Al cantéini ad Rémin (parte 1)

La movida, l’aperitivo, la gente alticcia che disturba il vicinato. Niente di nuovo, sotto il sole (o sotto la luna).

Adesso sono locali e localini alla moda, dov’è obbligo vestire all’ultima moda ed esibire il cellulare nuovo. Un secolo fa luoghi di incontro, soprattutto per gli uomini, erano le osterie, al cantéini, come racconta Gianni Quondamatteo nel suo insuperabile Dizionario Romagnolo Ragionato (ed. Tipolito La Pieve, Villa Verucchio, 1982), ricco di storie e riferimenti alla Rimini del passato.

Ecco cosa scrive Quondamatteo alla voce cantéina, usando il suo solito stile invidiabile:

Cantéina – osteria, rivendita di vino, cantina. Quando non esistevano e circoli e ritrovi e bar, quando la separazione tra le classi sociali era rigida, i lavoratori, gli umili, i diseredati si raccoglievano nelle cantine: dimessi locali dai muri iscuriti e dal piancito speso di terra battuta, aventi per tutto arredamento lunghi e poveri tavoli in legno, e teorie di scaranne impagliate, mentre accostate alle pareti erano scure, grosse botti con su segnato, a gesso bianco, il prezzo e il tipo di vino. Qui si affogavano gli affanni e le pene di una dura vita quotidiana, in una partita a carte, in uno sfogo politico, avendo davanti un bicchiere, spesso accostato a un cartoccio con qualcosa da mettere sotto i denti. Mio padre, prodigio di memoria, mi ricorda le più note cantine agli albori di questo secolo.

In piazza Tre Martiri (allora Giulio Cesare) Rizardéin; e, sempre nel centro cittadino, Guerrieri via G. Bruno), E’ curtìil ad Baldòzz (via Cairoli), Massèn (davanti al Duomo), Penzi (via Garibaldi), la Cantéina ad Soardi (via Soardi). Nel borgo S. Giovanni erano le cantine E’ Ghìn, Busignani, Pipiléin e Bramo er romano (un riminese che non era mai stato a Roma). Nel borgo S. Giuliano teneva banco Perazzini (detto Cavaléin), Taroni (l’anartic), Mori (Trecantòn), e Zani. Nel borgo Marina: E’ Cavaligér, E’ Manzéin e Cavalieri (nella Cuntrèda Pécula), Slanci e Deto (Ugo Gori) (Cuntrèda Granda). In via Clodia: E’ Capitèl, Cavécc, la Prossia e E’ Gòb (quest’ultimo proveniente da via Gambalunga prima e via S. Maria al Mare poi). Sempre nella zona erano Zvàn e’ mariner, Filòn (Bernucci) e Colombo (in corso Umberto). Nella cantina di Filòn, venuto poi in via Roma, era garzone Muschìn (Guerrino Costanzi), che successivamente apriva per proprio conto in via S. Maria al Mare. Nell’odierna via Vittime Civili era la cantina Fussòn ad Pari, mentre nei pressi della chiesa di S. Nicolò era Spaletta. Marconi, Grossi e Ghinelli avevano la cantina sulla riva destra del porto: e infine, t la Castlàza, imperava incontrastato Munfagnìn (figlio). Nel borgo S. Andrea: Munfagnìn (Salvatore Fabbri), Turèl, Picineli e Curzio.

Ma diciamo ancora di questo mondo, impasto di miseria ed ignoranza, drammatico specchio del tempo, piaga dolorante di una società ingiusta e violenta. Da Faféin e’ marinèr, al porto, quattro soldi erano più che sufficienti per un bel piat ad lumbardòn in umido, un grosso filone di pane e un quarto di vino. Qui marinai, facchini, arburént ‘segnavano’. Faféin, analfabeta, aveva una memoria di ferro, ma per maggior sicurezza tracciava sulla parete segni e cifre. E’ Gob, un facchino, è rappresentato da una gibbosità, accanto alla quale sono i quarti, i mezzi e i litri che doveva. Per Trumbènt, altro scaricatore di porto, c’è un abbozzo di tromba, e le relative ‘note’ dolorose. Per Cativéria, marinaio, l’effigie di una bestiaccia è il cartellino segnaletico.

— continua alla prossima puntata

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