V.V.V.V.: le ville dei villeggianti di Viserba e di Viserbella

Dall’autobiografia di Elio Pagliarani, poeta nato a Viserba nel 1927 (“Pro-memoria a Liarosa 1979 – 2009” Marsilio Editore, 2011)

Viserba doveva avere, fra il Trenta e il Quaranta, duemilacinquecento/tremila abitanti d’inverno, sui diecimila d’estate. Era costituita da alcune centinaia di villette, la maggior parte delle quali a un solo piano, con relativo giardino e pozzo e fico. I pozzi erano del tipo detto artesiano, dove la perforazione della falda acquifera sotterranea produce come uno zampillo spontaneo e permanente: in pratica ogni famiglia possedeva una sorgente di acqua purissima, freschissima, leggerissima: altro che le acque minerali di adesso! E la pubblicità faceva appunto leva su “Viserba regina delle acque”. (Ovviamente la pur ricca falda acquifera è stata prosciugata o quanto meno impoverita dall’irrigazione meccanica dei campi vicini, e adesso abbiamo la spenta acqua dell’acquedotto comunale, a contatore, come tutti quanti).

Quasi la metà di queste villette, e le più graziose (tranne quelle dei Bartolini), erano di “forestieri” di famiglie di villeggianti che vi trascorrevano i mesi estivi: signori di Bologna soprattutto, Ravenna, Ferrara, Milano, emiliani e lombardi in grande maggioranza; piccola e media borghesia in genere, con qualche frangia della “grande villeggiatura” dei resti dei villeggianti favolosi che avevano frequentato Viserba fra l’inizio del secolo e gli anni Venti: le scuole elementari, per esempio, almeno un parte delle elementari, erano state ricavate dalla scuderia dei Della Porta, che venivano evidentemente ai bagni con treno di carrozze e cavalli. E poche grandi ville delimitavano Viserba. C’era villa Cameo (Cameo e Pincherle, alta borghesia ebraica, università di Bologna) con parco grandissimo, vigilata da mastini ringhiosi e terrificanti – noi bambini non ci azzardavamo nemmeno a passargli vicino – che separava il paese dalla campagna vera e propria (adesso ciò che rimane di Villa Cammeo è di don Zuclòn già reggente della parrocchia di Viserba, e poi allontanato dal giro parrocchiale) –  nota di Cristella: questa parte dell’autobiografia di Pagliarani è stata scritta nel 1979.

A separare Viserba da Viserbella c’era villa Campogrande, dove su spesso ospite il grande Moissi, Alessandro Moissi già sofferente di cuore (non è rimasto nulla, tutto lottizzato, alberghi e condomini); non lontano da quella, la più modesta come dimensioni e spazio, ma orgogliosamente in riva al mare, e in bel rilievo come fosse su un picco, villa Serena, che fu dei Boncompagni-Ludovisi (ora non più isolata e piuttosto intristita – ma sempre nitida nel mio Canto d’amore).

CANTO D’AMORE

Avevi gambe da cavalla pregna
e capelli di stoppa, le tue forme
fatte da un falegname ho combattuto
sicuro di rifare, immaginando
se tiravo coi denti i tuoi capezzoli
una turgida ricchezza. Stavi bene
vestita da marinaio, bianco e blu.

Sulla sabbia ho lottato per aprirti
e scioglierti d’un dubbio, sottoveste
da treni popolari.
Sa Dio cosa
credevo di vedere, nei suoi mobili
occhi.
Se questa fosse colpa!, andiamo,
illusione d’età, che lascia il segno
è la menzogna: dichiarata grande
la vita, eccomi a torcere la schiena
a dire: è strano è strano, come un’oca.

Riconosco che invece d’affogare
ti ho adoperata come un salvagente.

Qui, dove il mare ha rotto, non rimane
memoria, e se mi coglie tradimento
dal profondo, è la notte chiarezza
connubio mare luna in queste terre
basse, è Villa Serena così spoglia,
silenzio, smarrimento alle minacce
dell’alba.

Elio Pagliarani 1949

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