Focarina, fogheraccia, fugaràza: sempre fuoco (e festa) è…

fogheIn tutta la Romagna, e Rimini non fa eccezione, in questo periodo cominciano a vedersi, qua e là, dei mucchi di sterpi e di legna che crescono in altezza di giorno in giorno.

Non solo in aperta campagna: basta uno spiazzo libero dai condomini, una piazza o un cortile di parrocchia. Va di moda, ma non era così fino a qualche anno fa, anche la spiaggia.

Cosa succede?

Come in un film di Fellini si sta preparando il set per una rappresentazione che si ripete da tempo immemorabile: la fogheraccia (o focheraccia) di san Giuseppe, in dialetto riminese “fugaràza”.

La sera del 18 marzo, appena dopo il tramonto, si comincia a sentire odor di fumo e a vedere numerosi fuochi che si accendono, non necessariamente con tempi sincronizzati: c’è chi consuma il rito appena dopo la cena, chi invece ne approfitta per trasformare il tutto in una sorta di barbecue alla romagnola, con salsicce, costine di maiale e l’immancabile sangiovese.

Comunque, la fugaràza è sempre un momento di gazòja (gioia e festa insieme) per grandi e per bambini.

A Viserba da sette anni sono i commercianti e il Comitato Turistico (da poco presieduto dal Re Consorte, Paolo Morolli) che si danno da fare per organizzare una mega fogheraccia in spiaggia. Non vi dico i permessi da richiedere (giustamente), perché le varie autorità, dal Demanio alla Pubblica Sicurezza, vogliono accertarsi che vengano rispettate tutte le regole ambientali e, appunto, di sicurezza.

Quindi mercoledì 18 marzo a Viserba la tradizionale fogheraccia di San Giuseppe si trasformerà in una serata di festa per grandi e piccini: una sorta di “Notte Rosa” per dare il benvenuto alla primavera.
Grazie alla collaborazione tra esercenti di stabilimenti balneari, negozianti, associazioni, artisti e privati cittadini, sotto il coordinamento del Comitato Turistico, la manifestazione “Viserba s’incendia” non è solo solo un grande falò sulla spiaggia, ma offre un’originale e piacevole occasione di divertimento e di svago. Negozi e bar aperti, lungomare e piazza illuminati, giostre per i più piccoli, stand gastronomici, mostre di fotografie d’epoca… ce ne sarà per tutti i gusti.
Il tutto col sottofondo musicale di diversi gruppi, dislocati in vari punti di Viserba: Luciano Corcelli e “L’arcano” di Dino Moroni si alterneranno sulla spiaggia del Bagno 31, la “GP Band” suonerà nei pressi dell’hotel Belvedere, la “Puntacapo Band” nello sbocco a mare di via Roma, la “Caffé Nannini” in piazza Pascoli.
La manifestazione prenderà vita a partire dalle ore 20, con accensione del falò alle 21.15.

Ricordo quando, a Gatteo a Mare, organizzati in una banda chiassosa andavamo in giro a raccogliere la legna con un carrettino, sotto la regia della “nonna” (cinquant’anni fa la Pierina d’e’ Zaqual – scomparsa nel 2010 pochi mesi prima di festeggiare il secolo – aveva poco più della mia età di oggi, ma era già “la nonna”, col fazzoletto in testa e la parananza sempre legata in vita).

Da quelle parti per indicare il falò di san Giuseppe si dice fugaréina (focarina), ma la sostanza non cambia: l’agitazione della preparazione, che durava settimane; l’emozione dell’accensione; la gioia nei volti illuminati e scaldati dal fuoco; la malinconia delle ultime scintille che sfuggono ai carboni che rimangono… E la mamma ci richiamava in casa, col fumo che rimaneva ad impregnare l’aria fino al giorno dopo, e anche oltre.

A quei tempi i fratelli Enrico e Ubaldo Branzanti, miei vicini di casa, scrissero una canzoncina che Emanuela, una mia amichetta, cantò al “Festival di casa nostra”. Io ero nel coro!

Ricordo ancora il ritornello gioioso: “La focarina, la focarina, quanti musetti intorno a quel fuoco, coi goccioloni giù per il naso. La focarina, la focarina…”

Chi allora si troverà da queste parti per la prima volta proprio la sera del 18 marzo e sentirà rumore di botti e odore di fumo non abbia paura: non è scoppiata la guerra.

E’ “soltanto” una delle feste più antiche e sentite della Romagna.

La fugarena in piazza, a Castrocaro Terme FC

Fra le tante descrizioni dei falò di san Giuseppe, trascrivo qui di seguito quella del pluri-citato Gianni Quondamatteo (dal Dizionario Romagnolo Ragionato).

Fugaràza – gran fuoco, falò; focarone.

Alla vigilia di S. Giuseppe, la sera del 18 marzo (un po’ meno il 24 dello stesso mese, alla vigilia della Madonna), si accendono fuochi in tutta la Romagna; e si spara, e si fanno botti di ogni genere. L’ardore, da ragazzi, era tale, che qualche volta ci si dava al furto della legna, al saccheggio e perfino all’abbattimento di alberi. Dopo la fugaràza, dato fondo a tutta la legna, per la Madonna c’era la fugaréina.

G. Pecci: azzandrém anca st’ann al fugarein (accenderemo anche quest’anno le focarine).

Poiché di donna di scarso seno si dice che il falegname S. Giuseppe vi è passato con la pialla, ingraziarsi il santo vuol dire allontanare questo pericolo; di qui il curioso detto la fugaraza grosa la fa crès al tèti (la fogheraccia grossa fa crescere le tette); ergo, reca legna abbondante al falò.

In alcuni posti si dice (alla ragazza con poco seno):
t’an è fat i fug ad san Jusèf, e san jusèf u t’a pas la piala
(non hai fatto i fuochi a san Giuseppe, e san Giuseppe ti è passato sopra con la pialla).

Al fugarèn ad san Jusèf resistono in tutta la Romagna. Esse costituiscono certo un avanzo di costumi pagani e ne’ è da dimenticare che Marte era, nei tempi primitivi di Roma, il dio della campagna e della vegetazione. Pratella ritiene che con le “focarine” si volesse salutare il Dio Sole, identico, in tempi remoti, al dio Mavors (Marte), dio dell’anno (che cominciava appunto con il mese di marzo) e della primavera. Gaspare Bagli ricorda un bando di Carlo Malatesta, del 1379, che proibiva di festeggiare marzo con fuochi, perché risentivano degli usi pagani.

Un particolare significato, lo ricorda Ovidio, era il salto del falò da parte dei pastori, quando si celebravano in aprile le feste Palilie. E ancora oggi i giovani si cimentano saltando oltre le fiamme. All’inizio, invece, si forma un cerchio di bimbi, con le mani a catena, e una cantilena sale al cielo, facendo pensare ad una misteriosa invocazione alla luna:
“Lòna, lòna ad mèrz, una spiga faza un bérc, un bérc e una barcheta, una gheba s’uva sèca,
(luna, luna di marzo, una spica produca una bica, una bica (mucchio di covoni di grano) e una bichetta, e una cesta d’uva secca).

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