Un “t’amaz” e “un azidént” non si negano a nessuno!

Giuliano Bonizzato è un noto avvocato riminese che ama scrivere racconti legati alla storia e alla cultura del territorio in cui vive. Sul quotidiano La Voce tiene un’interessante rubrica intitolata “Cronache Malatestiane”.
Domenica scorsa, 23 marzo, il titolo attira subito la mia attenzione di dialettofila: “Un ‘t’amaz’ non si nega a nessuno”.
E l’articolo non delude le aspettative…
Scrive, Bonizzato, che la sua prima difesa penale aveva a che fare con questa diffusa espressione dialettale.
Il suo cliente era imputato del reato previsto e punito dall’art. 612 del codice penale, per aver minacciato di morte il proprio vicino con la frase “Me ma té a’ t’amaz!” (Io, a te, ti ammazzo!).
L’imputato negava l’addebito, pur ammettendo di aver avuto col vicino una vivace discussione.
Bonizzato racconta con grande ironia le peripezie occorse per andare ad ascoltare a domicilio, in un paesino sperduto fra le montagne dell’entroterra riminese, la madre novantaseienne ed inferma del minacciato, unica testimone del fatto. Col novello avvocato, il Pretore, il Pubblico Ministero e il Cancelliere.
L’è vera l’è vera, sgnòr Pretòr! E’ mi fiol l’era ma la finestra, lò l’è passè d’-ciota… i a cminzé a ragnè cum e solit e lò u j a dét: mé ma té a’ t’amaz… mé ma té a’ t’amaz…L’è vera, l’é vera!” (E’ vero, è vero, signor Pretore! Mio figlio era alla finestra, lui è passato di sotto, hanno cominciato a litigare come al solito e lui gli ha detto: io a te ti ammazzo, io a te ti ammazzo… E’ vero, è vero!).
Al processo il giovane avvocato, forte dell’autorità di chi sul dialetto romagnolo aveva passato una vita, sostenne che dalle nostre parti un “t’amaz” non si nega a nessuno. Che il termine rappresenta quasi un innocuo intercalare. Che esso non può essere in ogni caso considerato tale da indurre turbamento psichico grave nel soggetto passivo, soprattutto nel contesto di una sia pur accesa discussione tra vicini…
Il Pretore accolse la tesi di Bonizzato e prosciolse l’imputato per difetto di querela.
Ed è proprio così: ci sono delle frasi, nel nostro intercalare, che tradotte letteralmente in italiano farebbero venire i brividi. Un altro esempio?
Ch’u t’avnèss (o ch’u t’ciapèss) un azidént”, che si traduce con “che ti venga (o che ti prenda) un accidente”.
Nelle stesse occasioni si dice anche “ch’u t’vegna un còlp!” (che ti venga un colpo!).
Sembra strano, ma questi sono saluti fra amici, che magari non si vedevano da vent’anni! Ci si butta le braccia al collo e si è felici di rivedersi sani e salvi.
Ch’u t’avnéss un azidént!”, dunque, è un complimento. Per dire: “evviva, che piacere ritrovarti!”
Già, perché in Romagna un “t’amaz” e “un azidént” non si negano a nessuno…

6 pensieri su “Un “t’amaz” e “un azidént” non si negano a nessuno!

  1. Anonima_mente

    in tutte le regioni esistono delle frasi dialettali che ci accompagnano per tutta la nostra vita
    è come per un romano non pronunciare più “a li mortacci tua”
    e saranno frasi che fanno pensare a qualcosa di negativo
    ma in realtà colorano le nostre giornate
    ciao
    mentina

  2. Luca

    Ottima la citazione di Princy e qui la variante più ligure “te mandessu 50 € in ta stacca a mi”
    “che ti mandassero 50 € nella mia tasca”

  3. mcm Autore articolo

    Conte: che onore! Grazie del premio, mi fa molto piacere sapere che mi leggi volentieri. Io passo spesso da te (specialmente per le gustosissime ricette!)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.