I figli dei signori e gli indigeni “pigliatutto”: giochi di ragazzi sulla spiaggia di Viserba

ESTERNO GIORNO.
La scena si apre sulla spiaggia assolata di Viserba in una calda giornata d’estate.
Siamo negli anni Trenta del secolo scorso, quando la “Regina delle Acque” era méta di un turismo d’élite grazie alla ricchezza di acque sorgive e alla bellezza del suo litorale. Alberghi di lusso e ville eleganti, famiglie di ricchi villeggianti che si trasferivano per tutta l’estate con la servitù al seguito, rigorosamente in divisa: chauffer, cuochi, governanti, bambinaie…
Ad accogliere i proprietari delle ville, c’erano donne e uomini del posto, sorridenti e servizievoli: le prime impegnate nei lavori di pulizia,in cucina e come lavandaie, i secondi come custodi e giardinieri.
All’inizio della stagione i figli dei “bagnanti” trovavano la spiaggia, enorme campo di gioco, già occupata dai ragazzi del posto, figli di quei viserbesi che erano a servizio dai signori…
Burdél asciutti, smaliziati, selvatici, già abbronzati, campioni in tutti gli sport all’aria aperta e anche per questo ammirati dalle ragazze.
Ma poi si diventava amici e si passava l’estate insieme, sfidandosi in gare e tornei, dove comunque i “nostri” risultavano quasi sempre vincenti.
Affido la cronaca di quei giorni spensierati a un ragazzino nato e vissuto qui: Elio Biagini (9.7.1923 – 10.9.2005), che nel libro “Racconti viserbesi” ha saputo tramandare questa e tante altre immagini della Viserba della sua infanzia e giovinezza.

“D’estate – scrive Biagini – veniva sistemato a circa duecento metri dalla riva un grande castello di legno che serviva da trampolino per tuffarsi e anche per fare la cura del sole. Questo era di fronte all’Hotel Lido. Quando era ora del bagno, si faceva una bella nuotata e si passavano diverse ore fra il tuffarsi e fare la cura del sole.”
“A Viserba la spiaggia partiva dalla Fossa dei mulini e arrivava alla via Pallotta. I bagnini erano: i Bologna “saibadoun”, i Betti “palmarì”, gli Ardini “piretta”, i Conti “zacarì” i Bernabe “Martini”, i Cevoli, i Belletti, i Botteghi “turain”, Morolli Adelmo “cul bas”, ed infine Finein e Attilio “pià”.
La zona che frequentavo io con gli amici Silvano, Enea, Bibi, Mario, Eros e tanti altri, andava dal canale alla via Milano.
Questo tratto di spiaggia era per noi: palestra, campo di calcio, campo di pallavolo, e si svolgevano delle gare a pallone che davano tanto fastidio ai gruppi di bagnanti.
Il più accanito contro di noi era il gruppo dei Meloncelli; durante la gara della partita di calcio, se il pallone arrivava in mezzo a loro, puntualmente con le forbici lo mettevano fuori uso e noi rimediavamo subito facendo un pallone con carta, stracci e tutto legato con dello spago. Finita la partita, di corsa all’ombra delle cabine, “i capan”, che ogni inizio stagione ogni famiglia di Viserba installava dove ora sorgono le cabine di cemento.
Ogni tanto in riva al mare si costruiva un circuito, tipo circuito automobilistico, e dentro di esso si facevano le gare, facendo correre delle palline colorate, che noi chiamavamo “i zizli”, e anche in queste gare noi Viserbesi eravamo sempre i più bravi rispetto ai figli dei signori.
Per fare correre le palline imprimevamo ad esse un “sbargnocli”: si appoggiava il dito medio contro il pollice e con forza si imprimeva la velocità alla pallina; il più forte di tutti noi era Pierino Betti, il bagnino; qualche volta tagliavo per primo anch’io il traguardo; ma mai permettevamo che vincesse un bagnante.
Quando, a forza di correre, ci veniva sete, di corsa si andava in via Milano angolo via Bezzecca, dove ora sorge un condominio, lì c’era un pozzo artesiano dove fuoriusciva un getto d’acqua lungo alcuni metri e dopo aver fatto una bella bevuta ristoratrice, si faceva anche la doccia.
Quando al mattino era ora di fare il bagno si andava dalla Esterina Betti per avere in prestito le zucche fiasche per imparare a nuotare. Allora non esistevano i materassini, canotti e bracciali per stare a galla; ma due zucche legate con una corda che ci mettevamo attorno alla vita e con quelle si stava a galla e si imparava a nuotare. Mi ricordo che in casa Betti nel giardino, vi erano tante di queste zucche! In settembre si raccoglievano, in inverno perdevano tutto il loro peso e in primavera rimaneva solo il guscio con dentro le semenze.
Questa trasformazione le rendeva così leggere che permettevano a una persona di stare a galla.
(…)
Noi ragazzini, i “burdell” di Viserba, eravamo i galli della spiaggia. Quando arrivavano i primi bagnanti, noi eravamo già color cioccolata e i nostri coetanei ci guardavano con un po’ di invidia. Sapevamo nuotare, remare, andavamo sopra le cabine e ci gettavamo a terra facendo il salto mortale riscuotendo ammirazione e rispetto. Avevamo per amici Giorgio e Nico, formidabile giocatore di pallone, Piovesan; Carlo e Luciano Antinori, i fratelli Gavioli e i fratelli Zanfi di Modena, i Fabbri, i fratelli Rossi di Carpi, i Mantegazza di Milano, i Cremonini di Modena, formidabili giocatori di Tamburello, che mettevano a dura prova Bibi, Silvano, Enea e Silvano Torri. Il campo da gioco andava dalla Fossa dei mulini alla via Piacenza e per delle ore si sentiva il ritmo della palla che batteva sul tamburello e a fine gara, con una stretta di mano, si rimandava ad un’altra partita al giorno dopo.
Ogni tanto si organizzava una scappatella oltre i confini di Viserba, per confini si intendeva la Fossa dei mulini, si faceva un bel gruppo e, via, verso “e Surcioun”, le sabbie mobili di Viserbella, che erano recintate a cerchio da un muretto di cemento. Su queste sabbie mobili si raccontava che avessero inghiottito un carro con dei buoi. Noi ci divertivamo a gettare sassi e questi venivano inghiottiti dal ribollire delle acque; la nostra fantasia correva con i sassi che venivano inghiottiti credendo di trovare negli abissi il carro di buoi. …

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