Una télaragna, un pidriùl ad sàida…

Questa la devo raccontare.

Qualche mese fa insieme ad alcune amiche sono andata a cena al ristorante La Sangiovesa, a Santarcangelo. Oltre a proporre un menu della tradizione romagnola, il luogo, ideato e progettato con l’aiuto del “solito” Tonino Guerra (scrivo così perché ultimamente Tonino è molto presente in questo blog) contiene diversi oggetti di arredamento, libri, opere del poeta. Anche le tovagliette di carta gialla poste sotto al piatto di ogni commensale riproducono le sue poesie. Presa dall’atmosfera romagnola, ho voluto far bella figura con le amiche iniziando a leggere ad alta voce i versi scritti sulla tovaglietta della mia vicina. Tutto bene: non ricordo quale fosse, ma era un testo piuttosto breve.

Poi passo a quella sotto al mio piatto: una poesia che non conoscevo, sebbene sia stata pubblicata nel 1976.

Ebbene, ormai avevo iniziato e non potevo interrompermi… Ma più andavo avanti, più le “ragazze” mi guardavano con aria stupita e i vicini di tavolo ancora di più. Insomma, in un modo o nell’altro sono riuscita ad arrivare alla fine.

Ma sicuramente la mia faccia era diventata rossa, che più rossa non si può!

Eccola. Buona lettura 😉

Cantèda Vintiquàtar

La figa l’è una telaragna
un pidriùl ad sàida
é sgarzùl ad tòtt i fiéur;
la figa l’è una pòrta
ch’la dà chissà duvò
o una muràia
ch’u t tòca buté zò.

U i è dal fighi alìgri
dal fighi mati s-cènti
dal fighi lèrghi e stretti,
fighi de caz
ciacaròuni ch’al tartàia
e quèlli ch’al sbadàia
e a n dòi una parola
gnènca s’ta li amàzz.

La figa l’è una muntagna
biènca ad zòcar
una forèsta in dò ch’e’ pasa i lop
l’è la caròza ch’la tòira i caval;
la figa l’é una balèna svòita
pina ad aria nira e ad lòzzli,
l’è la bascòza dl’usèl
la su còffia da nota,
un fòuran ch’e’ brèusa inquèl.

La figa quand ch’e’ tòcca
l’è la faza de’ Signour,
la su bòcca.
L’è da la figa ch’l’è avnèu fura
e’ mond sa i èlbar, al novli, e’ mèr
e i òman éun a la vòlta
e at tòtt al razi.
Da la figa l’è avnù fura ènca la figa.
Os-cia la figa!
Canto Ventiquattro

La fica è una ragnatela
un imbuto di seta
il cuore di tutti i fiori;
la fica è una porta
per andare chissà dove
o una muraglia
che devi buttar giù.

Ci sono fiche allegre
delle fiche matte del tutto
delle fiche larghe e strette,
fiche da due soldi
chiaccherone o balbuzienti
e quelle che sbadigliano
e non dicono una parola
neanche se le ammazzi.

La fica è una montagna
bianca di zucchero
una foresta dove passano i lupi,
è la carrozza che tira i cavalli;
la fica è una balena vuota
piena di aria nera e di lucciole,
è la tasca dell’uccello
la sua cuffia da notte,
un forno che brucia tutto.

La fica quando è ora
è la faccia del Signore,
la sua bocca.
E’ dalla fica che è venuto fuori
il mondo con gli alberi le nuvole il mare
e gli uomini uno alla volta
e di tutte le razze.
Dalla fica è venuta fuori anche la fica.
Osta la fica!


Testo tratto da: Tonino Guerra, Il miele, Maggioli 1976

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