Considerando tutto quel che si fa in questa vita, ciascuno senza saperlo sta dipingendo il mondo

It’s happening. Questo il titolo di un intervento su Nòva 24 ( l’inserto del giovedì del quotidiano economico Il Sole 24 Ore) che mi ha colpito in modo particolare. Risale a più di un anno fa e lo avevo ritagliato mentre mi occupavo della rassegna stampa lavorativa. Lo ritrovo oggi nel mio archivio personale di “cose interessanti”. Un po’ stropicciato, con alcuni periodi evidenziati, è uno di quei pezzi che ti fanno venire invidia: avresti voluto scriverlo tu. L’autore, invece, è Enrico Ghezzi, critico cinematografico, co-autore della trasmissione Blob di Raitre, intrigante col suo modo di scrivere. La sua rubrica su Nòva si intitola Live in Vàno. Notes magico per futuri rinviati.

Quando si parla di magia, Cristella non può rimanere indifferente, giusto?

Ecco cosa scrive Ghezzi.

In ogni momento quel che avviene riavviene. Pare anzi svenire subito, cadere accanto a noi sfilandosi da noi, tanto che non avvertiamo di avvenire noi stessi e cadere. Il film ultimo di M. Night Shyamalan (It’s happening/E venne il giorno) riesce quasi a (far) avvertire il senso di estraneità al presente che è l’ombra costante e fuggevolissima (un fotogramma, di frequenza enormemente più fitta e intensa di quelli filmici, quindi molto più difficile da isolare e discernere) del vivere, il senso della ripetizione insensata di frammenti di un presente che ci sfugge quanto più ci contempla e include.

Alla percezione di questa assenza del presente si reagisce in diversi modi, di solito intelligentemente e teneramente reazionari. Rimpiangendo il venir meno di una cultura diffusa della storia e dei valori della tessitura umana del passato, annegata nel vortice del presente puro e selvaggio e incolto e barbarico, che allontana o rinvia o semplicemente non considera l’opzione di una cultura politica del progetto. (Così l’affermazione e Cannes di un nuovo cinema italiano “della realtà” è stata subito inserita in un discorso retrogrado di “neo-neorealismo”, di ipotetica “presa diretta con la realtà”, eccetera. Mentre il semplice paragone col doppio colpo delle Palme d’Oro ’77 e ’78, Padre Padrone e L’albero degli zoccoli, potrebbe far pensare alla “distanza” (prima di tutto dal presente) che il cinema sconta, l’unica gloriosa terribile condanna cui si promette chi intende fare cinema).

Ma il dominio apparente del solo presente e lo svanire del progetto derivano proprio dall’infittirsi incredibile dei racconti e delle storie e del racconto della Storia, dal riporre in essa il senso possibile e unico del presente, che invece implode a contatto col lussureggiare di infinite “registrazioni” automatiche che da più di un secolo riteniamo a nostra disposizione mentre indicano precisamente la scrittura di una storia che non è nostra (né la storia né la scrittura). Non si tratta di scegliere astrattamente il presente o la storia, specie quando lo spazio della nostra vita assomiglia a un presente ripetuto, incantato e inceppato (che sconta e ripete ogni istante tutta la storia; la paura dell’eccesso di presente è infine quella dell’eccesso di storia).

It’s happening è il rovesciamento cupo della fiducia e ideologia sessantottesca dell’happening, ma è sorprendente la capacità di Shyamalan di trovare la traccia improvvisa e imprevista dell’abbandono sereno e gioioso all’avvenire catastrofico del presente . Il film si libera da necessità e complicazioni narrative, spoglio di orpelli quanto uno Spielberg che incontra nel bosco Straub e Huillet, un Malick popolare che coniugando la fisicità secca e brutale di Corman e quella tecnicomentale di Lucas approda alla geniale impasse bunueliana de L’angelo sterminatore. Boh, vorrei sostituire allo schema cinestorico appena delineato (leggibile forse solo da chi conosce quei film o gli autori) una mappa di indianajones, dove il sapere dell’archeologo ha bisogno della freschezza incolta dei giovani capaci in pochi secondi di apprendere tra le liane la sapienza ignorante delle scimmie o il codice delle piante o quello dell’amore.

A un mondo-mappa, agitarsi di scritture e disegni visioni che si attuano mediante noi volenti/nolenti, allude Michelangelo citato da de Hollanda: “esiste una sola arte o scienza, la pittura o il disegno, (…) considerando tutto quel che si fa in questa vita, ciascuno senza saperlo sta dipingendo il mondo, nel creare e produrre nuove forme e figure, nel vestirsi di svariati abbigliamenti, nell’edificare o occupare lo spazio con fabbriche e case dipinte, nel coltivare i campi e lavorare di disegni e schizzi la terra, nel navigar con le vele sul mare (…) nei funerali e nelle morti, nella maggior parte delle nostre operazioni e fatti e movimenti.”

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