I riminesi intraducibili. Dopo pataca, cuchèl e bucalòn

Poveri gabbiani riminesi!

In solitudine volano, lenti e indolenti, fra mare e spiaggia. In gruppi chiassosi si accodano ai pescherecci che rientrano carichi di pesci. Di nuovo solitari si appoggiano immobili in cima alla palata del porto, scrutando la luce all’orizzonte e meditando chissà cosa.

Ultimamente, come documenta un servizio di Icaro TV, cercano riparo dal freddo sotto il bimillenario Ponte di Tiberio e nell’attiguo parco Marecchia

C’è chi dedica loro poesie, chi canzoni, chi libri.

Noi riminesi, invece, questi concittadini così presenti nella nostra quotidianità li teniamo a distanza, quasi fossero stranieri della peggior stirpe. E per di più li abbiamo bollati con un nome dal tono dispregiativo, che richiama alla mente tipi incantati, immobili, storditi: cuchél.

In un articolo apparso di recente su Chiamami Città il giornalista Stefano Cicchetti ipotizza che l’etimologia del nome sia di origine portolotta, cioè di quell’unica lingua che fino agli anni ’30-’40 del secolo scorso veniva parlata dai marinai riminesi così come dai colleghi dell’Alto Adriatico, anche sull’altra sponda.

“Sei proprio un cucalone!”, si rimprovera ancor oggi con aria bonaria l’amico credulone, che non sa farsi valere e che segue la scia degli altri.

E’ cuchèl (il singolare va con l’accento aperto, grave, mentre il plurale cuchél vuole l’acuto) di solito è anche un po’ bucalòn: non proprio uno stupido, piuttosto un ingenuo buono.

Secondo lo scrittore Alfredo Panzini, “il cocàlo è sinonimo di uomo magrissimo, come pure d’uomo stupido, forse per l’immobilità della posa, forse anche perché pessimo a mangiarsi, cibandosi di pesci.”

Perché oggi scrivo di cucali?

A dire il vero l’idea c’era già da tempo, ispirata dall’articolo di Cicchetti che avevo apprezzato e dunque ritagliato e custodito nell’apposito spazio, etichettato “cose da fare”, del mio multi-archivio-sempre-superincasinato delle idee in sospeso.

Poi ho visto in Tv il servizio sui gabbiani al ponte di Tiberio.

Ma, come spesso accade, il “caso” ha voluto che uno sconosciuto lettore di questo blog, tale Giovanni, proprio ieri  -quasi timidamente e chiedendo scusa prima di bussare – abbia inviato un commento con la richiesta precisa: “qualcuno sa dirmi come si dice gabbiano in romagnolo?”

Di carattere sono più bucalòna che cucàla (forse perché credo che chi incontro sia sempre in buona fede e sincero), però sono anche curiosa come una scimmia: chissà perché il signor Giovanni voleva sapere dai riminesi qualcosa sui cuchél?

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