Gli intraducibili: al luvéri

Nel suo Dizionario Romagnolo Ragionato, Gianni Quondamatteo così definisce la parola luvéria: “ghiottoneria, goleria, golosità; dolce, cosa dolce. Quando, dopo aver mangiato a crepapelle, il ragazzo chiede ancora qualcosa, la mamma protesta: Quest l’è luvéria! (questa è golosità!). La luvéria ad cla dòna la fa epuca: la s’ingola un sac d’luvéri (la golosità di quella donna fa epoca: ingoia un sacco di golosità).”

Ma c’è anche la variante luvarìa, così definita: “golosità. La mamma rimprovera il figlio che chiede questo o quello: l’è tòt luvarìa! (è tutta golosità!). L’è na luvarìa (è una golosità), dico a me stesso mangiando una cosa desiderata. Del bambino spendaccione: e’ va dré ma tòt al luvarii de mond!  (va dietro a tutte le golosità del mondo!).”
Al luvéri, però, dette così, in dialetto, hanno un significato più forte delle semplici “golosità”. Un po’ come Nanni Moretti quando si immerge nel bicchierone di Nutella: al luvéri sono quelle schifezze, quei pastrocchi buonissimi che nessuna dieta mai raccomanderebbe…

Quando Cristella era piccola e viveva a Gatteo a Mare, ogni domenica, appena dopo pranzo, così come gli altri bambini del vicinato, aspettava con ansia la Manèccia, portatrice di luvéri. Era la tipica vecchietta romagnola, col vestitone lungo, il fazzoletto in testa e un grembiule-parananza con grosse tasche piene di chissà cosa. Nel ricordo un po’ sfocato (si parla di oltre quarant’anni fa!) la Manèccia era un po’ strega: i bambini ne avevano soggezione – più che per il suo aspetto – forse perché non concedeva mai sconti.
La vecchia partiva da casa sua, in via delle Nazioni, spingendo a mano un carretto di legno col quale avrebbe percorso le strade del paese. Ad ogni crocicchio i bambini l’aspettavano, con in mano la paghetta appena ricevuta dal babbo. Dieci lire o poco più… Al massimo trenta lire, ma solo se si era stati davvero bravi.

Cosa si comprava? Qualche caramella, le carrube, le liquirizie, i coni-gelato finti. Ma anche cartoccini di ceci, lupini, brustoline e arachidi… La Manèccia teneva queste luvèrie in cesti o bacinelle stretti sul carrettino. Con la carta gialla da salumiere faceva dei cartocci a forma di cono e li riempiva usando dei misurini di legno che a noi sembravano sempre troppo piccoli.

Mentre la Manèccia proseguiva il suo percorso verso i bambini di un’altra strada che l’aspettavano impazienti, noi, felici dei nostri acquisti, ci sedevamo insieme da qualche parte a strafogarci di luvèrie, scambiandoci qualche assaggio dell’una o dell’altra golosità.

Pregustando già la domenica successiva, quando la sagoma nera della vecchietta e del suo carretto avrebbe fatto capolino da laggiù in fondo e ci si sarebbe chiamati da un cortile all’altro: “Arriva la Manèccia! Arriva la Manèccia!”

via Primo Maggio, 1966. La Manèccia sbucava da laggiù, l'angolo con via delle Nazioni

4 pensieri su “Gli intraducibili: al luvéri

  1. Danda

    Allora di luvéria io me ne intendo bene! 😀
    Se ritorno indietro al mio passato da bambina, nonostante i tempi fossero un po’ più recenti, ricordo bene che anche da me in Puglia, nella piazzetta del paese, all’ingresso del giardino comunale, c’era sempre un vecchietto da volto rugoso e scuro, vestito sempre di bianco, che portava il suo carretto di leccornie: caramelline d’orzo (le adoravo), cremini giganti nella carta dorata, caramelle di zucchero colorate, a volte tenute insieme a mo’ di bracciale, sciroppi colorati e gelati finti (erano di zucchero anche i tuoi?). Chissà quante golosità ci siamo messi nel pancino senza sapere cosa contenessero e comunuque, fatto sta che noi bambini andavamo matti per quelle luvéria e quel signore era per noi un punto di riferimento.
    Una volta io e il mio fratellino ci perdemmo nella folla della gente della domenica sera (c’era lo “struscio”) e ci rifugiammo da lui finché fu lui a trovare il nostro papà! 🙂

    P.s.: ma quella nella foto sei tu?

  2. cristella

    Sì, nella foto c’è la piccola Cristina, davanti a casa sua, diretta a scuola. 3^ elementare. Notare le gambette sottili: mia madre portò a benedire una maglietta a Sarsina,perché ero inappetente e non sapeva più a che santo votarsi (ho recuperato in seguito, eh eh!). I gelatini erano di zucchero, come i tuoi, costavano 10 lire ed erano venduti così, senza involucri, prendendoli in mano e… via. Se penso alle norme sull’igiene di oggi!

  3. enrico

    si metteva davanti all’Arena Pagliughi alla sera a vendere
    i dolcetti, liquirizie, lupini, semi di zucca, e tanti altri dolci

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