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O che bel mestiere, fare il favoliere…

Una, dieci, cento favole per Gramos, con l’augurio che la sua abbia un lieto fine.

La rete, si sa, porta lontano. Entri in un sito (o in un blog) che ti invita ad accedere ad un altro, che ti linka a destra, che ti rimanda a sinistra, sù, giù, di là, di qua.

Insomma, i navigatori sanno da dove salpano, ma mai dove approdano.

E’ capitato così: non so più per quale strada, ma un mesetto fa sono arrivata al blog Balene Bianche di Sabrina Campolongo. Mi è risultata simpatica già per le prime righe della sua presentazione (“Scrivo e vivo. O vivo e scrivo. Vale la proprietà commutativa. Una cosa non esclude l’altra.”). Sabrina ha avuto l’idea di aiutare Gramos, un ragazzino kosovaro di 12 anni che per una grave malattia ha bisogno di costosissime cure, regalandogli delle favole. Non libri già confezionati (che sarebbe così facile e veloce!), ma storie nostre, scritte per lui.

I blogger hanno risposto con entusiasmo, me compresa.

A dire il vero, ho adattato una favola già pronta, ancora inedita, che avevo scritto per l’Istituto Oncologico Romagnolo e letto ai bambini riminesi nella piazza centrale della città mentre vestivo i caldi panni della Befana.

“La Befana e la coperta che scioglie il ghiaccio”, che in versione originale potete leggere qui (nella sezione Libri di Cristella.it) insieme ad alcune altre favole scelte, è stata ritenuta adatta dalla giuria a venire pubblicata in un volume che sarà venduto in tutta Italia. I proventi serviranno ad aiutare Gramos.

La notizia della mia “vittoria” è arrivata via mail lunedì scorso, in una giornata funestata da temporali e tempeste, dove il sole che di solito brilla sul regno di Regina Cristella era coperto da nuvoloni neri.

Ecco, come mi è capitato spesso, nei momenti più tristi arriva qualcosa che non aspettavo (una notizia, una persona, un sorriso), che soffia via le nuvole in un battibaleno… Ancora una volta, forse, il mio Angelo Custode (mamma Pierina) ha manovrato i suoi invisibili fili.

Così, la bella Sabrina, il piccolo Gramos, gli altri scrittori scelti (anche famosi, eh! guardate qui la lista…) entrano di diritto nella “favola di Cristella”. 

Dove la parola “fine”, volutamente, non è stata scritta.

Quando il libro sarà pubblicato, lo farò sapere via blog. Dovrà partire una nuova catena fra gli amici di Cristella e di Gramos.

A m’arcmand!

Il mio futuro? Al centro della circolazione “a stanze”…

Dopo favole, sospiri, preghiere e poesie, è tempo che Cristella apra gli occhi sulla realtà.

Spazio, dunque, al pragmatismo più attuale. Dal privato più privato, passiamo a qualcosa di pubblico-privato.
E’ passata. Con un “sì condizionato”, ma è passata.
Lunedì sera il Consiglio di Circoscrizione del Quartiere 5 (a maggioranza) ha dato l’ok alla variante dell’ex Corderia di cui si sta discutendo animosamente da diverso tempo e di cui ho già scritto in precedenza (post 1, post 2).
Ribadendo che il PRG approvato nel 1994 e ratificato successivamente dal Consiglio Comunale di Rimini è intoccabile e che i privati hanno acquisito sacrosanti diritti giuridici, i tre assessori comunali intervenuti (Paola Taddei, Antonio Gamberini, Andrea Zanzini) hanno tessuto le lodi di quanto fatto dall’Amministrazione in questi anni. Come poteva essere altrimenti?
“Prima le case, poi le strade.” Questo è l’imperativo a cui i riminesi sono stati abituati (la via Sozzi è ancora lì che attende, per citare solo un caso che vedo dalla finestra).
Questa volta si parla di strade da sistemare in contemporanea, se non prima, dell’intervento edificatorio. Almeno è in tal senso che è stata vincolata la società proprietaria del terreno, che a quanto pare sta agendo con spirito collaborativo. Vedremo.
Comunque, a proposito di strade, il dirigente alla mobilità, ingegner Totti, lunedì ha illustrato il suo progetto di viabilità per tutta la “zona ampia” che comprende “anche” la Corderia.
Eh, sì, perché qui si parla pure della via Beltramini diventata quasi un’autostrada, del mega-Peep non ancora terminato, del polo scolastico (con asilo nido, materna, elementari, medie, due istituti superiori già presenti e un altro in costruzione) e… di casa mia.
Mi ci troverò giusto in mezzo – accanto ad una nuova rotatoria che sarà un grande punto di snodo – a quella che Totti definisce “circolazione a stanze”: senso unico in direzione monte-mare su via Marconi (con pista ciclabile e senza sacrificare i 96 platani secolari) e il cosiddetto “anello” delle vie Beltramini, Sacramora, Amati, Fattori, Popilia.
Da un calcolo approssimativo che ho curato per il settimanale Il Ponte (articolo che sarà sul numero in edicola fra tre giorni), vien fuori che nella mia zona fra qualche anno ci saranno almeno 1.500 appartamenti in più (calcolo sicuramente sottostimato), a cui vanno aggiunti i piccoli e grandi insediamenti direzionali e commerciali previsti dalle varie schede del PRG.
Quante automobili in più porterà questa trasformazione? Quanti bambini che dovranno andare a scuola, quanti anziani che non sanno dove passare il tempo e rischiano la vita ogni volta che scendono in strada? Insomma, quale sarà la qualità di vita del “dormitorio viserbese”?
Un lumicino di speranza, però, me l’ha acceso lunedì l’assessore.
“Su viabilità e ambiente abbiamo recepito le critiche e i suggerimenti del Quartiere – ha affermato Gamberini – Alla Corderia faremo uno degli interventi di maggiore qualità, su ambiente e viabilità, che la città di Rimini abbia mai avuto.”
Beh, i casi sono due: o comincio già a ristrutturare casa, prevedendo di poter stare poco tempo in giardino a causa dello smog ed installando doppi vetri antirumore (e dunque impianti di aria condizionata che ancora non ho perché ritengo danneggino l’ambiente), oppure… mi faccio regalare dal marito un bell’appartamento nuovo dentro l’area dell’ex Corderia.
Lì, almeno, l’ambiente è salvaguardato. Me l’ha detto l’assessore.

[tags] corderia, viserba, rimini, abitabilità[/tags]

I vostri figli non sono figli vostri

Oggi, adesso, così. Lacrime da nascondere dietro un sorriso. Sapendo che poi, per forza, deve passare.

Mamme come me. Che amano e che condividono.

Che cuciono e rammendano dove qualcun altro maldestramente strappa. Con fili sottilissimi, invisibili, costruiti con infinita pazienza. Che tessono forti trame su orditi sempre più delicati e fragili.

Dedico questa poesia di Kahlil Gibran alle principesse Dora e Cinzia. E a Paolo, il Re consorte di Cristella, Regina di Sacrabionda.

I vostri figli non sono figli vostri.

E una donna che reggeva un bimbo al seno disse, Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso voi ma non da voi,
e sebbene siano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri.
Poiché hanno pensieri loro propri.
Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime,
giacché le loro anime albergano nella casa di domani,
che voi non potete visitare neppure in sogno.
Potete tentare d’esser come loro, ma non di renderli
come voi siete.
Giacché la vita non indietreggia né s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli,
viventi frecce, sono scoccati innanzi.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinché le sue frecce possano
andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
poiché se ama il dardo sfrecciante,
così ama l’arco che saldo rimane.

[tags] Gibran Kahlil, figli, poesia[/tags]

Principesse, preti e… santini

Della mia amica blogger Marina Garaventa, alias La Principessa sul Pisello, ho già scritto qui. Curiosando nel suo archivio, sono rimasta colpita da due post in particolare. Ne ho parlato con don Piergiorgio, il sacerdote che mi è stato maestro di scrittura e giornalismo e che collabora al sito di Cristella con la rubrica Lettera 22. Gli ho chiesto un commento “da prete”.

Poteva dirmi no? Quando gli si chiede qualcosa di scritto, lui va a nozze (si può dire, di un prete?). Ha risposto a stretto giro di fax (il computer, per lui, è off limits).

Riepiloghiamo.

Le tappe per comprendere il senso del mio post di oggi sono le seguenti: prima di tutto leggetevi Santini & C. numero 1, poi Santini & C. numero 2.

Già così ne avete abbastanza per meditare sui vostri piccoli dolori, vero?

Sorridete un attimo, però, perché la Principessa è ricca di ironia e solarità, come avrete appurato leggendo i suoi post. Ecco, adesso, vi lascio leggere cosa ne pensa il mio sacerdote preferito, che si fa riconoscere già dal titolo.

Primo comandamento: rivolta il calzino.

Ognuno di noi inevitabilmente si porta appresso le sue deformazioni professionali o culturali. Parlando in chiave positiva, vede e giudica il mondo a partire dalla sua prospettiva.
Subito, per amore di onestà, confesso candidamente di essere un prete.

Incontrandosi con l’ottica e lo spirito vitale di Marina sarebbe facile per un membro del clero formulare un analogo giudizio: ” Molto interessante, però Marina non lavora per gli interessi del ‘partito’! Per questo prudentemente è da tenere alla larga.”

Sono disposto a comprendere tale reazione. Ma non è la mia!

Tale posizione all’apparenza controcorrente non mi nasce per il fatto di essere più intelligente o comprensivo degli altri.

Più semplicemente, cerco di essere discepolo di Gesù che, fra l’altro, dai suoi nemici “buoni” era accusato d’essere “mangione e beone, amico dei pubblicani, dei peccatori e delle prostitute”.

Ci sarà pure una base di verità storica in queste pesanti accuse?

Il nodo da mettere a fuoco in questo problema si concentra in un principio dello stesso Gesù: “Non chi dice Signore! Signore! (cioè è ortodosso) entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la Volontà del Padre Mio che è nei Cieli.” Tradotto in termini teorici, anche se un po’ difficili, l’ortoprassi (il corretto modo d’agire) viene prima dell’ortodossia.

Sull’ortoprassi di Marina avete forse qualcosa da ridire?

Sta facendo il suo cammino, che inevitabilmente ha le sue tappe ed i suoi momenti. Però è un dato certo, che cammina!

Qui sono tentato di aprire un altro discorso per me – e non solo – molto importante.

Se non ricordo male, mi sembra che un giorno Gesù sia uscito con questa affermazione: “Non gettate le perle ai porci!” In altri termini: “Non buttatele via!”

Chi lo fa è spinto dal peccato di non riconoscerle come tali.

Noi, nella Chiesa – se siamo rigidamente confessionali – dividiamo il mondo in due settori incomunicabili: ci siamo noi – che siamo i buoni (vedi “farisei”) – ed il resto dell’umanità è tutto cattivo.

Con questa prospettiva, falsamente dogmatica, l’invito del Concilio (“leggere i segni dei tempi”) facilmente finisce nel cestino dei rifiuti.

[tags] chiesa, comandamenti, principessa[/tags]

Ma tu, sogni in italiano o in dialetto?

C’è un buon motivo, se già dall’inizio nel mio sito ho inserito le sezioni Dialetto e Tradizioni.
Sono nata in campagna, a Sala di Cesenatico. Per i primi tre/quattro anni della mia vita ho sentito parlare unicamente il dialetto e di conseguenza ho balbettato le prime parole in questa lingua: sì, sono nata dialettofona.
Poi, col trasferimento al mare (erano i tempi del boom economico, primi anni Sessanta, quando con qualche cambiale ci si poteva lanciare nell’avventura ed iniziare a tirar su una pensioncina) ai miei genitori venne detto che non andava proprio bene che una bimbetta parlasse in dialetto: bisognava iniziare ad insegnarle l’italiano.

Immagino la loro fatica. In pratica, in casa si incominciarono ad usare due lingue: l’italiano con me – la piccola da affrancare dalla campagna – e il dialetto con gli altri figli.
Teresa, Tiziana e Domenico, di qualche anno più grandi di me, sono stati dunque salvati dal dato anagrafico. Un’abitudine, quella della doppia lingua, mantenuta poi per tutta la loro vita. Che fortuna: una mamma e un babbo poliglotti (e bravi)!
Le mie sorelle e mio fratello si sono sempre rivolti loro in dialetto, dando del “voi”, perché così si usava.
Mà, av voj bén”: sembra strano, vero, che un uomo di quasi sessant’anni si rivolga con questa frase (“mamma vi voglio bene”) alla vecchietta ormai sfinita stesa nel letto d’ospedale? Non era un “voi” distante. Era caldo, abbracciava.
E valeva di sicuro molto più di quel freddo “tu”, che sarebbe stato in una lingua straniera, non loro.
Quando mi imbatto in una canzone, un testo teatrale o, semplicemente, un dialogo privato nella lingua dei miei genitori, sento qualcosa che si muove dentro, che si apre. Una sensazione simile a quella che provo quando ascolto certe composizioni di Mozart, non so perché…
Il dialetto, lingua orale, muore.
Muore con i vecchi.
Muore nel momento in cui se ne vanno coloro che “sognano in dialetto” (a dirla con Gianfranco Miro Gori, il sindaco-poeta di San Mauro Pascoli).
E allora, cosa si può fare?
Qualcosa in provincia di Rimini si muove: nei giorni scorsi, ad esempio, è stato presentato il progetto “In viaggio con il dialetto!”. Si tratta di itinerari didattici per i ragazzi delle scuole della Valconca e della Valmarecchia, coordinati e condotti da Gabriele Bianchini e Vincenzo Sanchini.
Iniziativa encomiabile, anche se la sempre più alta presenza di ragazzi stranieri nelle nostre aule mi fa pensare che sia già troppo tardi, che progetti di questo tipo si dovevano fare dieci-quindici anni fa.
Anche il poeta milanese Franco Loi esprime i suoi dubbi sul dialetto nelle scuole: in proposito vi invito a leggere un suo interessante articolo (pubblicato su Il Sole 24 Ore), che ho trascritto qui.

E adès, av salut!


Ah, e se proprio volete sapere in quali panni mi sento più a mio agio quand a scor in dialèt, guardate qui

[tags] dialetto, tradizioni[/tags]