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Trama e ordito, mamme che tessono la vita

“Trama e ordito, mamme che tessono la vita”

Prezzo di copertina 10,33 euro (Ed. Il Ponte, Rimini. 1^ ed. 1999 – 2^ ed. 2000, in collaborazione con Associazione Stampatori Tele Romagnole).
Link all’associazione

Per l’acquisto
Rivolgersi direttamente all’autrice (email) oppure Edizioni Il Ponte, Rimini, tel. 0541 780666 (email)
“Trama e ordito” si può trovare anche presso la Stamperia Pascucci di Gambettola e in alcune librerie/edicole (info su richiesta: email)

Rimini: itinerario felliniano

LA RIMINI DI FELLINI

(tratto da “52 domeniche in Romagna”, Menabò Editore Forlì)

Il figlio più grande della città è senza dubbio Federico Fellini: il suo cinema è edificato per la maggior parte su memorie dell’infanzia e della giovinezza riminesi. Una Rimini sempre costruita “altrove”, vuoi sul Lido di Ostia o negli studi di Cinecittà, ma con la quale il Maestro ha mantenuto grandi legami affettivi, tant’è vero che ha chiesto di riposarvi per sempre. E proprio all’ingresso del cimitero si trova il monumento funebre che Arnaldo Pomodoro ha ideato per il regista e per Giulietta Masina: una grande prua rivolta al cielo, che evoca il leggendario Rex di Amarcord. L’itinerario nella Rimini felliniana parte proprio da qui, per proseguire verso luoghi, forse già incontrati, da guardare stavolta con occhi diversi, come flash back su scene da Oscar. Prima tappa al Borgo San Giuliano coi suoi murales dedicati al Maestro e ai suoi film, e al vicino Ponte di Tiberio, dove passava la corsa delle Mille Miglia di Amarcord. Si imbocca Corso d’Augusto: sulla destra, dopo un centinaio di metri, ecco il cinema Fulgor, l’occhio sul mondo e l’incontro col cinema americano. Due passi e siamo in Piazza Cavour, con la scalinata dell’Arengo, teatro della celebrazione fascista e della solitaria protesta del grammofono che suona l’Internazionale, e con la Fontana della Pigna, che ha visto le pallate di neve a Gradisca, le scorribande di Scureza, l’incanto del pavone. Si svolta per via Gambalunga dove, nel Palazzo Gambalunga, aveva sede il vecchio Ginnasio teatro di mille goliardate. Dalla finestra si poteva vedere Piazza Ferrari e il suo monumento ai caduti della Grande Guerra (i “nudi delle statue”). Proseguendo verso la stazione ferroviaria (il treno, metafora di ogni partenza, molto cara al Maestro) si passa in via Oberdan, dove, nella casa della sorella Maddalena, ha sede il Museo Fellini. Lì vicino, al numero 91 di via Clementini, la casa dell’adolescenza di Federico e del primo amore per Bianchina: il Palazzo Dolci. Ultime tappe, verso il mare: il molo (la “palata”, meta invernale dei Vitelloni e teatro delle bravate di Scureza, il motociclista di Amarcord) e piazzale Fellini col mitico Grand Hotel, simbolo di tutti i desideri “proibiti”.

Rubinetti chiusi alla Sacramora

Da tre settimane la storica Fonte della Sacramora, a Viserba, ha i rubinetti secchi.
Avevo già scritto in un post estivo di questo luogo che ha alle spalle un’antica tradizione religiosa e popolare. Un fiore all’occhiello di quella che veniva definita Regina delle Acque, quando Viserba era meta turistica preferita dall’élite modaiola di un secolo addietro.
Alla Sacramora, per celebrare i mille anni dall’arrivo prodigioso dell’arca contenente il corpo di San Giuliano, nel 1957 si tennero festeggianenti solenni e si inaugurò il bassorilievo del Santo e una lapide commemorativa.
Gli anziani ricordano ancora “tutta quella gente importante che venne a Viserba per l’occasione”.
Chi avrebbe mai pensato che appena cinquant’anni dopo, nell’autunno del 2007, la storica fonte avrebbe esalato l’ultima goccia?
Di sicuro la sorgente ha ancora acqua. Pare si tratti solo di un problema tecnico conseguente al mal funzionamento di una pompa idraulica. Su segnalazione di alcuni cittadini preoccupati, ho scritto un articolo per Il Resto del Carlino, pubblicato oggi nell’edizione locale di Rimini.

“L’Amministrazione Comunale si sta attivando per risolvere il problema”, questo è quanto sono riuscita a sapere – ufficialmente – nei giorni scorsi.

A dire il vero avrei anche altre informazioni che per ora non ho ritenuto opportuno pubblicare e che saranno oggetto di un prossimo articolo. Aspetto solo di avere alcune conferme.
Una cosa è certa: con l’acqua della Sacramora agli sgoccioli, a Viserba si chiude un capitolo di storia e devozione millenaria.
Qui di seguito riassumo la storia-leggenda della Sacramora.

In una notte d’estate del 957 nell’isola di Proconneso (Elaphonesos o Neuris) nel Mar di Marmara, franò lo scoglio sul quale per sette secoli aveva riposato il corpo del giovane martire Giuliano, discendente da una nobile famiglia istriana e da un senatore greco. Erano gli anni tristi dell’imperatore Decio Cneo Traiano (249-251), accanito persecutore dei Cristiani, la cui lotta infierì dal 197 al 251.
Educato alla fede dalla madre Asclepiodora, Giuliano fu scoperto seguace di Cristo e condotto dinanzi al tribunale del proconscole Marziano a Flaviade, nella Cilicia.
Esasperato dal rifiuto del giovane di rinnegare la propria fede e passare all’adorazione degli idoli, Marziano lo fece rinchiudere nudo in un sacco, fra serpi velenose e sabbia. Lo fece gettare in mare, alla presenza della madre. Il corpo pervenne all’isola di Proconneso, dove, raccolto dai fedeli, fu sepolto in una grande arca di marmo collocata su di uno scoglio a picco sul mare, da cui franò nel 957.
Il sarcofago iniziò una navigazione straordinaria (guidato dagli Angeli, dice la leggenda) attraverso lo stretto dei Dardanelli, il Mar Egeo, il Mediterraneo, lo Jonio e l’Adriatico.
Approdò infine al lido di Viserba nel 962. Rimossa con difficoltà l’arca, in quel luogo sgorgò la sorgente chiamata Sacramora (da “Sacra Dimora”).
La vita e il supplizio del martire, nonché il prodigio della sorgente, sono rappresentati in varie fasi nel Dossale di San Giuliano dipinto da Bitino da Faenza (Sec. XV), che si può ammirare nella chiesa di San Giuliano, nell’omonimo Borgo di Rimini, a due passi dal Ponte di Tiberio.
Si tratta di una serie di scene successive intorno alla figura centrale del Santo. Da queste si ricavano preziose informazioni aggiuntive.
Dopo il viaggio dell’arca portata dagli Angeli, in un riquadro si vede una folla stupita (i viserbesi di undici secoli fa!) accorsa sulla spiaggia richiamata dall’anomala burrasca. Una scena dominata dalle possenti presenze angeliche manifestatasi al largo immediatamente prima dell’avvicinarsi dell’arca alla costa.
Un’altra scena mostra il sarcofago che si arena prodigiosamente sulla spiaggia riminese. All’inizio, stranamente, a nulla valgono i vari tentativi di rimuoverla, anche con la forza di un paio di buoi. Si riesce solo quando il vescovo di Rimini, seguito dal capitolo dei Canonici, entra nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo per invocare la grazia di poterla spostare. Con l’aiuto degli stessi buoi che prima non ci erano riusciti.

Mentre la Fonte della Sacramora inizia a gettare acqua, l’Abate e i monaci di S. Pietro accompagnano in processione il sarcofago alla loro Chiesa. Qui, nel chiostro, l’arca viene scoperchiata alla presenza del Vescovo, dell’Abate, del clero e del popolo accorso a venerare le reliquie del Martire.
L’urna di marmo d’Istria (alta m. 1,50 e lunga m. 2) è collocata dietro all’altare maggiore della chiesa che nel XII secolo venne intitolata a Giuliano.
Nel 1910 le spoglie del Santo furono trasferite dall’arca di marmo in un’urna di legno e cristallo (oggi sotto l’altare).
Fra il novembre 1956 e l’autunno 1957 si svolsero dei festeggiamenti solenni per il millenario dell’approdo, suddivisi fra la chiesa di San Giuliano e l’antica Fonte.
Il 23 giugno 1957 il Can. Mons. Emilio Pasolini benedì, a ricordo del millennio, un cippo posto sulla polla della “Sacra Dimora”, unitamente ad un bassorilievo di Franco Luzi raffigurante il Santo aggredito dai serpenti.
Così l’iscrizione del cippo:
LA ECCEZIONALE MORA
DELL’ARCA DI S. GIULIANO
MARTIRE DI CRISTO
HA SUSCITATO
LA SALUTARE E BENEFICA POLLA
CHE ZAMPILLANDO GIOIOSA
RICANTA IL PRODIGIO

ETERNANDOLO NEI TEMPI
MCMLVII – NEL MILLENNIO

Approfondimenti

La prodigiosa traversata dell’arca di San Giuliano
(articolo di Lidia Parentelli)

Patroni più o meno “tosti”

(articolo di Carlo Valdameri)