La storia di Viserba scritta nella vecchia Corderia

Una pagina intera. Non speravo tanto!
Quando, l’altro ieri, ho proposto al direttore de Il Resto del Carlino di Rimini un pezzo sulla vecchia Corderia di Viserba, non speravo certo in una pagina intera del giornale, con tanto di fotografie.
Oggi la quarta pagina è quasi tutta mia!
Qualcuno riderà di questo mio entusiasmo… Eppure questi, secondo la filosofia di Regina Cristella, sono tocchi di bacchetta magica.
Non mi faranno ricca, ma gratificano alquanto.
Riporto qui di seguito i testi integrali che avevo preparato in prima battuta e che poi, nella parte storica, ho dovuto giustamente tagliare (sennò ce ne sarebbero volute due, di pagine). Questione di moduli: chi è del mestiere può comprendere.
Peccato solo che il giornale stampato non abbia le prerogative del web: qui, infatti, potete vedere tutta l’area ripresa dal satellite, mentre qui una serie di fotografie secondo me meritevoli di essere esposte in una mostra ad hoc (di Jguana Jo, che ancora non conosco).

So che ogni tanto passa da questo blog qualche amministratore del mio quartiere e della città: fateci un pensierino, alla mostra storica nella “Nuova Corderia”, se mai ci si metterà d’accordo su come dovrà essere…
Lunedì 17 settembre il Consiglio di Circoscrizione del Quartiere 5, a Viserba, dovrà dare un parere sulla variante al Piano Particolareggiato di iniziativa privata denominato “Comparto ex-Corderia” (scheda di progetto n. 4.3/A del PRG vigente). Un argomento di cui si sta discutendo da tempo con toni molto accesi, con inevitabili polemiche fra le diverse posizioni politiche. Resta il fatto che la vasta zona dell’ex corderia da più di sessant’anni è uno dei luoghi più degradati del territorio. Il lungo muro che costeggia la via Marconi, in parte pericolante e nascosto dai rovi, attira la curiosità di chi entra a Viserba. Più che un benvenuto, un sipario inquietante. Di là, fra rovi inestricabili, ruderi protoindustriali e, forse, pericolosi residuati bellici ancora in attesa di venire bonificati, c’è la storia di generazioni di viserbesi.
Il progetto
Sull’area complessiva di 77.000 mq sono previsti: 21.570 mq di residenziale, 800 dei quali andranno al Comune per l’edilizia pubblica (nella variante quest’ultima previsione sale a circa 970 mq); 5.680 mq di commerciale e direzionale, 600 dei quali al Comune per un Centro ricreativo di quartiere (nella variante si propone di aumentarli fino a 770 mq.); 25.000 di verde attrezzato.
Alcune prescrizioni: la struttura commerciale avrà le caratteristiche di un centro commerciale di vicinato, con superficie di vendita non superiore a 2.500 mq.; l’altezza degli edifici non potrà superare 15.50 metri. La proprietà si impegna inoltre al recupero degli edifici vincolati, alla realizzazione e cessione gratuita dell’allargamento delle vie Marconi e Amati nei tratti compresi all’interno della perimetrazione di scheda, nonché alla sistemazione del tratto di via Marconi compreso fra via Sacramora e via Curiel.
La storia della Corderia di Viserba: dal vecchio mulino alla fabbrica di filati e corde.
(notizie tratte da Alessandro Serpieri, “Viserba e… Viserba”, Luisé Editore Rimini, 1993)
A partire dalla fine del ‘700 la zona dell’Emilia e della Romagna venne contagiata da una vera e propria “febbre del riso”. Una spinta speculativa che, per vari motivi politici ed economici, portò la nuova borghesia, in quel periodo emergente, ad acquistare a bassi prezzi i terreni che erano appartenuti agli enti religiosi soppressi per trasformarli, arginandoli ed allagandoli, in risaie.
Anche a Viserba si visse il periodo d’oro del riso: fra il 1840 e il 1850 il penultimo mulino della Fossa Viserba, immediatamente a monte di quello detto “della Marina”, venne infatti ampliato per affiancare ai palmenti da grano un impianto di pillatura del riso azionato da una ruota idraulica mossa da una seconda derivazione della fossa. Era nata la “Pilleria Risi di Viserba” (di cui si ha la prima notizia certa nel 1856), di proprietà della ditta Brisi di Ancona e gestita da Daniele Serpieri, noto anche per essere stato fra i fondatori della Cassa Risparmio Rimini. Lo stabilimento, che aveva l’ingresso sull’attuale via Fattori, lavorava il “risone” (anche detto “riso greggio” o “riso vestito”), quello che, dopo raccolta, trebbbiatura e spulatura, doveva ancora essere brillato, cioè spogliato dalla scorza. Per tale operazione ci si serviva di una macchina (una sorta di enorme mortaio di marmo) che poteva essere azionata a mano o a forza animale. Poteva anche essere mossa dall’acqua, come nel caso di Viserba: i mortai erano più d’uno e venivano sollevati e rilasciati alternativamente da una ruota idraulica. Nel 1857 l’impianto viserbese in 24 ore brillava quasi 27 quintali di risone. Nel 1859 la Pilleria Risi passò di proprietà a Felice Ronci, che nel 1870 la vendette alla società formata da Turchi e Ghetti (l’industriale dei fiammiferi). Sotto la loro gestione si decise di trasformare il mulino da grano in torcitoio di canapa, lasciando attiva anche la pillatura del riso. Si può dire quindi che l’atto di battesimo della Corderia sia del 1870, con la registrazione ufficiale, da parte della ditta “Turchi & Ghetti”, dello “stabilimento di filatura di canape nella località della Viserba”.
Dopo due anni, nel 1872, lo stabilimento venne ceduto alla ditta “Antonio Tozzi e Soci” di Trieste che proseguì la duplice produzione per circa un ventennio.
In quel periodo non c’era ancora né la via Marconi, né la strada litoranea (che venne finita nel 1910). I carri carichi di riso e di canapa, trainati da cavalli, arrivavano alla stazione di Rimini percorrendo la via Sacramora, che d’estate era sabbiosa e in inverno assomigliava ad un pantano. Finalmente, il 10 gennaio 1899, venne inaugurato il tronco di ferrovia che passa da Viserba. Parallelamente allo stabilimento, si sviluppava in quegli anni una fiorente industria turistica, che avrebbe portato Viserba, coi suoi graziosi villini che nascevano allora, a diventare meta di una borghesia d’élite. La “Regina delle Acque” stava nascendo.
E la nostra Corderia?
In seguito alla crisi della risicoltura degli anni fra il 1879 e il 1883, verso il 1890 il signor Tozzi decise di chiudere definitivamente il reparto di pilleria. Allo stesso tempo affiancò al torcitoio un reparto di corderia mobile “attrezzato con pochi macchinari antiquati”: un capannone di 240 metri entro cui si produceva corda con metodo analogo a quello dei maestri funai che continuavano a lavorare lungo gli argini dei nostri corsi d’acqua. Questi la torcevano a mano camminando a ritroso; nel capannone di Viserba, invece, denominato “impianto di corderia meccanica mobile”, si usavano i buoi. La forza idraulica era riservata alla filatura a secco per grosse quantità. Nel 1902 Tozzi cessò la lavorazione e dopo un anno di inattività cedette l’impianto alla “Corderia Milanese” di Giuseppe Dossi che gestì lo stabilimento fino alla prima guerra mondiale.
Dossi sostituì i vecchi macchinari con impianti moderni ed efficienti; prolungò il capannone di corderia mobile da 240 a 300 metri; sostituì la trazione animale con quella meccanica e iniziò a lavorare una speciale cordetta lucidata che fece diventare famoso lo stabilimento viserbese.
Sempre Dossi fece installare un impianto termico per produrre vapore, energia elettrica e forza motrice (con caldaia e gruppo alternativo monocilindrico della ditta Franco Tosi di Legnano).
Nel 1908 lo stabilimento cambiò nome: divenne “Canapificio Corderia Italiana”.
In pochi anni ci furono diversi cambi di denominazione sociale.
Nel 1917, in tempo di guerra, Dossi vendette alla società “Barbieri & C.”, che la cedette dopo pochi mesi alle “Filature Tessiture Riunite già Carugati e Bazzoni”.
Alla fine del 1918 ci fu la fusione tra quest’ultima e la “Filatura Lombarda di Lino e Canape”, da cui nacquero le “Manifatture Italiane Riunite”.
Nel 1920 l’azienda venne incorporata nella “Società Linificio e Canapificio Nazionale”.
Negli anni a cavallo fra la prima e la seconda guerra mondiale la Corderia di Viserba raggiunse il massimo sviluppo, arrivando ad occupare più di 300 operai. Nel 1923 si producevano giornalmente oltre 1.000 kg di filati, 2.000 di corda e 800 di cordetta.
Nel periodo della grande recessione economica (1928-29) anche la produzione viserbese venne sospesa.
Negli anni Trenta la Corderia subì un’ultima riconversione ed un temporaneo rilancio.
Nel 1930, scomparso il capannone di corderia mobile, lo stabilimento era composto da vasti edifici ancor oggi riconoscibili come reparti di filatura ad umido .C’era anche una strada che, partendo dal ponte della ferrovia sopra al canale (dove ora c’è il sottopassaggio di via Genghini), si distendeva lungo la Fossa fino al mulino. Di fronte, sull’altra sponda, il mattatoio.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Corderia era già stata chiusa. Un operaio, in possesso delle chiavi, era stato incaricato di andare a suonare la sirena per dare l’allarme delle incursioni aeree. Il 1 novembre del 1943, alle 11.50, ci fu il primo bombardamento su Rimini. Alcune bombe caddero sulla Sacramora e quell’operaio non si vide più.
La Corderia venne usata come deposito di materiali bellici e casermaggio. Prima dai tedeschi, poi dagli alleati. Dopo l’8 settembre i tedeschi vi tennero rinchiusi gli italiani catturati nei rastrellamenti (toccò anche ad Alberto Marvelli) e molti ricordano i prigionieri turkestani affamati chiedere pane da dietro il filo spinato.
A guerra finita la Corderia di Viserba fu acquistata dal finanziere milanese Ceschina, che si impegnò a ricostruirla e rimetterla in marcia. Solo promesse…
Da allora il complesso è in completo stato di abbandono.

Cos’è rimasto.
Il portale di ingresso su via Marconi. Parti della centrale termoelettrica, anche se allo stato di rudere. La caldaia marcata “Franco Tosi Legnano”, in discreto stato di conservazione.
A destra del locale caldaie i muri di uno stanzone sono decorati da scenette naif dipinte con soldati tedeschi che bevono birra in compagnia di allegre ragazze, con scritta al centro della parete “Saufer is’a laster aber a shon’s!” (ubriacarsi è faticoso, ma bello!).
Contiguo a questo stanzone si trova la sala macchine con la motrice alternativa monocilindrica della ditta “Franco Tosi Legnano” e l’alternatore.
Nell’ampio locale degli essiccatoi ci sono avanzi di due presse; in terra giacciono parecchi serbatoi ausiliari di carburante per aerei risalenti all’ultima guerra. (ricognizioni del 1992 di Alessandro Serpieri).

13 pensieri su “La storia di Viserba scritta nella vecchia Corderia