Il nostro sogno colorato

(favola scritta dai bambini di seconda B e da M. Cristina Muccioli)

A Rimini sembrava una giornata come tutte le altre: erano le otto di mattina del 23 maggio, tutti i bambini della città erano diretti alle loro scuole, tutte le mamme ed i papà li stavano accompagnando, tutti i lavoratori e le lavoratrici si dirigevano verso uffici, negozi, fabbriche. Le strade erano piene di motorini, macchine, biciclette, autobus…
Anche in viale Matteotti, nei pressi della scuola elementare Decio Raggi, tutto sembrava uguale agli altri giorni: il vigile, con la sua paletta rossa e verde, giocava a dirigere il traffico, mentre gli automobilisti gli ubbidivano. Qualcuno protestando; alcuni, i più bravi e diligenti, senza fiatare.
“Fermo lì, tu con la Panda rossa: non vedi che ci sono le strisce pedonali e stanno arrivando Anna e Carlotta, della seconda B?”
Eh, sì, le nostre amiche! Ma proprio su quella macchina ci sono Alessandro e Nicolò, che arrivano sempre un po' in ritardo, mentre più in là stanno attraversando la strada le Martine e le Chiare che, come sempre, si tengono per mano.
Ecco, il portone si apre e si scorge il sorriso di Antonella la bidella (battezzata così per fare la rima…). Fa entrare Giovanni e Freddy, che vanno sempre di corsa.
Di sopra, i maestri Pasquale ed Elisabetta stanno aspettando i loro alunni, che arrivano un po' alla volta. Ognuno prende il suo posto.
Ma, che strano, oggi mancano in tanti. Che si siano addormentati?
Dove sono Anna, Carlotta, Daniele, Gabriele, Lavinia, Nicola, Alessandra?
I maestri incominciano a preoccuparsi, perché sono già le nove e questi bambini non si sono ancora visti.
Tutt’ad un tratto si sente bussare. La porta si apre: è Cristella, la loro amica regina, tutta trafelata e col fiatone. Ha il volto preoccupato, dice che ha una notizia per loro…
Ricordate che Cristella nel suo castello, nel regno di Sacrabionda, ha una sfera magica dove si possono vedere tutte le cose? “Presto, correte, venite con me! Dobbiamo andare a salvare i vostri scolari”, dice Cristella ai maestri, che non riescono ancora a capire cosa sia successo.
“Poco fa, mentre facevo colazione, ho acceso la mia sfera magica e guardavo il Ponte di Tiberio. Ad un certo punto ho visto alcuni bambini col grembiule azzurro e rosa che invece di dirigersi verso la scuola andavano nel parco Marecchia. Ho pensato: ‘ma guarda un po’, mi sembra di conoscerli, quei birichini. Sono alcuni della seconda B! Ma perché non vanno a scuola?’ Poi ho sentito una musichetta che li attirava, loro erano come incantati. Guardando meglio, ho visto che avevano gli occhi ipnotizzati. Sembrava l’incantesimo di un mago o di una strega! Ho guardato dove andavano: hanno girato dietro un grande albero e improvvisamente… PUF… sono spariti! Penso che dobbiamo andare a cercarli, ho paura che siano in pericolo. Venite, andiamo tutti quanti!”
I bambini della seconda B, con Pasquale ed Elisabetta, non se lo fecero ripetere: saltarono dalle loro sedie e seguirono Cristella, che li guidò di corsa verso il parco.
Arrivati nei pressi del grande albero dove Cristella aveva visto i ragazzi per l’ultima volta, si fermarono ed iniziarono a perlustrare la zona, cercando qualche indizio.
“Ecco, guardate, le tracce finiscono qui - disse una delle Martine – Proprio accanto a questa grossa radice.” E si appoggiò col piede destro alla grande radice che sbucava dal terreno.
In quel momento successe qualcosa di molto strano: il tronco dell’albero si aprì, come una porta magica. Di là, una gran luce, tanti colori e una musica bellissima.
Come incantati, i ragazzi, i maestri e Cristella, si incamminarono verso quel mondo variopinto. Era un bosco incantato, con fiori luminosi e farfalle giganti che svolazzavano qua e là. In lontananza si vedevano radure e laghetti.
Ad un certo punto da un cespuglio di biancospino uscì un animaletto dal muso molto simpatico: era un orsetto lavatore.
“Ciao, ragazzi. Scommetto che siete gli amici di quelli che sono arrivati stamattina. Sono andati tutti alla rupe delle riunioni, perché Arturo il canguro ha fatto sapere a tutti gli abitanti del bosco che aveva notizie molto importanti e urgenti da comunicare. Venite con me, credo che ci sia un grosso pericolo, perché ho visto persino il ghepardo Giovanni e la pinguina Chiara correre alla riunione.”
Un orsetto che parla? I ragazzi si guardarono stupiti. Succedevano davvero cose strane, in questo bosco colorato. “Ma come si chiama questo posto?”, chiese Cristella.
“Siete entrati nel Bosco dell’Arcobaleno – rispose l’orsetto – Qui gli animali vivono felici, senza nessuno che li comandi. Pensate che persino il leone Giorgione non fa il re, ma deve stare al pari degli altri. Veramente ogni tanto brontola, perché per il suo istinto vorrebbe dare qualche ordine di lì e qualche ordine di là. Ma la legge dell’Arcobaleno dice che nessuno può comandare sugli altri.”
“E l’incantesimo dell'albero e della musichetta che attira come una calamita, chi l’ha fatto?”, chiesero i bambini. “E’ stato il mago Pasquino. Lui è il migliore amico degli animali del bosco e ha detto che per un problema come quello che ci sta affliggendo serviva l'aiuto degli esseri umani. Ha anche detto che ci vogliono persone giovani. Come voi: qualcuno che ha ancora gli occhi puliti ed il cuore generoso. Pasquino dice che i grandi spesso perdono queste caratteristiche e quindi ha cercato i bambini e le bambine di sette-otto anni. Sono stati ammessi solo tre adulti: i loro insegnanti e la regina Cristella, perché loro tre guardano il mondo con gli stessi occhi dei bambini.”
In quel momento arrivò anche l'elefante Pinky, che disse:
“Presto, la riunione sta iniziando. Venite, amici. Senz'altro ci sono molte cose importanti da ascoltare. Sbrigatevi!” Si misero così a correre verso il luogo della riunione, guidati dall’orsetto.
Lungo il tragitto i bambini notarono che quel posto era davvero bellissimo: verdi prati colorati da margherite, ranuncoli e viole; cespugli con bacche e frutti; ruscelli e laghetti con guizzanti pesci rossi, ranocchi chiacchieroni e bianchi cigni dall'andatura regale. Nel cielo volavano rondini e uccelli di ogni tipo, con piume dai colori variopinti. Eh, sì, quello era proprio un bel posticino!
Finalmente arrivarono alla Rupe del Consiglio, dove c'erano già molti animali.
Sopra un masso, al centro della radura, c’era un canguro e, vicino a lui, una graziosa cangurina che lo guardava con aria innamorata. Attorno a loro, molti abitanti del bosco ed i bambini e le bambine che non erano arrivati a scuola. Proprio in quel momento Arturo il canguro aveva iniziato il suo discorso. Sembrava preoccupato.
“Amici, fra qualche giorno qui succederà una catastrofe! Ho saputo da mio cugino Nicolò, che fa il postino a Corpolò, che sta arrivando una lettera di sfratto a tutti gli abitanti del Bosco Arcobaleno: entro cinque giorni dovremo cercarci un altro posto in cui trasferire tane e nidi perché qui gli uomini vogliono costruire una grande fabbrica di stuzzicadenti. Prima del tramonto arriverà una delegazione di mega-direttori ed ingegneri per prendere le misure e preparare i progetti.” A quella notizia, tutti cominciarono a protestare: chi squittiva, chi miagolava, chi grugniva…
Solo il leone non ruggiva: ascoltava in silenzio, con un sorrisino strano. I suoi pensieri andavano all’incontrario di quelli degli altri abitanti del bosco: vedeva un’opportunità per tornare, come una volta, “re della foresta”.
Gli altri, invece, erano veramente preoccupati.
“Bisogna fare qualcosa: protestare, combattere, difenderci. Il Mago Pasquino ha fatto venire i bambini della Decio Raggi proprio per questo. Loro conoscono gli uomini meglio di noi e potranno aiutarci.”
“Ma come? – dissero i bambini – Cosa potremo fare contro ricchi e potenti industriali? Noi siamo proprio piccoli, in confronto a loro!”
A questo punto intervenne Cristella.
“No, ragazzi, non ricordate la mia favola? Non bisogna mai avere paura di nessuno: anche i re e le regine, gli ambasciatori ed i megadirettori sono persone come le altre. Ognuno ha il suo punto debole e vedrete che, se staremo uniti e penseremo a qualche strategia da mettere in pratica tutti insieme, riusciremo a vincere la nostra battaglia!”
Incoraggiati dall’entusiasmo di Cristella, i bambini e gli animali si tirarono su il morale.
“Fatevi venire qualche idea, forza!”, disse Arturo il canguro.
Intanto, senza farsi vedere dagli altri, il leone si allontanò. Aveva in testa un piano molto subdolo, da vero traditore. “Poveri illusi! Si credono furbi! Non hanno ancora capito che per avere successo, nella vita, bisogna allearsi con ricchi e potenti. Andrò incontro agli uomini e dirò loro che gli altri animali stanno preparando qualche trappola per loro. Così saranno sicuramente riconoscenti con me e mi ricompenseranno per l’informazione.”
E mentre pensava queste belle cosucce, gli altri animali si arrovellavano per escogitare qualcosa che impedisse ai fabbricanti di stuzzicadenti di distruggere il loro bosco.
“Potremmo scavare delle buche qua e là e ricoprirle di rami - proposero i castori - Noi siamo esperti a costruire questo genere di cose: sarebbero trappole vere e proprie.”
“E noi potremmo aiutarvi!”, dissero in coro le talpe.
“Bene, potete incominciare! Però ci vorrebbe qualche altra idea. Forza, spremetevi il cervello e pensate a qualcosa di micidiale, magari solo per spaventare gli uomini e farli tornare sui loro passi.”
Ecco che finalmente si sentì la voce della cangurina, che fino a quel momento se n’era stata zitta e tranquilla, all’ombra del suo innamorato.
Un po’ timidamente, disse:
“Stanotte ho fatto un sogno: che nel bosco c’era un’epidemia di morbicella e ciccio-pelatite…”
“Ma che malattie sono? Non le abbiamo mai sentite nominare”, dissero i bambini.
“Ve l’ho detto, era un sogno. E di solito nei sogni si vedono cose strane e irreali. Comunque, la mia idea sarebbe di far credere agli uomini che chi viene in questo bosco, appena passa sotto all’arcobaleno, si ammala. La morbicella è peggio del morbillo e della varicella, perché fa venire su tutto il corpo delle macchie verdi grandi come palline da ping-pong. E non solo: queste palline dopo due giorni scoppiano e sparano tutt’intorno migliaia di piselli, colpendo chi si trova a passare di lì. La ciccio-pelatite, invece, nel mio sogno era una malattia che colpiva maschi e femmine in maniera diversa: alle femmine faceva crescere la cellulite e la ciccia a vista d’occhio, mentre nei maschi aveva l’effetto di far cadere in due minuti capelli, barbe, baffi e peli… Pensate, se davvero queste malattie esistessero, come sarebbero disperati gli esseri umani, che vogliono essere sempre magri, belli e pettinati!”
“Ma come faremo a far credere loro che queste sono malattie vere e che se vengono nel Bosco dell’Arcobaleno c’è il pericolo di essere contagiati?”, chiese Pasquale.
Furono i bambini a lanciare l’idea:
“Ogni animale dovrà fingere di essere ammalato: con qualche pallina colorata e un po’ di colla, questo non sarà difficile. Ci si potrebbe truccare, usando erbe e pastrocchi vari. Il ghepardo si può colorare tutto di giallo, per far credere che gli sono cadute le macchie marroni. Il cavallo si potrebbe legare la coda e mettersi tanto gel sulla criniera, per sembrare ammalato di pelatite. E la cicciolite? Ecco. La cangurina si può riempire il marsupio con dell’erba secca, così da sembrare cicciona che più cicciona non si può.”
L’idea piacque a tutti. Si misero a cercare ogni trucco e stratagemma per far credere che il Bosco dell’Arcobaleno era infestato da quelle terribili malattie.
Nel frattempo, il leone Giorgione aveva raggiunto la delegazione di ingegneri e direttori che stavano dirigendosi lì per il progetto della fabbrica. Quando li incontrò, si presentò.
“Benvenuti, signori! La vostra visita è molto gradita - disse con un tono molto ambiguo - Peccato che gli altri animali non la pensino come me e stiano preparando la rivoluzione. Non vogliono che qui si costruisca la vostra fabbrica. Che stupidi, vero? Essere contrari al progresso! Cosa sarebbe il mondo, senza stuzzicadenti?”
Gli uomini furono colpiti dalle parole del leone e pensarono che, se la situazione era proprio come diceva lui, poteva essere utile avere un alleato in quel bosco.
Gli proposero, quindi una specie di contratto.
“Senti un po’, tu. Che ne diresti di aiutarci a convincere gli animali a lasciare il bosco senza creare problemi al nostro progetto? Se accetterai, nella fabbrica che costruiremo, per te ci sarà un posto di supermegadirettore generale e colonnello.” “Come dire no ad una proposta così allettante? - rispose il leone - Certo che accetto! Sono o non sono il re, qua in zona?” Ma non aveva fatto i conti con l’amicizia e lo spirito di gruppo che legava tutti gli altri animali. Loro, rimasti uniti, si erano organizzati ed avevano anche mandato una vedetta, per controllare la situazione. Per questo lì nelle vicinanze c’era il gufo Ugo, che ascoltò tutto quanto e volò a tutta velocità a riferire agli altri, che erano ancora riuniti alla rupe. Tutti si erano truccati, come d’accordo, per far credere all’epidemia.
“Dovremo convincere anche Giorgione. Anche lui deve credere che queste malattie esistono davvero. Come fare?” Ci pensò la jena ridens, che aveva sempre idee comiche.
“So che ogni pomeriggio il leone fa un pisolino all’ombra della grande palma. Andrò lì e, senza svegliarlo, gli taglierò tutti i peli della criniera. Così crederà di essere stato contagiato dalla pelatite!”
E così fece.
Verso sera, quando finalmente gli uomini arrivarono nella radura dove doveva sorgere la fabbrica, videro che tutti gli animali erano scalcagnati, tristi, zoppicanti, ciccioni, pelati e… con grossi bitorzoli verdi su tutto il corpo. Chiesero al loro interprete, il pappagallo Loreto, di farsi spiegare il motivo di quel disastro. Lui ascoltò attentamente quanto gli diceva Arturo il canguro e tradusse tutto agli uomini, che incominciarono ad avere l’espressione molto preoccupata. Quando videro arrivare il loro alleato, il leone, tutto abbacchiato e spelacchiato, capirono che lì tirava proprio una brutta aria, per loro. Si guardarono e parlottarono per un po’. Qualcuno, più impressionabile degli altri, cominciò a grattarsi la testa, la barba, le ascelle e il naso. Le donne sentivano le gonne che si stringevano e trattenevano il respiro per sembrare più magre.
Misero la questione ai voti.
“Chi vuole restare qui a costruire la fabbrica di stuzzicadenti, alzi la mano destra!”, disse quello che sembrava il capo. Nessuno lo fece.
“Chi vuole andare a costruire la fabbrica sulla luna, alzi la mano sinistra e… scappi da questo posto inospitale!” In un attimo fu un fuggi-fuggi generale. Anche il leone lì seguì, spaventato più che mai.
Arturo, con un bel salto, andò ad abbracciare la sua cangurina.
“Hai avuto una bellissima idea. Grazie a te, il nostro bosco è salvo!”
Tutti gli animali chiamarono i bambini e gli altri amici per fare un girotondo di vittoria attorno alla Rupe del Consiglio. Ballarono e cantarono fino a notte fonda, felici per il pericolo scampato.
Ad un certo punto Cristella disse:
“Ragazzi, è tardi! Chissà come staranno in pensiero i vostri genitori. Bisogna tornare a casa!”
Salutarono con un po’ di malinconia i loro amici animali e si avviarono verso la porta del grande albero. Diedero un’ultima occhiata al Bosco dell’Arcobaleno, che in quel momento era illuminato dalla luna piena, ed uscirono da quel mondo di sogno. Nel parco Marecchia, stranamente, era ancora giorno e c’era il sole, come quando erano partiti. Si avviarono verso la loro scuola, preoccupati per i genitori che senz’altro li stavano cercando.
E, invece, lì era tutto come qualche ora prima: il vigile dirigeva il traffico, Antonella la bidella apriva il portone, la direttrice era nel suo ufficio vicino alla biblioteca, qualche bambino ritardatario arrivava tutto trafelato… Il tempo, in viale Matteotti, quel giorno non era trascorso.
L’orologio s’era fermato. Solo un po’.
Per permettere ai bambini della seconda B di vivere il loro sogno colorato.


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