Come una favola: i nonni raccontano ai nipotini la tratta viserbese

Pesca alla tratta a Viserba. 4 settembre 2010

Eccoli: Rolando, Neri, Italo e gli altri. Sorridenti e orgogliosi, coi capelli bianchi che mettono in evidenza l’abbronzatura, i calzoni rimboccati, la cintura col crocco stretta in vita e le lunghe reti da tirare in gruppo nell’ondeggiare ritmico scandito da una voce che li guida.

Sono solo alcuni dei bravi nonni, esponenti storici della marineria viserbese, che mercoledì pomeriggio, dalle 15, regaleranno un sipario sul passato mettendo in scena sulla spiaggia dei bagni 37 e 38 di Viserba la tipica pesca “alla tratta”, metodo in uso fino a una cinquantina di anni fa e poi non più permesso. Spettacolo offerto ai turisti ma, soprattutto, ai propri nipotini.

In collaborazione con l’associazione Pro Loco del Ghetto Turco e grazie alla speciale autorizzazione della Capitaneria di Porto, la rievocazione rientra in un progetto educativo che nei mesi scorsi ha visto protagonisti i bambini della scuola materna di Viserba. Le maestre li hanno guidati alla scoperta delle tradizioni locali attraverso i racconti di nonne e nonni, che hanno partecipato con gioia portando la loro voce e la memoria.

E quindi mercoledì, sulla spiaggia, i nonni pescatori mostreranno dal vivo quanto raccontato a scuola. Poi, invitando anche gli adulti, offriranno una merenda davvero speciale, cucinando il pescato col vecchio metodo degli spiedi ritti sulla sabbia.

E, per ricordare com’era la tratta viserbese, ecco un racconto di Elio Biagini (da “Così si viveva a Viserba e dintorni”, 2001).

“Ricordo la tipica figura di Nandi, che ha passato tutta la vita facendo il marinaio e passeggiando tutti i giorni dalla Fossa dei Mulini o verso Viserbella oppure verso Rivabella. Conosceva il mare più che la sua casa e sapeva dire con precisione le previsioni del tempo. La sera si partiva con la batana per andare ‘a tratta’: una tipica pesca che si faceva calando in mare prima tre o quattro “reste” di corda circa duecento metri, poi a semicerchio si calavano altri duecento metri di rete, quindi si tornava a riva calando altra corda. Finita la calata si agganciavano le due estremità della corda, alla quale erano attaccate sette persone, con una specie di cintura chiamata e’ croc, e lentamente si tirava la rete a riva sperando sempre di fare una buona pesca. Quando la rete era a riva e il pesce era nella sacca i più anziani avevano il compito della cernita; questa avveniva perché in mezzo al pesce c’erano tante alghe, granchi, la palazzola, che bisognava scartare. Dietro a ogni marinaio c’era sempre la vecchietta che raccoglieva lo scarto. I marinai più giovani erano addetti al carico della rete sulla batana. E, finita l’operazione, un’altra mano…

Quando si partiva dalla Fossa dei Mulini Nandi, che aveva una gamba rigida e non partecipava alla pesca, impartiva ordini. Ai suoi figli, Mario e Terzo, diceva quante tirate si dovevano fare, per non trovarsi in mare quando si alzava il vento di tramontana o di furiano. Se non si ascoltavano gli ordini di Nandi c’era caso di trovarsi in mezzo al mare in burrasca e dover tirare la barca con la rete a riva facendo tanta fatica.”

 

 

 

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