti sia per la giungla, sia per le moto. E poi, a dir la verità, sono sempre stata terrorizzata dall’idea delle bisce e dei topi che immaginavo nascondersi fra le erbacce e i rovi che vedevo di là dal mio cortile.

Però i rumori secchi e sinistri delle piante spezzate, che mi giungevano dalla nebbia, sabato mattina m’hanno fatto rabbrividire. Una strana sensazione, pensando “fa più rumore un albero che cade, di una foresta che cresce”.

Verso mezzogiorno la nebbia s’è poi alzata, come un sipario. E la prospettiva che mi era familiare da sempre era totalmente cambiata. i campi puliti, letteralmente rasati, fanno ora allargare lo sguardo fino alle case vicine e alla strada, prima nascoste.

Mi dovrò abituare: i lavori per la nuova strada e la grande rotonda sono già in fase avanzata e stanno procedendo velocemente.

Mi sa tanto che fra un po’, col traffico che arriverà, rimpiangerò i ragazzini che venivano a fare motocross sotto alle mie finestre…

Non rimpiangerò di certo la giungla, anche se una domanda mi sorge spontanea: ma con tutto questo sbancamento di terra e la distruzione delle piante, dove si saranno rifugiate le bisce e i topi?

Brrr… io in cantina mica ci torno!

Cercare (e trovare) un lavoro a Rimini e dintorni

Oggi parliamo di lavoro (senza sudare troppo, però!).

Come ho già scritto in più occasioni il primo lavoro di Cristella – quello che produce uno stipendio, per intenderci – è al Centro per l’impiego di Rimini. La scrittura e il giornalismo sono un innamoramento, un hobby: belli e appassionanti finché rimarranno tali.

L’esperienza quasi trentennale a contatto con migliaia e migliaia di persone alla ricerca di un lavoro mi porta ad avere una certa dimestichezza con l’ambiente e le relative dinamiche. Ormai riesco ad anticipare la domanda di chi si presenta al mio sportello, ad esempio, riconoscendo la tipologia della persona al primo sguardo o alle prime parole. Magari dall’accento o dal tipo di approccio.

Soprattutto in questo periodo dell’anno si ripete una scena già vista tante volte: tantissimi “cercatori”  (non solo giovani) che ho battezzato “i disoccupati con lo zainetto“. Giungono a Rimini, armi e bagagli al seguito, attirati dalla possibilità di trovare occupazione con facilità negli alberghi e nelle altre strutture turistiche. Molti hanno effettivamente delle potenzialità, magari perché con buone referenze e professionalità. Altri vagano proprio allo sbaraglio e rischiano di rimanere delusi.

Questi ultimi si riconoscono da quel troppo generico “cerco qualsiasi lavoro”, sottolineato dal pretenzioso “so far tutto” o dal chiarificatore “mi adatto, basta che ci sia anche l’alloggio gratis”.

Purtroppo non sono più i tempi, neppure in Riviera, di quando i posti disponibili superavano l’offerta. Oggi i disoccupati sono sempre più numerosi e, dall’altra parte, le strutture turistiche sono legate a periodi di attività più frammentati rispetto al passato, quando “la stagione” durava da Pasqua a ottobre.

Ecco allora i miei consigli.

Innanzitutto informarsi: in quasi tutte le città, spesso anche nei paesi più piccoli, esistono degli uffici che possono aiutare chi cerca un lavoro ed è disponibile a spostarsi. Di solito si chiamano “Informagiovani” (ma vengono utilizzati da persone di ogni età) e sono presso i Comuni. Nell’era di Internet innumerevoli offerte, non solo in Italia, sono a portata di clic. Basta trovare un Pc collegato alla rete.
Per quanto riguarda la nostra zona, ad esempio, tutte le offerte di lavoro sono pubblicate nel sito internet del Centro per l’impiego (www.riminimpiego.it), nella sezione Cercoffro, costantemente aggiornata.

Per il lavoro estivo nel settore turistico alberghiero, poi, da anni è attiva una banca-dati regionale, chiamata Autocandidatura, dove si possono visualizzare le offerte dei datori di lavoro di tutta la riviera romagnola: Lidi ferraresi, Lidi ravennati, Cervia-Milano Marittima, Cesenatico, Gatteo a Mare, Savignano Mare, San Mauro Mare, Bellaria-Igea Marina, Rimini, Riccione, Cattolica, Misano Adriatico.

Collegandosi al relativo link si possono selezionare le proposte in base alla qualifica, alla zona e ad altre caratteristiche. Io consiglio di guardarle tutte, le offerte, di non limitarsi a cercare, per esempio, solo i posti con alloggio a Rimini: tenete presente che Bellaria o Cesenatico sono vicinissime e in estate tutta la Riviera è simile a un’unica grande metropoli balneare.

Sempre nel sito dell’Autocandidatura, ciascun lavoratore può segnalare la propria disponibilità immettendo i dati personali e professionali. I Centri per l’impiego provvederanno a trasmettere i nominativi dei disponibili a tutti gli albergatori o imprenditori che ne faranno richiesta.

Vi assicuro che questo sistema funziona. E, particolare da non sottovalutare, è totalmente gratuito. Sia per chi cerca, sia per chi offre.

L’altro canale di ricerca/offerta molto usato a Rimini e dintorni è il giornale di annunci Il Fo. Anche questo consultabile on-line (all’indirizzo www.ilfoannunci.it).

Bene, mi pare di aver scritto un post professionale. Sperando che sia utile a qualche lettore, nello spirito delle linee-guida del mio blog: territorialità, quotidianità, interessi personali.

Sì, perché… “il lavoro è il mio lavoro“.

“Baraca e rénghi” o “viziosa crapula”?

In cerca di un’ispirazione per un nuovo post, viaggiando nella blogosfera, oggi mi sono imbattuta nell’ultimo contributo di Mitì Vigliero, la Placida Signora diventata famosa, diversi anni fa, per il bestseller “Lo stupidario della maturità” . Sotto il titolo “Placidi perché si dice”, Mitì spiega il detto “Non c’è trippa per gatti”. Mi si è accesa subito la lampadina, pensando al modo di dire tutto riminese “baraca e rénghi” (forse per via di quel gatto che dovrebbe essere goloso anche di pesce, oltre che di trippa).

Ricordavo di aver letto qualcosa in un libro del mio amico Tiziano Arlotti. Veloce ricerca nello scaffale romagnolo. Eccolo: Tutta colpa del barbiere, Panozzo Editore2004”.

“Fare baracca” – scrive Tiziano – è un modo di dire tutto riminese che significa: incontrarsi in un luogo fra amici, lasciarsi andare ai piaceri del cibo e del vino, conversare giudicando tutto e tutti con ironia, cantare, suonare, ballare, raccontare barzellette.”

E per rafforzare l’idea, “baraca e rénghi” o “baraca s’al rénghi”. E’ interessante il fatto che queste battute si usino anche fra i giovani che di solito non parlano in dialetto, ma che lo sentono parlare dai genitori e dai nonni.

Spiega Arlotti: “L’aringa, come è noto, è un pesce che si mangiava diffusamente nel periodo invernale (meglio se accompagnata si chevli) e che si addiceva particolarmente alle baraccate: costava poco ed era particolarmente salata e quindi ‘aiutava’ a bere. Anche le acciughe e le anciò erano particolarmente accette nelle osterie, ed i più accaniti le toglievano dal barattolo e se le mangiavano senza neppure pulirle dalla salamoia: le sbattevamo contro una gamba del tavolino o della sedia (i più alticci sul tacco dello zoccolo o dell’anfibio).”

Dal medesimo scaffale romagnolo della mia libreria occhieggia pure il “Dizionario Romagnolo Ragionato” di Gianni Quondamatteo. Che non si smentisce: anche per l’aringa dà una descrizione
che diventa un piccolo trattato folclorico e antropologico.

Rénga: – ittiol. aringa. E’ il pesce più importante dell’alimentazione umana, per le enormi quantità annualmente immesse sul mercato. Il suo habitat sono i mari settentrionali. Lunga 20-30 cm., la rénga è il distintivo della miseria: “cun na rénga, e’ magnèva una faméja”, dicevano i vecchi con una strana forma d’orgoglio. E’ sottinteso che quella famiglia mangiava, in ultima analisi, del gran pane. La rénga è anche il distintivo dei riminesi, in contrapposto alle poveracce (puràzi) dei riccionesi ed alle grosse cipolle (zvulùn) dei santarcangiolesi. Barili di aringhe, e lanci di aringhe, hanno qualche volta punteggiato gli incontri e le sconfitte patite dai riminesi nel campo dello sport.

L’è dura la rénga!” o anche “L’é cativa la rénga!”: così si apostrofa, a mo’ di scherno, chi ha patito una sconfitta o una delusione.

E alla voce baraca scrive: bagordo, festino, allegra riunione conviviale, confusione. Annota il Panzini: ‘il mangiare di molte persone insieme senza sobrietà e per viziosa crapula’. “Fé baraca”: far festa, in compagnia d’amici, e dandoci dentro nel bere e nel mangiare.

“Viziosa crapula”? Boh… Chi glielo spiega, ai miei concittadini, che quando festeggiano a “baraca e rénghi” secondo qualcuno stanno viziosamente crapulando?

Sabbie mobili a Viserbella. Tra storia e leggenda

Qualche giorno fa un giovane amico viserbese, Gabriele Bernardi, mi ha inviato una bella fotografia, vecchia di almeno sessant’anni. “Forse ti può interessare, Cristina…”

Il ragazzo mi conosce bene! E probabilmente ha anche letto uno dei primi post di cristella.it, quando scrissi delle sabbie mobili di Viserbella.

Sì, giusto per non farci mancare niente: qui da noi c’è un sito, chiamato “E’ Sourcioun”, dove fino a qualche decennio fa c’erano le vere ed uniche sabbie mobili riminesi.

Un po’ storia, un po’ leggenda.

Di certo, secondo il racconto dei più anziani, il fatto che la sorgente di acqua dolce denominata “E’Sourcion” è riaffiorata in mare e attualmente è “imbrigliata” tramite un tubo che guarda verso il largo. Acqua dolce sprecata, verrebbe da dire…

Comunque, per chi ama le piccole storie del territorio, ecco quella delle sabbie mobili di Viserbella (con l’aggiunta di un pizzico di leggenda, probabilmente).

Sourcioun - Viserbella
La storia sotto le sabbie mobili

(mio articolo pubblicato su Il Resto del Carlino il 23 febbraio 1999)


La storia di Viserba è indissolubilmente legata all’acqua che, fresca e purissima, è sempre sgorgata dalle numerose sorgenti (la più nota è quella chiamata Sacramora). Fino agli anni Sessanta c’era addirittura un posto, sulla spiaggia, dove l’acqua che sgorgava abbondantemente dava vita alle sabbie mobili. “E’ Sourcion”, così si chiamava (molto probabilmente dal francese “sorgente”). Il professor Enea Bernardi, scomparso nel dicembre 1998, aveva dedicato alle sabbie mobili viserbesi alcune pagine del suo libro “Storie su due piedi”. Iniziava ricordando i racconti di “Maròz ad Bilet”, un personaggio affabulatore che ai tempi dell’infanzia lo affascinava (si parla degli anni Trenta).
Ecco cosa narrava Maròz. “A un centinaio di metri dalla battigia, in una bassura fra le dune, gorgogliava un’acqua sorgiva. Il verde palustre nascondeva le sabbie mobili che, ricordava spesso il mio nonno, avevano ingoiato un uomo insieme al carro e ai buoi. In un pomeriggio di novembre, uno di quelli in cui l’aria tersa del garbino fa apparire le colline più vicine al mare, un contadino di Castellabate alla guida di un baroccio agricolo a due ruote trainato dai suoi buoi si dirigeva alla marina. Nessuno ha mai saputo bene il motivo di questo viaggio. I vecchi ricordano che in quel pomeriggio il vento girò all’improvviso: spirò rigido dal mare che sparì nel caligo. Il sole si offuscò, fitti banchi di nebbia scivolarono sulla marina e ovattarono forme e suoni. Quella sera non si vedeva niente e la gente si tappò in casa, rinunciando all’osteria per la paura di smarrirsi. Venne la mattina, ma il contadino non aveva fatto ritorno a casa. Lo cercarono da tutte le parti inutilmente. Di lui, del carro e dei suoi buoi non si ebbe mai più notizia. Certi cacciatori che nella notte erano appostati nei capanni da quelle parti, dissero di aver udito dei suoni strani e di aver visto sul far del giorno le impronte ancora fresche degli zoccoli bovini e dei solchi delle ruote che terminavano alle sabbie mobili. Verso la metà dell’Ottocento sorsero altre case, poco più alte di capanni, nelle adiacenze del mare. Appartenevano ai coloni che avevano imparato a vivere di pesca e costruirono il primo nucleo del paese. La zona delle sabbie mobili – riferivano sempre i vecchi – fu circondata da un parapetto di cemento a forma di cerchio.”
“E’ Sourcion” faceva paura, tanto che le mamme proibivano ai bambini di allontanarsi fino a quel luogo pericoloso. Molti, comunque, in scorribande avventurose provavano a esplorarlo, come racconta lo stesso Bernardi. “Legati tutti insieme a una lunga corda sottratta ai marinai, mandavamo uno di noi, tirato a sorte, verso il centro delle sabbie mobili. Nonostante i reiterati tentativi spericolati, nessuno di noi ragazzi riuscì mai ad arrivare al centro: man mano che si avanzava, si sentiva una forza invincibile che succhiava verso il basso, i piedi annaspavano fasciati dalla sabbia inconsistente. La sensazione era di precipitare in un vuoto senza fine, come negli incubi dei sogni. La guerra distrusse anche a Viserba case e memorie. I soldati si accamparono intorno a ‘E’ Sourcion’, scaricandogli addosso rifiuti e macerie. Iniziò così la sua agonia. Negli anni del dopoguerra lo vidi boccheggiare perché non riusciva più a respirare e a succhiare. Erano rimaste le polle centrali, quelle che noi ragazzi non avevamo mai osato profanare. Il colpo di grazia definitivo gli fu dato quando fu riempito con colate di cemento e il grande anello fu abbattuto, per lasciare il posto a una spiaggia piatta e sbiadita. Dopo un po’ ‘E’ Sourcion’ s’è preso una piccola rivincita: è rispuntato a un centinaio di metri, verso il mare, sotto forma di una piscina d’acqua fresca e chiara che si allargava sulla spiaggia.”

Stanno lavorando per noi

Se qualcuno dei tanti turisti che durante l’estate frequentano il litorale romagnolo pensavano che in inverno qua si dorma sugli allori, dovrebbe venire a fare un giro dalle parti di Viserba in questo periodo.

Nella fascia litoranea compresa fra i bagni 33 e 38, immediatamente a sud del porticciolo turistico, da qualche giorno alcune ruspe stanno lavorando senza sosta per… rivoltare e “lavare” la sabbia.

le ruspe che

Sembra strano?

Non è certo la prima volta e non si fa solo qui. A livello sperimentale un intervento simile venne effettuato un paio d’anni fa in un altro punto della riviera riminese. Con successo, a quanto pare.

Quindi a Viserba fino a tutto marzo una fetta di battigia (fuori e dentro l’acqua) verrà grattata, rivoltata e ossigenata. Si otterrà così un’accelerazione dell’ossidazione dei materiali organici depositati, cioè una ripulitura che restituirà ai bagnini (e ai turisti-bagnanti) uno spesso strato di sabbia “ringiovanita”.

L’augurio dei numerosi cittadini presenti all’assemblea pubblica di ieri sera con l’assessore all’Ambiente del Comune, Andrea Zanzini, è che interventi come questo non restino isolati, ma che si possano ripetere anche in altre zone del nostro litorale.

Speriamo…