Gli intraducibili. Ac fat buliroun, òz!

Se volessimo essere finarlini, in italiano si dovrebbe dire “che fatto bulirone, oggi!” Antò, fa caldo!

Diciamo la verità, romagnoli, miei: non è proprio la stessa cosa! in dialèt, l’è mèi!

Parché un buliroun l’è chèld, e’ fa s-ciupè, l’è gròs, e’ fa casèin tot d’intorna…

E’ buliroun non è lo stesso del bulirone, che nessuno l’ha mai sentito e non appare nel dizionario italiano (aspetta, che controllo, non si sa mai… Na, un gn’i è).

Il mitico Gianni Quondamatteo, invece, ha inserito e’ buliroun nel suo “Dizionario Romagnolo Ragionato“. Ed ecco come descrive tale parola.

“Confusione di cose ed oggetti messi insieme alla rinfusa, ma anche situazione esplosiva, torbida; voci concitate. J à fat un buliroun: vi hanno messo dentro un po’ di tutto; hanno mischiato ogni cosa. U j era un buliroun d’ròba. Se s-ciòpa e’ buliroun e’ véin la féin de mènd. Ilé burdéll u j è un buliroun d’roba ch’l è mèj tnis da long. Per il Morri e il Mattioli – come per noi – buliròn è anche il catarro, il catarrone; per l’Ercolani è il rigurgito. Anche rabbia, ira: e’ m’èra vnu un buliroun… Camp. caldo intenso, calura: l’ha d’avnì so un buliroun, òz... I bulirùn, al plurale, sono le caldane, le improvvise vampate di calore alla testa, anche nella menopausa.”

Quindi, personalmente, per non farmi mancar nulla, oggi li ho proprio tutti: e’ buliroun e i bulirùn!

Av salùt!

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