Archivi categoria: Dizionario Romagnolo

L’ALBERO DEL PANE IN ROMAGNA

Son piccina, rotondetta;
son gustosa, son moretta;
son di razza montanina;
dell’autunno son regina;
son dei bimbi la cuccagna
e mi chiaman la…

Sì, avete indovinato. L’argomento di oggi, in linea col calendario, è la castagna.

Provvidenziale per i suoi frutti nutrienti, in luoghi impervi dove non era facile coltivare grano e mais, l’albero di castagno è denominato anche “Pane di legno” o “L’albero del pane”.
Pare che in Italia siano stati contati oltre trecento tipi di castagno, che danno frutti simili ma diversi: castagne pistolesi, castagne reggiolane, marroni… e via elencando. Continua a leggere

Gli intraducibili. Ac fat buliroun, òz!

Se volessimo essere finarlini, in italiano si dovrebbe dire “che fatto bulirone, oggi!” Antò, fa caldo!

Diciamo la verità, romagnoli, miei: non è proprio la stessa cosa! in dialèt, l’è mèi!

Parché un buliroun l’è chèld, e’ fa s-ciupè, l’è gròs, e’ fa casèin tot d’intorna…

E’ buliroun non è lo stesso del bulirone, che nessuno l’ha mai sentito e non appare nel dizionario italiano (aspetta, che controllo, non si sa mai… Na, un gn’i è).

Il mitico Gianni Quondamatteo, invece, ha inserito e’ buliroun nel suo “Dizionario Romagnolo Ragionato“. Ed ecco come descrive tale parola.

“Confusione di cose ed oggetti messi insieme alla rinfusa, ma anche situazione esplosiva, torbida; voci concitate. J à fat un buliroun: vi hanno messo dentro un po’ di tutto; hanno mischiato ogni cosa. U j era un buliroun d’ròba. Se s-ciòpa e’ buliroun e’ véin la féin de mènd. Ilé burdéll u j è un buliroun d’roba ch’l è mèj tnis da long. Per il Morri e il Mattioli – come per noi – buliròn è anche il catarro, il catarrone; per l’Ercolani è il rigurgito. Anche rabbia, ira: e’ m’èra vnu un buliroun… Camp. caldo intenso, calura: l’ha d’avnì so un buliroun, òz... I bulirùn, al plurale, sono le caldane, le improvvise vampate di calore alla testa, anche nella menopausa.”

Quindi, personalmente, per non farmi mancar nulla, oggi li ho proprio tutti: e’ buliroun e i bulirùn!

Av salùt!

Gli intraducibili: ‘na savarnèda ad….

Un tuffo nella lingua madre, che fa bene al cuore e alla pancia.

Dopo un pomeriggio di calore familiare con un folto gruppo di rappresentanti della Tenera Età (più di sessanta!) al primo compleanno degli incontri organizzati settimanalmente all’Oratorio Marvelli di Viserba Mare, sento l’esigenza di cercare fra le pagine del Dizionario Romagnolo Ragionato di Quondamatteo alcune delle parole “intraducibili” che ogni tanto fanno capolino nella mia memoria.

La prima, “savarnèda”, non è mai stata diretta a me, ma l’ho sentita più volte come minaccia a qualcun altro: “at dàg ‘na savarnèda ad bòti!” oppure “l’à ciapè ‘na savarnèdaad bòti“. Il Dizionario recita: “colpo violento, percossa. Dù savarnèdi. Ho ciap na savarnèda ch’à sò arvènz intramurtìd“.

La radanèda, invece, è l’aggiustatura, la rabberciata. Dat ‘na radanèda! datti un’aggiustata, mettiti in ordine! Radàna c’la cambra! Riordina quella camera!

Rungaja, mar.: pesce piccolo, misto, messo insieme, talora, con pesce ‘buono’ rovinato, morsicato nel travaglio della pesca; pesce da poveri, quindi: Ho tòlt mèz chel d’rungaja (ho comprato mezzo chilo di rungaia). Fig: si dice per bambini piccoli, gente di poco conto: cus èl sta rungaja! (cos’è questa rungaia?)

Quindi, morale della questione: par dè ‘na radanèda ma tòta c’la rungaja, u i vréb ‘na savarnèda ad bès 🙂

T’è capì?

Rosso malpelo: la donna gaggia

A parlare di “rutilismo”, nome scientifico con cui si indica questa particolare caratteristica dell’essere umano e di alcuni animali, in pochi capirebbero. Ma se in Romagna si dice “l’è un gag, l’è una gaggia”… u s capés sòbit.

Gaggio, da noi, è il ragazzo, l’uomo “di colore”.

Capelli rossi e pelle chiara cosparsa di lentiggini. Chi più, chi meno… Marchi indelebili che di solito si ereditano, provenendo da incroci genetici che solo gli studiosi sanno spiegare. Avete presente il popolo irlandese? Quasi tutti gaggi.
Succede così che l’uso frequente di marchiare con un soprannome le persone e le famiglie abbia originato in quasi tutti i paesi romagnoli la stirpe dei gaggi. L’è e’ fiòl d’la gagia, l’è l’anvoud d’e’ gag ad Mighèn… Scommettiamo che molti di noi conoscono qualcuno soprannominato così?

jessi
E, che dire delle donne rosse? Streghe mandate al rogo, un po’ matte, ma anche focose a letto. La storia insegna: pazze e streghe, forse, solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere “di colore” e, quindi, diverse e pericolose (e qui un richiamo ai tempi odierni è d’obbligo: il nero, l’uomo o la donna ‘di colore’ secondo i canoni occidentali, deve ‘per forza’ essere diverso e poco raccomandabile).
La donna gaggia, meglio non sposarla, dice un proverbio romagnolo: S t’at marid nò t’tò una gagia, che la dventa sobit passa (se ti mariti, non prenderti una rossa, che diventa subito moscia). Però, a letto, sarà migliore delle altre, tanto che “bisogna provarla”: La dona de pél ròs, ch’in la pròva un la cnos (la donna dal pelo rosso, chi non la prova, non la conosce).
Infine, ecco cosa scrive in proposito Gianni Quondamatteo nel suo Dizionario Romagnolo Ragionato.
Gag: rosso di capelli, di pelo, di carnagione. Rossiccio, lentigginoso. C’è una prevenzione contro i rossi di pelle: l’è gag, l’è un gag, sta atenti; fino al punto che in tutta la Romagna si dice che ad pél gag i n’è bòn gnènca i vidèll (di pelo gaggio non sono buoni neppure i vitelli).
E ancora E’ vèl pio una mora a la finestra, che nò zent gagi int’ una festa (vale di più una mora alla finestra che cento rosse a una festa). Trattandosi, invece, di bimbo di pelle chiara e capelli biondi, l’è un gagìn è un’espressione dolce.