Sposarsi un’altra volta con lo stesso Re

“Tribunale Ecclesiastico: da Rimini 15 richieste di annullamento matrimoni.”

Questo il titolo di un articolo apparso oggi su un quotidiano on-line di Rimini (www.newsrimini.it)

Prosegue così:

“Dopo il capoluogo Bologna, con 40 casi, è Rimini, con 15, la diocesi emiliano-romagnola da cui arrivano più richieste di annullamento di matrimoni al Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio. 7 quelle dalla diocesi di San Marino – Montefeltro. Le cause giunte al Tribunale sono state 293, contro le 352 del 2009. Le nozze dichiarate nulle sono scese da 163 a 139.
Le cause principali di annullamento sono l’esclusione dell’indissolubilità (32,1%), l’esclusione della prole (35,3%), e l’incapacità del coniuge di intendere al momento del matrimonio (20,9%).”

Non intendo assolutamente entrare nel merito, pur se una riflessione sulle reali motivazioni di annullamento può essere legittima. Un’istituzione, quella del Tribunale Ecclesiastico, che tutti pensano serva solo ad annullare matrimoni.

Ci credereste? Nel 1996 a Rimini, caso unico (e per quanto ne sappia non avvenuto mai neppure nella vicina Diocesi di Cesena), c’è stato un matrimonio non annullato, bensì “santificato” grazie allo strumento della “sanatio in radice”.

Eccone la storia.

Una giovane donna credente che tredici anni prima si era unita solo civilmente con un ragazzo ateo, ha chiesto di poter vedere riconosciute le nozze anche dalla Chiesa. Senza sotterfugi e senza “cerimonie private con la sola presenza dei testimoni”, come qualche sacerdote le aveva proposto. Una soluzione di ripiego, quella prospettata da questi ultimi, che cozzava con la coerenza del marito che, seppure non credente, desiderava che il desiderio della moglie di accedere ai sacramenti e di riconciliarsi con la Chiesa venisse esaudito. Avrebbe accompagnato personalmente la moglie a Roma dinanzi alla Sacra Rota, ma non sarebbe entrato in chiesa per una cerimonia che lui non riconosceva. Per capire: al battesimo delle due figlie, dove di solito è il padre a tenere la candela, lui era presente tutte e due le volte con le bambine in braccio, ma la “responsabilità” di tenere acceso il fuoco era stata lasciata alla moglie (quindi la candela era in mano a lei).

Così, ai tempi della richiesta al Tribunale Ecclesiastico, la moglie descriveva il marito nella lettera inviata al Vescovo:

La sua posizione nei riguardi della celebrazione canonica del nostro matrimonio rimane invece ferma: si sente sposato a tutti gli effetti e venire in chiesa a sposarsi sarebbe per lui un atto personalmente falso. Questa rettitudine di coscienza, unitamente alla sua coerenza, sono fattori che mi hanno fatto innamorare di lui e che accrescono sempre di più la mia stima nei suoi riguardi, uomo testone che non vuole ancora ammettere di essere un buon cristiano, migliore di tanti cristiani “di comodo”.

Per chi volesse metterla proprio sul livello “legislativo”, ecco i canoni 1161 e 1162 del Codice di diritto canonico, che si occupano della “sanatio in radice”:

Canone 1161:

1) La sanazione in radice di un matrimonio nullo consiste nella sua convalidazione senza rinnovazione del consenso, concessa dalla competente autorità; essa comporta la dispensa dall’impedimento, se c’è, e dalla forma canonica se non fu osservata, nonché la retroazione al passato degli effetti canonici.

2) La convalidazione avviene al momento della concessione della grazia; la retroazione, invece, la si intende fatta al momento della celebrazione del matrimonio, se non è stabilito altro espressamente.

3) Non si conceda la sanazione in radice se non è probabile che le parti vogliano perseverare nella vita coniugale.

Canone 1162:

1)  Se difetta il consenso in entrambe le parti o in una delle parti, il matrimonio non può essere sanato in radice, sia che il consenso manchi fin dall’inizio, sia che, dato all’inizio, sia stato revocato in seguito.

Quindi, secondo la signora, gli elementi per ottenere la sanazione c’erano. Così la pensava anche il marito (anzi, per la Chiesa era ancora un “convivente” e tutti e due, quindi, peccatori!). Ma così non la pensava il responsabile del Tribunale Ecclesiastico di Rimini. Dopo il primo diniego da parte del Vescovo, la signora non si arrese e tornò alla carica, documentandosi in modo più approfondito e chiedendo sostegno a ben tre sacerdoti “progressisti” ( i suoi angeli custodi, due dei quali, oggi – don Pino Zoffoli e don Filippo Di Grazia – vegliano sulla sua famiglia da un “Altrove”).  Trasformata in avvocata di sé stessa, sostenne un colloquio storico e piuttosto movimentato con il Vescovo e… attese.

Il 14 agosto 1996 arrivò da Roma la notizia: “Sì, cara e gentile signora, lei è sposata anche per la Chiesa. Questo è il suo certificato di matrimonio, valido retroattivamente dalla data di celebrazione del matrimonio civile, che dovrà portare al suo parroco affinché sia inserito nel registro dei matrimoni”. La sera stessa, Messa a testa alta e col sorriso stampato sulle labbra per la “prima Comunione” dopo tredici anni. Col marito che l’aspettava, più felice di lei, fuori dalla Chiesa per andare a festeggiare insieme al parroco don Piergiorgio Terenzi, diventato amico di tutti e due e, a ragione, un membro della famiglia.

Quel foglio volante aggiunto fra le pagine del Registro dei matrimoni, all’altezza dell’anno 1983, al parroco successore di don PG sarà sembrato strano. Eppure lì c’è la solidità di una famiglia un po’ speciale (di matti? di testardi? di idealisti?).

Ah, se non s’era capito, i protagonisti della storia abitano… in questa casa.

Certi che un solo matrimonio “sanato” pesi forse di più di quei 15 matrimoni annullati, a Rimini, in un solo anno.

Ah, per la cronaca: prima avremmo potuto divorziare e risposarci tranquillamente con altre persone. Ora non più… Autolesionismo?

Grazie, Piergiorgio!


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