Ecco l’oggetto misterioso di due post fa

12 novembre 2010: missione speciale dell’Associazione Ippocampo a San Martino in Riparotta

Della serie: quando succede qualcosa che tocca cultura e storia del nostro territorio… noi ci siamo!

C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.

No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.

Non so come andasse, ma il fatto è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname…

E’ iniziata così, lo scorso 12 novembre, la presentazione poetico-musicale che s’è tenuta al teatrino parrocchiale di San Martino in Riparotta, piccolo gruppo di case poco distante da Viserba.

L’incipit del celebre libro di Collodi ha introdotto gli spettatori nella giusta atmosfera, quella adatta a raccontare “Il canto del tempo”, ovvero l’incredibile storia dell’orologio di Talacia. Una vicenda che meriterebbe un film.

La voce era quella di Liana Mussoni, bravissima nelle vesti di attrice e di cantante, accompagnata dagli strumenti (fisarmonica e altro) di Tiziano Paganelli. Graditissimi anche gli intermezzi di Marco Bianchini, che ha declamato alcune poesie di Raffaello Baldini, il grande santarcangiolese che sul tempo ha scritto alcuni dei suoi versi più belli (“D’al vòlti”, “C’ora c’l’è?”, “L’arlòz”).

Ma perché la bottega del vecchio falegname della favola si adatta così bene alla storia vera che ha avuto come scenario proprio il piccolo borgo di San Martino in Riparotta?

Curiosi, vero?

Innanzitutto, il protagonista: un Geppetto che parlava romagnolo. Un contadino semianalfabeta che, se il destino lo avesse fatto nascere in una ricca famiglia che gli avesse permesso gli studi, sarebbe di sicuro diventato ingegnere e chissà cos’altro.

Genio naif, inventore di strumenti e attrezzi che rendessero le fatiche dei campi più leggere, guida e “portabandiera” di una famiglia di mezzadri provata dalla guerra, Gennaro Angelini (n. 1874 – m.1956), “contadino del prete”, detto Talacia, inseguiva un sogno: il moto perpetuo. La sua creatività, il suo continuo escogitare nuovi meccanismi e ingranaggi ricavati da poveri pezzi di legno e di latta o da parti di biciclette, dipanatoi e filatoi in disuso lo hanno portato, nell’arco di trent’anni e forse più, a costruire un orologio-calendario incredibile.

“Orologio” è definizione decisamente riduttiva. Vedere per credere: quanto rimane del marchingegno, che negli anni ha rischiato di andare perso (fu smontato e trasportato da una nipote a Rieti, ma  oggi è ritornato a casa grazie all’interessamento del parroco don Danilo) ora è visitabile – ogni domenica mattina – nella sagrestia della parrocchia.

Non è ancora la ricostruzione esatta della mastodontica creatura di Gennaro (quella che era appesa al soffitto della sua stalla e che, pezzo dopo pezzo, cresceva un po’ alla volta convivendo col placido ruminare delle sue vacche), ma i volontari che se ne stanno occupando, pure loro animati dalla passione del loro ispiratore, confidano di raggiungere presto la “quasi perfezione”.

No, la creatura di Talacia, non era solo un orologio, bensì una “enciclopedia del tempo” (secondo la felice definizione dell’anonimo giornalista che nel 1950 realizzò un documentario per l’Istituto Luce). Segnava i minuti, le ore, i giorni della settimana e quelli del mese, le stagioni, le fasi solari e quelle lunari, gli anni bisestili. Aveva anche una campanella per la sveglia del mattino e a mezzogiorno in punto sparava un colpo di pistola.

Dice don Danilo: “Con i poveri materiali che riusciva a rimediare e con i pochissimi mezzi economici e tecnici che quei tempi duri consentivano, Gennaro aveva portato a termine questa opera straordinaria, fatta di ruote, tiranti, molle, pulegge, quadranti, lamiere, chiodi, catene di biciclette, pezzi di legno… Gennaro, mi hanno raccontato i nipoti, aveva fatto solo la seconda elementare, ma era persona geniale in molti campi della creatività umana: dalla musica alla meccanica, dall’elettricità al ballo..”

Don Danilo è stato il promotore del ritorno dell’orologio a San Martino in Riparotta, ma indispensabili sono stati i discendenti di Talacia (le famiglie Angelini, Evangelisti e Lazzarini) e l’apporto pratico di Martino Urbinati e Riccardo Rinaldi, che, novelli Geppetti pure loro, si sono messi a disposizione praticamente per tentare il rimontaggio “com’era e dov’era”.

Fondamentale il contributo del Museo Etnografico di Santarcangelo, che, nella persona del direttore Mario Turci e della ricercatrice Federica Foschi, sorvegliano il marchingegno e periodicamente ne verificano la salute. La proprietà del prezioso oggetto, infatti, è stata intestata al Museo Etnografico, con l’impegno di lasciarlo visitabile nella sede della parrocchia.

Ma tornando alla serata di presentazione, un applauso particolare va alla regia dell’evento: non è facile tenere incollate sulle sedie decine di persone per più di due ore. Attente, commosse, curiose… Liana Mussoni ha dato voce alle testimonianze dei nipoti (presenti in sala) che in diverse interviste avevano raccontato l’affetto per il nonno e a quelle di altri personaggi di San Martino che avevano conosciuto Talacia.  Liana ha saputo riportare gli spettatori nelle atmosfere delle feste sull’aia di oltre cinquant’anni fa anche cantando alcune canzoni della tradizione contadina (“La fasuléra” e “La gramadòra”) con protagoniste due ragazze romagnole Doc: la Carlèna spintacèda e la Bèla Burdèla

Se si dovesse ripetere un evento come questo, non mancate, perché ne vale davvero la pena!

Parola di Ippocampini.

Approfondimenti:

L’orologio di Talacia. La ricerca del tempo nella stalla di Angelini, articolo di Marzia Mecozzi (dal sito www.ippocampoviserba.it)

Orologio di legno e di latta”, articolo di Giorgio Vecchietti, 19 marzo 1953 (dal nuovo archivio digitale del quotidiano “La Stampa”)

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